I Campi Flegrei: un viaggio tra Mito
e Fantasmi
di Rosaria Secondulfo
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point rosaria.ete@inwind.it
I “Campi Flegrei: un viaggio nel mito” è
il titolo di una manifestazione promossa dal quotidiano “Il Mattino” nel
1993, quale segno della riscoperta e del rilancio culturale di una terra
ricca di storia e di misteri. Nostra intenzione è quella di riproporre
non solo un “viaggio” nel solare e ridente paesaggio flegreo, ma anche
in quei sotterranei che rendono simbiotico il legame fra natura - mito/fantasmi
- poesia.
Al titolo del “Il Mattino” un viaggio nel mito,
aggiungiamo, infatti, anche i fantasmi, per intendere ciò
che la memoria collettiva evoca per spiegare le cose inverosimili,
anche se in fondo sono solo cose a cui non vogliamo credere…Eduardo docet
nell’opera “Questi Fantasmi”.
Racconteremo, dunque, i miti ed i fantasmi così
come la tradizione popolare tramanda, fra il serio e il faceto, con l'auspicio
di veder il gentil lettore mettere alla prova il proprio coraggio.
Ma torniamo ai Campi Flegrei.
Con il termine “Campi Flegrei” s’intende attualmente
la zona ad ovest di Napoli compresa fra Posillipo fino a Quarto e
di lì verso nord lungo la via Domiziana, poco oltre Capo Miseno
fino a Cuma ,così come già in epoca romana l’intendeva Plinio
in “Storia Naturale”. Originariamente, secondo Diodoro Siculo la definizione
“Flegrea” si attribuiva all’area fra il Monte Massico e i monti del casertano
fino ai Lattari (cfr. Sigfrido E.F. Hoebel “Viaggio nei siti e miti dei
Campi Flegrei” p. 7-da ora in poi S.E.F.H. op.cit.).
In ogni caso, il termine “Campi Flegrei”, deriva
dal greco phlegraios che significa ardente grazie all’abbondanza di sorgenti
calde e acque termali. Fin da allora l’intensa attività vulcanica
e il ben noto fenomeno del bradisismo ha suscitato un’immagine mito - poesia,
conferendo al vulcanesimo stesso tale coloritura. E allora ecco che i Campi
Flegrei sono lo scontro tra Dei e Giganti, figli della Terra. Secondo Apollodoro
Gea (la Terra), arrabbiata contro Giove e gli Dei per la sorte inflitta
ai Titani aveva partorito i Giganti, esseri mostruosi che avrebbero assalito
gli Dei. Questi, trovatisi in difficoltà, sarebbero stati aiutati
da Ercole ed erano riusciti a sconfiggerli. Sicché nella Terra si
riconoscono le forze vulcaniche e la vittoria sugli Dei. Tuttavia alcuni
di questi esseri ancora vivrebbero sotto L’Epomeo, Procida, il Vesuvio,
lì proprio dove sono sorte ville romane e dove il mitico Enea ha
percorso non solo terre fertili, ma anche terre oscure e inquietanti.
E in debito verso Enea, è da qui che ci
piace partire per questo breve viaggio, recuperando mito e magia; un mito
e una magia che per noi ha inizio dalla mitica spiaggia di Mergellina,
oggi alla ricerca della sua restituzione ai napoletani dopo il divieto
di balneazione, ma all’epoca percorso obbligato per giungere alla chiesa
di S. Maria di Piedigrotta, fino a quella che la leggenda lega alla Grotta
di Virgilio. Tale grotta, come tramanda la “Cronaca di Partenope”, scritta
nel XIV secolo, è un vero documento su mago Virgilio. Tale
grotta pare sia stata scavata da Virgilio stesso in una notte.
La teoria di Virgilio Mago apre un discorso lungo
sull’esoterismo, la cui testimonianza più accesa è nel “Castel
dell’Ovo”, l’isolotto di S. Salvatore unito alla costa dal Borgo Marinaro.
Mario Buonoconto in “Napoli Esoterica” Newton Editore (da ora in poi M.
Buonoconto op. cit.), scrive che “l’uovo” o meglio “l’uovo filosofico”
è il nome esoterico di un forno chiuso (athanor), nel quale veniva
la trasmutazione degli elementi primari, zolfo e mercurio, in oro alchemico,
al punto da far parlare a molti studiosi napoletani di …soluzione de vergilio..,
l’acqua de lo mago virgilio…Secondo le cronache, Virgilio entrò
nel castello di Megaride e vi pose un uovo chiuso in una gabbietta e fece
murare in una nicchia delle fondamenta, avvisando che alla rottura dell’uovo
tutta la città sarebbe crollata. E’ una leggenda alla quale si crede
ancora oggi.
A Mergellina, accanto al sepolcro del poeta
latino, si apre la “Cripta Neopolitana”, luogo mitico per iniziare l’escursione
nella zona flegrea; una lunga galleria che si ritiene scavata da Cocceio,
e che rappresentava un percorso funzionale, per le comunicazioni tra Napoli
e Pozzuoli, ma sgradevole perché troppo buio. A tal proposito nella
“Cronaca di Partenope”, si legge che tale grotta sarebbe stata costruita
in modo tale che la metà rivolta a levante era illuminata dal sole
dall’alba a mezzodì e l’altra metà dal mezzodì a tramonto.(cfr.
S.E.F.H. op cit. p.14 e seg.). La Cripta avrebbe un natura prodigiosa
legata al simbolismo della luce che illumina le tenebre in senso spirituale.
Per quanto riguarda la reale attribuzione della
tomba a Virgilio è cosa difficile da stabilire. Secondo Donato del
V sec.d.C., le ceneri del poeta – mago, furono traslate da Brindisi a Napoli.
La tomba è ricordata da Petrarca, da Boccaccio, ma ha subito modificazioni
in seguito ai lavori di Alfonso d’Aragona e solo negli anni ’30 del 900
che Enrico Cocchia volle attribuirla a Virgilio. Ma Mergellina è
solo un punto di arrivo; il mito, quello delle peregrinazioni di
Ulisse ed Enea, si svolge tra Pozzuoli e Cuma, un lungo viaggio tra ombre
e morti, dove i ricordi, come scrive Vittorio Gleijeses in un saggio dal
titolo “la Neapolis di Petronio Arbitro “dell’antichità fanno parte
della vita della nostra gente e si fondono nel contesto generale col vecchio,
col moderno e col nuovo”: una “dolce vita” puteoli-neapolitana , dove la
nobiltà dell’epoca era dedita agli otia, e dove la natura
già sembrava volersi ribellare all’avidità dei molti. Ecco
allora perché vogliamo partire da Omero e Virgilio, per riscoprire
la nostra storia, i nostri miti, per recuperarli e per ridare vivibilità
a certi luoghi il cui fascino incanta ancora oggi, al punto che ancora
oggi tanta letteratura non può prescindere da miti come Ulisse,
per esprimere il mistero e tutto quello che finisce con il crollare di
fronte agli eventi che si dissolvono come spettri:
“Oppure opporre resistenza
ardire
di rompere le maglie dei prodigi
Navigare negando perseguire
la forza
armando l’aggressione sopra il mare
Morire sempre vivere
capire
che perenne si genera traguardo
(Pico Tamburini “Prospettive di Ulisse” Rusconi Pag.58)
E oltre a pag. 63:
Della natura prossima gli oracoli
daranno il sortilegio l’impossibile
Prima tappa del nostro mito è Pozzuoli,
l’antica Dicearchia, ovvero il “governo dei giusti”, quel governo costituitosi
nel 529 a.C. dai coloni di Samo sfuggiti al tiranno Policrate. Sede delle
“terme Puteolane”, ricca di cultura romana, la cittadina è così
vista da Petronio Arbitro nel “Satyricon” ( cit. in Santa Mileto “i Campi
Flegrei” Ed. Newton p. 18-da ora in poi S.M. op. cit.) “ Vi è un
luogo posto nel fondo di un abisso cavo, tra Partenope e i vasti campi
di Dicearchia, bagnato dalle acque del Cocito; infatti il vapore che si
sprigiona, si spande con calore mortifero: Non in autunno questa terra
verdeggia, non fa crescere l’erba il campo fertile né a primavera
risuonano i teneri cespugli dell’armonia discordante del canto degli uccelli:
ma il caos e i luoghi deserti coperti di nera lava gioiscono circondati
dal funereo cipresso”. Un’atmosfera suggestiva e inquietante in un
tratto di terra più volte soggetta fenomeni di bradisismo
che negli anni 80 hanno prodotto effetti sulle abitazioni e il conseguente
abbandono del Rione Terra; un rione oggi ricostruito, ma per essere
sicuri è meglio non “andarci al calar del sole, si potrebbero fare
incontri da rizzare i capelli”( da Annamaria Ghedina “ Guida ai fantasmi
di Napoli “ Blado Editori Associati pag.47 da ora in poi A. G. op. cit.).
Ma le sorprese di Pozzuoli non finiscono qui:
è opportuno fermarsi al “convento dei Cappuccini” del XVI sec. dove
forse fu decapitato S. Gennaro, (vedi S.Gennaro Mito e religione), dove
rinveniamo la chiesa omonima e dove si conserva il sangue del Santo legato
al miracolo della liquefazione. Un rito, quest’ultimo, che nel XIV secolo
ha privato al poeta di Mantova del culto popolare a vantaggio del Santo:
un fatto sicuramente più politico che religioso. Infatti la dinastia
angioina, che aveva lo scopo di abbattere il potere svevo e rafforzare
la Chiesa, aveva necessità a sostituire il vecchio patrono con uno
nuovo e da allora il mito “Virgilio” si è legato ad un fatto esclusivamente
letterario.
E continuando a visitare Pozzuoli, non ci si
può non fermare alla “Solfatara”, un conca circondata dai monti
sulfurei, fumarole, mofete (emissione di anidride carbonica). Di qui forse
la personificazione degli antichi in Efesto, il fabbro divino e i giganteschi
Ciclopi, intenti a forgiare le orme degli Dei e degli Eroi. Così
Strabone in “Geografia, V”, citato in S.M. op. cit. pag17.
Incombe direttamente sulla città l’agorà
di Efesto, pianura circondata da ciglioni infuocati che mandano spesso
esalazioni come fornaci e piuttosto puzzolenti. La pianura è piena
di polvere preziosa…
Fumarole, officine per l’estrazione dell’allume,
dello zolfo, del vetriolo, hanno contribuito a conferire quel suolo biancastro,
quel fango grigio, quelle pareti bruno rossastre, che ancora oggi incantano
molti visitatori.
Fatto sta che, in questi luoghi, le scene diaboliche
che la tradizione ascrive, si sono tramandate fino al 1500. Nel 1604 Capaccio
racconta, come scrive Santa Mileto nell’ opera citata che i Padri Cappuccini
della Chiesa di San Gennaro fossero tormentati dai diavoli che facevano
sentire ululati e terrori di grandissimo spavento.
Tra Pozzuoli e il Lago D’Averno, punto d’ingresso
degli Inferi si pratica la divinazione a setaccio e proliferano le streghe:
qui pare che prolifichino le streghe, ovvero le ianare, molto temute per
le loro fatture. Annamaria Ghedina, nell’opera citata, descrive molto bene
questa pratica: “Queste “signore” con un semplice setaccio fatto ruotare
su di una forbice, ovvero in mancanza con una sedia, possibilmente di paglia,
alla quale viene impresso un moto rotatorio, riescono a vedere le risposte
ai quesiti sottoposti dal modo in cui il setaccio o la sedia sono caduti.
Ovviamente durante l’operazione la ianara recita una sorta d’invocazione,
un rituale che le serve di completamento al rito magico.” Secondo
la Ghedina, i segreti di questa pratica erano noti ad un certo Don Antonio,
un vero santone per le persone di quel luogo, che giurano di averlo visto
entrare, dopo uno dei suoi incantamenti, in una bottiglia. Ora che è
morto, tutti sentono la sua mancanza.
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Lucrino
Sulla costa di Pozzuoli, scorgiamo la spiaggia
di Lucrino: uno dei laghi più importanti dell’epoca romana. In origine
il lago era molto più grande di oggi: esso si estendeva da Punta
Epitaffio fino a punta Caruso ed era separato dal mare da una striscia
di terra che lo riparava dal mare: si racconta che questa sorta di
diga sia stata costruita da Ercole per far passare la mandria dei buoi
di Gerione.
Per quanto riguarda il nome, la sua origine,
ben lontana dal mito, si lega al termine latino Lucrum, in riferimento
ai lauti guadagni che un certo Sergius Orata, famoso imprenditore romano,
aveva ottenuto in seguito allo sfruttamento delle acque del lago, riuscendo
realizzare un vivaio per i pesci, specie per le ostriche. ad Orata è
attribuita anche l’invenzione delle “balineae pensiles”, un sistema per
il riscaldamento degli ambienti termali. Si trattava di stanze a oppia
pavimentazione, con intercapedini per il passaggio dell’acqua o dell’aria
calda.
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Lago d'Averno
Il Lago d’Averno è anch’esso un
luogo ancora oggi ammantato di misteri: un luogo selvaggio e tenebroso,
“un antro irto di scogli, cupo, circondato da nero lago e tenebre boschi”
(Virgilio, Eneide VI Libro), dove gli antichi immaginarono la Sibilla e
dove la leggenda vuole che qui vi fosse un ingresso dell’inferno, dal quale
Cristo discese per liberare le anime dei giusti. Questo luogo è
stato abitato dai Cimmeri abitanti di case sotterranee dette “argillae”,
collegate da cunicoli e dove si praticava il culto dei morti. Di questi
Cimmeri se ne trova traccia nell’Odissea, quando Ulisse seguendo le istruzioni
della Maga Circe, giunge ai boschi sacri di Persefone. In proposito Strabone
sostiene che Ulisse era venuto consultare l’Oracolo dei Morti dell’Averno;
l’Averno sarebbe sinonimo dell’Acheronte per indicare l’accesso all’Ade,
appunto il sotterraneo regno delle ombre. Tale culto per Ulisse seguirebbe
un itinerario ben preciso : l’eroe scava una fossa e compie una libagione
dei morti con miele e latte, vino e acque; poi cosparge di farina
bianca dopo aver sgozzato un ariete e una pecora e fa scorrere il sangue
nella fossa. Le anime escono fuori: Ulisse scorge l’anima di Elponore,
poi quella della madre e infine Tiresia. Quest’ultima anima lo riconosce,
beve il sangue e dice ad Ulisse che, a chiunque lascerà bere il
sangue, questi gli predirà cose vere. Allora Ulisse lascerà
bere il sangue alla madre che, solo allora lo riconosce e gli parla.
Ulisse, dal canto suo, cercherà di abbracciarla, ma per tre volte
essa gli sfuggirà. Questo perché, come dice Omero, quando
uno muore il fuoco distrugge il corpo e solo l’anima vaga, ma come tale
sfugge come un sogno.
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Baia
Ma anche Baia è un luogo mitico;
sorge all’interno di una piccola insenatura a sud ovest del golfo di Pozzuoli,
tra l’altura del castello e Punta Epitaffio. Le sue Terme hanno resistito
meglio alle incursioni degli uomini. Il complesso comprende un ampio “solarium”,
la piscina detta del “tempio di Sosandra”, e il Teatro Ninfeo, una grande
piscina quadrangolare circondata da un portico ed arcate.
Sede di rinomate ville, fino al IV sec
d.C. Baia, uno dei luoghi più deliziosi del Mezzogiorno, non ebbe
mai uno statuto autonomo, mentre le notizie sull’uso terapeutico delle
sue acque sono note già dal 178 a.C. e viene citata per la prima
volta da Licofrone nel III sec. A.C. quando si colloca qui la sepoltura
di Baios nocchiero di Ulisse; da cui il nome. In particolare, l’importanza
di Baia come stazione termale e climatica è dovuta al passaggio
del demanio sotto Augusto, il quale inizio la costruzione del Palatium
e, grazie alle costruzioni di strade, consentì facilitazioni nelle
comunicazioni con Roma. La bellezza del paesaggio, il verde delle colline,
l’ampio litorale, la resero una località molto ambita ai nobili
romani.
Il fenomeno bradisismico ha sommerso il litorale
e ha fatto scivolare nelle acque antistanti il golfo gran parte degli insediamenti
architettonici. Molti reperti sono stati recuperati nel corso degli
anni ‘30 del ‘900 e oggi esposti nell’omonimo Castello; un vero pezzo di
storia, fatto costruire da Alfonso II d’Aragona che lo scelse per difendersi
da re di Francia Carlo VIII, ma solo Don Pedro d’Aragona verso la metà
del XVI lo ristrutturò. Si tramanda che sul colle del castello,
già il dittatore Cesare si era fatto costruire una villa poi ampliata
da Nerone, che realizzò i due bacini utilizzati come vivaio ittico
e per la coltivazione delle ostriche. Divenuto carcere militare con
austriaci e borboni, il Castello fu bombardato negli anni della Repubblica
partenopea e fu l’ultimo baluardo ad arrendersi ai garibaldini.
Ritornò ad essere carcere militare durante la Prima Guerra Mondiale.
Dal 1984 e consegnato all Sovrintendenza archeologica di Napoli. Ovviamente
come tutti i castelli, anche questo di Baia ha la sua entità che
vaga per i sotterranei esprimendosi con rumore classico di catene e urla
strozzate ( A. G. op. cit. p.48 ).
Sulla vicina spiaggia, in località
Trippitello, prospiciente al Castello, il ricordo di Nerone si evoca nel
“sepolcro di Agrippina” un rudere semicircolare sulla spiaggia dove, appunto,
Nerone avrebbe cercato di far morire la mamma, che messasi in salvo a nuoto,
si rifugiò a Lucrino dove comunque venne raggiunta dai sicari di
Nerone che la pugnalarono, (Feri ventrem”- colpisci al cuore). Un vicenda
narrata da Tacito, Svetonio e Dione Cassio.
^
Bacoli
Proseguendo nel cammino, inoltrandoci per la
strada che conduce da Baia a Bacoli, l’antica Biuli dove troviamo
la tomba attribuita ad Agrippina. In realtà il vero sepolcro di
Agrippina sarebbe sulla strada presso Miseno, anche perché si racconta
che i liberti seppellirono Agrippina segretamente e, solo dopo la morte
di Nerone, l’eressero un monumento che Tacito chiama levem tumulum” ( G.
Infusino “ Storia, miti e leggende dei Campi Flegrei Lito-Rama Ed.
pgg.115 e seg. Da ora in poi G. Infusino op. cit. 1) e, perciò,
i resti di quello che sarebbe la tomba di Agrippina altro non sarebbe che
un teatro ninfeo un “odeion”, del I sec. D.C. poi trasformato nel secolo
successivo e restaurato negli anni 50 del nostro Novecento.
Fatto sta che nelle notti di luna, a Bacoli,
specie d’estate, il fantasma della bella Agrippina si materializza sull’acqua
e si dice che ritorni per ritrovare il suo amante. Qualcuno, pare che abbia
notato la bella donna pettinarsi, usando l’acqua del mare come specchio;
inutile tentare di avvicinarsi, forse percepirete soltanto un bel profumo.(
A. G. “G.F.N.” pgg.48e 49 ).
^
Capo Miseno
Ed ora andiamo a Capo Miseno, un promontorio
che chiude a occidente il Golfo di Pozzuoli e rappresenta la punta meridionale
dei Campi Flegrei, anch’esso uno di quei luoghi da sempre legato
al mito:
"quale compagno esanime, chi mai
da seppellir dicesse l’indovina,
quando sul lido a un tratto il buon Miseno
vedono spento di pietosa morte:
l’eolide Miseno di cui altri
mai più valente fu ad infiammare
con la squillante tromba i prodi all’armi,
e con il canto accendere la mischia."
( da Virgilio “Eneide” Libro VI vv.233- 240 vers.
Poet. Di Adriano Bacchielli Paravia Ed. da ora in poi V. E. L. VI ).
Miseno, allora, è il trombettiere
dell’armata troiana, l’abile suonatore di corno figlio del re dei Venti,
Eolo, morto per aver osato sfidare gli Dei e perciò vittima delle
forze soprannaturali. Fin dal VI secolo a.C. la storia lo ricorda come
uno dei luoghi difensivi per Cuma anzi il possesso del promontorio, secondo
Dionigi d’Alicarnasso era fra le cause della ricchezza cumana. Tra il II
e il I secolo a.C., il promontorio divenne sede di ville residenziali,
come quella di Cornelia madre dei Gracchi, per poi trasformarsi in cantierte
per le navi d’inverno.
E se queste acque sono identificate con la Palude
Stigia, sulla cui riva le anime dei defunti si addensavano in attesa di
essere traghettate sulla barca di Caronte, oggi ancora pare che, nella
notte del 24 giugno, le persone effettuano il rito d’amore, accendendo
fuochi purificatori, e immergendosi nelle acque per purificarsi e eseguono
riti propiziatori.
^
Cuma
Il passo verso Cuma è facile. Chi oggi
percorre la strada dell’omonima piana, ha difficoltà a riconoscere
l’antica baia riparata per l’approdo delle navi: il vulcanesimo ha modificato
la morfologia, lasciando solo il colle su cui fu eretta l’acropoli della
città. Cuma è sicuramente uno dei centri più
importanti della Magna Grecia, punto nodale del viaggio di Enea. Tutta
la fondazione di questa città è a pieno titolo nel mito:
si narra che i coloni greci guidati da Hippocles di Cuma, giunsero alla
rupe cumana guidati da Apollo, seguendo il volo di una colomba e accompagnati
dal suono di uno strumento di bronzo. Il mito ci dice che i calcidesi fondarono
Cuma nel luogo indicato dal dio, ovvero come scrive Sigfrido E. F. Hoebel
(op. cit.), “seguirono le istruzioni dei sacerdoti del santuario di Delfi,
i cui oracoli spesso indicavano ai coloni greci il luogo in cui recarsi
a fondare le loro città. E Virgilio scrive:
“[…] giunge alfine
ai lidi euboici dell’esperia Cuma;
e, volte al mar le prore, al fondo l’ancora
col dente adunco lega i legni al lido
che di ricurve poppe s’incorona.”
Cuma è, allora, una città dell’esperia, cioè italica, ( “esperia” vuol dire terra del vespero e, il termine è usato per dire che l’Italia è posta ad occidente rispetto all Grecia ). E così continua il poeta:
“ […] intanto Enea s’avvia verso le rocche
che l’alto pollo regge, ascose stanze
dell’ antro immane di Sibilla orrenda;
cui la mente ed il cuore il delio vate
ispira e svela le future cose”
Non ci meraviglia il successo che ha avuto il culto di Apollo, il “delio vate”, così detto perché nato nell’isola di Delo da Latona, che qui si era rifugiata. E si capisce anche il mito che c’è dietro alla Sibilla, che Virgilio così descrive:
[…] L’ampio fianco
della rupe cumea a guisa d’antro
s’apre d’intorno; e cento porte, e cento
ivi conducon aditi, dai quali
della Sibilla in altrettanti voci
erompono i responsi…
E così Virgilio per bocca di Enea al verso 66:“L’ora è questa di chiedere il destino!”, spiega che la Sibilla non è una “persona”, ma piuttosto un ordine sacerdotale con funzioni mantiche legate al culto di Apollo. Ed in particolare è l’Antro della Sibilla, cui apollo, profeta di Delo ispira l’animo e la mente e apre il futuro. Qui Enea vede la personificazione dei mali che travagliano l’umanità: il Dolore, la Paura, gli Affanni, le Malattie, la Vecchiaia, la Fame, l’Indigenza, la Morte, la Miseria, il Sonno, la Guerra. Nel mezzo trova un Olmo oscuro dove abitano i Sogni fallaci e numerosi prodigi e fiere fantastiche, come i Centauri, Scille, Chimera, Arpie, Gerione. La Sibilla così ammonisce:
"O Troiano Anchisiade, rampollo
nel sangue degli Dei: scendere è facile
nel buio dell’ Averno, e giorno e notte schiusa
l’ampia dimora sta nel fosco Dite!"
E oltre..
Infine la grotta della maga Circe che pare amasse
le sue ancelle e di esse fosse gelosa per cui pare che facesse dispetti
ai corteggiatori. Ancora oggi capita ad alcuni di appartarsi e di essere
raggiunto dall’ira di Circe. Pare che nel momento di maggiore intimità
arrivi un pesante malrovescio alle ragazze che sono in dolce compagnia,
una dolce carezza, invece, alle ragazze che si avventurano da sole. ( da
A.G. op. cit. ). Noi non abbiamo provato…se volete..
Ma non solo Baia e Cuma, tutta l’area è
ricca di luoghi da visitare. Un’escursione a Monte di Procida, ad Arco
Felice, nei cui pressi si trova un’antichissimo acquedotto, che i sensitivi
frequentano per caricarsi di energie positive. Quindi Punta Epitaffio,
dal nome del vicerè Don Pedro di Toledo che nel 1666 aveva fatto
apporre le stufe di Nerone o Sudatario di Tivoli, che erano parte integrante
di un grande complesso termale costituito di tre parti, di cui una sommersa
dal bradisismo e l’altro dall’uomo.
Ancora oggi potete sentire il calore che si sprigiona
dalla falda sotterranea.
Quindi ancora Torregaveta ( Torre Alta
), una grandiosa galleria scavata di Romani, oggi inghiottita dalle moderne
costruzioni, ma se vi incamminate sulla spiaggia, potrete trovare cordoncini
rossi, bianchi, o neri: ovvero la scioglitur delle fatture, perché
proprio in riva al mare i maghi annullano gli effetti malefici delle fatture
( da A.G. “G.F.N.” p. 49 ). Vale la pena: oggi sono stati espletati lavori
di ristrutturazione e il mare è stato restituito ai suoi abitanti.
Un’area molto ricca di mito e fantasmi, non c’è
proprio che dire! Dovete soltanto visitarla..
^
Mito e fantasmi: dal mare di Mergellina a Nisida
L’epopea virgiliana e la discesa degli Inferi
interessa l’area, dunque, l’area tra Pozzuoli e Cuma, ma anche l’area napoletana
è ricca di fantasmi e di mito.
Siamo partiti da Mergellina: un luogo ben noto
alle “affatturazione”( M.B. op. cit. pgg. 54 e 55 ), un rito noto anche
a Benedetto Croce. Le cronache del 500 riportano che Vittoria, una bellissima
e giovane donna, invaghitasi del vescovo Diomede Carafa, abbandonò
il noviziato e incaricò una fattucchiera di fare un fattura d’amore
sul prelato. Fatto sta che la vita del vescovo venne veramente sconvolta
e il suo sospetto di aver ricevuto una fattura lo spinse a consultare un
vecchio monaco procidano, un esorcista, che sfruttava il suo grande amore
: S. Michele Arcangelo. Grazie a questo e, usando la forza negativa, ovvero
il Demonio, escogitò la controfaccia del sortilegio, la cui prova
è nella Chiesa di Santa Maria Del Parto dove si vede S. Michele
che uccide un bellissimo demone e dove si legge : Fecit Victoriam Alleluia
1542 Carafa, alludendo alla vittoria del vescovo sul peccato.
Da Mergellina si arriva alla panoramica
via Posillipo dal nome di quella costruzione Pausillipon del ricchissimo
Publio Vedio Pollione. Tale costruzione significava “pausa del dolore”.
Famoso è l’episodio in cui si riporta come Augusto salvò
uno schiavo che, avendo rotto un vaso di vetro, era stato
condannato ad essere gettato nella vasca delle murene. Il
complesso indicava la villa del promontorio tra la Gaiola (il cui termine
in diletto napoletano vuol dire “gabbietta”e dovrebbe contenere il mitico
uovo di Castel dell’Ovo) e la cala “Trentaremi” e a questo apparteneva
anche il Palazzo degli Spiriti, dove ancora pare che si veda Virgilio stesso
e dove il poeta pare abbia fondato una scuola. Una località particolarmente
rinomata, ma quando se ne parla pare che si facciano scongiuri. La cattiva
fama deriverebbe dal fatto che chiunque né sia stato proprietario,
(non ultimo Gianni Agnelli), ha subito lutti e rovine. Tale jattura pare
risalga ai primi proprietari: due nobili inglesi. L’uomo s’innamorò
della cognata, ma la moglie gli rifiutò il divorzio e la cognata
si suicidò, così anche il marito, mentre la moglie impazzì.
Altri, invece, ritengono che il luogo sia frequentato da fattucchiari che
operano rituali di magia nera (cfr. A.G. op. cit. p. 40 e seg.”G.
f. N”).
All’estremità della collina di Posillipo
sorge Coroglio col quale, come scrive G. Doria in “Le strade di Napoli”
s’indica “Curuoglio”, ovvero la corona di panno avvolto che si poneva sul
capo per trasportare gli oggetti pesanti. In questa località si
narra che Ulisse sarebbe sbarcato sulla piana sottostante prima del suo
incontro con Polifemo e forse l’antro del Ciclope sarebbe proprio la grotta
di Seiano. Attualmente, costeggiando la piana di Coroglio sorge la Fondazione
IDIS e Città della Scienza, proprio lì dove un tempo si potevano
osservare gli stabilimenti dell’ILVA, ormai “archeologia industriale”,
ma la cui presenza ha costituito l’ossatura industriale di Napoli per decenni
e ancora oggi aspetta che venga reso operativo il piano di
riconversione industriale.
Fatto sta che Bagnoli, prima di essere un quartiere
operaio, era un centro balneare: qui nell’800 furono scoperte sorgenti
termali, per la precisione erano acque della sorgente Juncara; acque che
si rilevarono portatrici di poteri terapeutici.
Di fronte Nisida dal greco Nesis (piccola
isola), immaginata da Pontano una ninfa amata dal Dio Posillipo, dalla
quale sarebbe nata Antiniana, personificazione di Antignano, per Pontano,
mentre Sannazzaro nell’Arcadia si rivolge all’isola denunciandone l’aspetto
selvatico. Così Omero per primo nel IX libro dell’Odissea descrive
quest’isolotto:
“ Di fianco al porto c’è un’isola, né troppo vicina né lontana dalla terra dei Ciclopi. E’ tutta ricoperta di boschi: e qui prosperano capre selvatiche, numerosissime. Non le disturbano uomini di passaggio….nutre solo capre che belano”. (da Omero “Odissea” Libro IX traduzione di Silvia Innocenti ed. Fratelli Melita p. 140).
Uno studioso francese Berard sostiene
di aver rinvenuto ciò che i versi omerici descrivono:
il porto naturale, fortemente protetto dai venti grazie
alle pareti dell’antico cratere. Ed è da
Nisida che Ulisse raggiunge il territorio abitato dai Ciclopi,
personificazioni dei vulcani flegrei, trasfigurati
dalla fantasia dei viaggiatori ellenici in mostri
dall’unico occhio, che lanciano contro i
navigatori enormi macigni. Il regno di Polifemo,
corrispondente alla parte terminante alla dorsale di Posillipo.
Dopo molto tempo, Nisida
è ancora teatro di vicende: Cicerone,
dopo l’uccisione di Cesare nel 44 a. C.,
si recò a Nisida per incontrarvi Bruto, sfuggito
all’ira di Ottaviano.
Ma a Nisida avvenne anche il
suicidio di Porzia, figlia di Catone Uticense e
moglie di Bruto, di cui ci dà ampia
testimonianza Marziale.
Oggi sede del penitenziario minorile, Nisida
è sempre un luogo vulcanico, il cui nome si lega a fatti paranormali:
si racconta che un tale, dissertando su fatti paranormali, fu attratto
da qualcosa, un rumore di un motore di una imbarcazione spuntata dal nulla
con a bordo un uomo vestito di bianco, che si dirigeva verso gli scogli.
Questa persona, spaventata pensava ad un impatto, invece…l’imbarcazione
attraversò gli scogli e l’uomo in bianco da lontano guardava.
^
MITO e RELIGIONE: S. Gennaro mistero e miracolo
Occupandoci in questa sede dei Campi Flegrei,
ci riserviamo di dedicare spazio ai luoghi e al culto del Santo limitatamente
all’area flegrea e, vedendo in modo trasversale i rapporti con il capoluogo
partenopeo.
Parlare di S. Gennaro significa tener luogo del
mondo sotterraneo, delle catacombe e, quindi, di quei tanti culti pagani
che si fusero con il cristianesimo. Si pensi alle contaminazioni, ai “rituali”
che traslarono dai vecchi templi a quelli religiosi; ma parlare di
S. Gennaro significa tener conto del mistero che ancora si cela dietro
al miracolo.
Per quanto riguarda le catacombe, l’area dei
Campi Flegrei si presenta essere costituita di materiale tufaceo, molle
e leggero, grazie al quale ha generato molte grotte sotterranee.
Quali sono le origini di queste caverne? Franz in “Napoli Antica”, riprendendo
il parere di Pelliccia e di De Atellis, recupera da un lato il mito omerico
e dei Cimmeri, popoli che abitavano le spelonche e le caverne, dall’altra
quella di questi popoli come abitanti di Cuma. Le esalazioni che
uscivano dai laghi, sembravano dire ad Omero che i Cimei, Cimeri, i Cumani
abitassero tra le tenebre.
Fatto sta che con il Cristianesimo le grotte
sono state usate per seppellire i morti, sia che si trovassero a Napoli,
sia che si trovassero nei Campi Flegrei.
Dagli Atti Bolognesi ( citato in Giampaolo Infusino
“S. Gennaro Sacro e Profano” da ora in poi Giampaolo Infusino 2 ) si evince
che al tempo di Diocleziano i cristiani venivano perseguitati e anche l’Anfiteatro
Flavio puteolano divenne scenario dei Martiri. Qui si tramanda che venne
decapitato il martire Gennaro.
E noi dall’Anfiteatro partiamo per questo
nostro piccolo percorso tra la religione e il mito. Con il martirio nel
305 di Gennaro ha inizio il culto del Santo tra “sacro e profano”. I devoti
nei pressi della Solfatara avrebbero eretto la piccola chiesa, forse nel
V secolo, e poi ristrutturata nel 1574. Di qui poi le leggende vere o false
che siano. Ma per prima cosa vediamo chi era Gennaro martire.
S. Gennaro si dice discendente della gens Ianuaria
o forse da un ceppo abitante a Vibo Valentia. Su quest’ultima interpretazione,
taluni studiosi hanno osservato che il Santo calabrese sia uno dei 14 santi
e non il patrono di Napoli. In ogni caso, nell’una o nell’altra ipotesi,
pare che sia certo l’origine umile e povera. Si sa che ad un certo punto
avesse seguito un’Eremita, ma poi, le tracce si perdono per ritrovarlo
in qualità del vescovo di Benevento, in missione nei Campi Flegrei
per ripristinare il rigore morale. Per questo motivo, venne imprigionato
e decapitato (305 ) e deposto in una località chiamata Marciano
( luogo non ben identificato, ma che Johannowsky citato in Giampaolo Infusino2
ubica nei pressi dell’attuale zona alta di Fuorigrotta ). Sarà il
vescovo di Napoli Giovanni I a dare un sepolcro decoroso e a portarlo nelle
catacombe di Capodimonte.
Nel 1580 nel presunto sito del martirio venne
costruita la Chiesa e, la presenza della “pietra puteolana”, sarebbe la
prova. Tale pietra, infatti, è considerata il ceppo sul quale S.
Gennaro venne decapitato, anche se alcuni studiosi avrebbero dimostrato
che in realtà si tratta di un antico altare e le macchie sarebbero
un decorazione e comunque di epoca successiva a
quella del Santo. Sulla questione, tuttavia la diatriba è
ancora aperta: nel 1926 un batuffolo di cotone
esaminato dall’Istituto di Medicina legale di Napoli
ha parlato di “sangue umano”, ma le reazioni del mondo
scientifico sono state comunque contrarie.
Per quanto riguarda il miracolo e la liquefazione
del sangue le notizie sono ancora più incerte. Antonio
Ghirelli in “Storia di Napoli” scrive che secondo la tradizione
una donna avesse raccolto dopo la decapitazione il
sangue in due lagrimatoi e li avesse nascosti nella propria
casa ad Antignano ( nei pressi del Vomero ). D’altronde qui , tra
il XV- XVI, cominciò a formarsi la leggenda di
una liquefazione del sangue di S. Gennaro. Questa donna, di
cui parla Ghirelli, avrebbe restituito le ampolle al vescovo
durante l’epoca di Costantino, tollerante verso il Cristianesimo.
In questa circostanza si sarebbe realizzato il primo miracolo
nel senso che il “sangue raggrumato nelle ampolle si liquefa
senza l’intervento di alcun fattore estraneo”. Un mistero questo
del miracolo che si aggiunge a quello delle ampolle: a quanto pare esse
non sarebbero due, ma tre. Dell’esistenza di questa terza, ci ha
ricostruito Michele Straniero studiando le carte di un sacerdote Cosimo
Stornaiuolo che, per la prima volta nel 1874, scrive “sappiamo per documenti
certi che perfino una terza ampolla del suo sangue fosse ricomparsa in
Napoli nel XVII sec.” Ancora Moscarella nel 1989 scrive che originariamente
le ampolline erano tre. D’altronde già nel XVIII secolo, è
documentato che nella cappella del tesoro di S.- Gennaro vi è una
terza ampollina, di cui pare che siano state date delle scagliette a Maria
Carolina ( 1771 ) e da essa dovrebbe provenire il contenuto del reliquario
di S. Gennaro che si trova a Madrid (citato in G. Infusino2).
Ma al di là del numero delle ampolle,
il culto di S. Gennaro è tra i più forti, tale da avere risonanza
nazionale. Già nella “Cronica siciliana” si legge che tale prodigio
si ripete in tre date che sembrano corrispondere alla data traslazione
delle ossa a Napoli, a quella del martirio e all’anniversario dell’eruzione
del Vesuvio nel 1631, prodigiosamente arrestatosi alle porte della
città, grazie all’intervento del Santo. Tale prodigio è la
liquefazione o colliquazione, cioè il passaggio del contenuto dell’ampolla
allo stato solido ed ha inizio con un graduale rammollimento della massa
e con una colorazione che pur rimanendo rossa, acquista sfumature che vanno
dal rosso vivo al rosso giallastro. Fenomenologicamente la sostanza si
liquefa, cambia colore, volume e peso, ma non possiamo riferirci alle comuni
leggi della fisica e della biologia. La sostanza di cui ci occupiamo è
colloidale, cioè una sostanza gelificata. Che si tratti di sangue,
lo ha appurato l’Università di Napoli nel 1902. Quello che è
meraviglioso è il ripetersi dell’evento e ….guai se non accade!!
Il popolo reagisce.
“Nella grande e bella chiesa di S. Chiara, tutta
bianca di stucco e carica di dorature, simile ad un amplissimo salone regale,
la folla aspettava il miracolo di S. Gennaro.
- San Gennaro! San Gennaro! San Gennaro! –…[..] Ad un tratto nella pausa di immenso silenzio che sussegue alla preghiera, l’arcivescovo si voltò al popolo: la faccia del sacerdote irradiata di una luce quasi divina, pareva trasfigurata: e la bianca mano levata in alto, mostrava al popolo l’ampollina, il Prezioso Sangue nel sottilissimo involucro di cristallo bolliva. Quale urlo!…[..]
- Vecchio dispettoso, ci vuoi far aspettare eh! –
- San Gennaro! San Gennaro! San Gennaro! -
- ….[..]
- Faccia verde! _
- Faccia gialluta! –
- Santo mlamente! –
- Fa miracolo. Fa miracolo! –
Sono tutte imprecazioni che servivano a risvegliare
un fenomeno ed era fatto per lo più da donne, le “parenti”, appassionate
popolane che avevano acquisito un “diritto esoterico”, ben lontano dal
cristiano “cantarus” per il viaggio nell’acqua e dalla tradizione orale
delle antiche sacerdotesse. Le “parenti di San Gennaro, come scrive Mario
Buonoconto in “Napoli esoterica” Newton Pag.19-20 ( da ora in poi M. Buonoconto
op. cit. ), “cantilenavano antichi ritmi temporali…per scandire un tempo
che non conoscevano più, ma che con aggiunte e deformazioni operate
per l’avvenuta ignoranza del vero scopo, non possedevano più il
giusto rigore rituale”.
Anche Dumas nel “Il corricolo” ritorna sul miracolo
di San Gennaro” …[..] Il prete levò in alto la teca gridando “Gloria
a San Gennaro! Il miracolo è fatto!”
Se da un punto di vista agiografico, la prima
notizia della liquefazione del sangue risalirebbe al 1389, durante la festa
dell’Assunta, G. Infusino in una nota a pag. 31 (cfr. G. Infusino2 ) scrive
che Vincenzo Paleotti ci informa che le due epidemie di colera del 1836
e del 1884 furono anticipate dal Santo; specie per la seconda, il miracolo
si fece attendere per 16 ore e si fece attendere anche nelle scadenze di
maggio e dicembre. Solo ad epidemia cessata il miracolo si svolse in modo
regolare.
Anche per il colera del 1973 il miracolo si fece
attendere per 2 giorni. Fa eccezione il 1980, fatidica data del terribile
terremoto in Campania. Quell’anno il miracolo era avvenuto regolarmente….Allora…
“meditate gente, meditate.”
Attualmente il miracolo si svolge a maggio e
a settembre nel Duomo di Napoli e, contemporaneamente, si ravvivano le
macchie sulla “pietra puteolana”.
Da un punto di vista antropologico, dunque
come rilevano gli scritti dei famosi autori sopra riportati, il culto del
Santo ha una serie di sfaccettature e acquista, anche da un punto di vista
folcloristico aspetti rilevanti, non solo di carattere religioso. Del resto
tale simbiosi, - quella tra popolo e santo, - si perde nel tempo: prima
di essere patrono di Napoli, Gennaro (confidenzialmente parlando) fu dichiarato
patrono del Regno Borbonico, fino al riconoscimento nel 1738 da parte di
Carlo VII di Borbone dell’insigne Reale Ordine di San Gennaro.
Anche da un punto di vista canoro, il culto del
Santo si è manifestato nelle feste popolari e tra gli anni 30-40
del ‘900, il repertorio della musica partenopea dà un noto contributo,
regalando al Santo uno dei più noti brani della tradizione partenopea.
Chi non ricorda…
Addirittura, abbiamo visto con le espressioni
della Serao, come il popolo napoletano si rivolga al Santo Protettore anche
in modo confidenziale se non addirittura irriverente (Faccia verde, faccia
gialluta ).
In ogni caso la richiesta è sempre quella
di ottenere una grazia, un miracolo. A tutti crediamo faccia piacere ricordare
il gruppo “La Smorfia”
Massimo:- San Gennà’, io sto qua, tu già mi conosci a me, no?… ie so’ sempre chille ca… sime putisse fa’ ‘ a grazia, ca …ie nun avisse parlà proprio, eh, …[..] si putesse anticipà ‘nu poco ‘e ppratiche ‘ chella grazia, ca…ie naggio bisogno
Lello:- San Genna buongiorno!
Massimo:- Sta parlando c’ ‘o frate, chiste
Lello:- San Gennà.
Massimo:- San Gennà, ci siamo spiegati? Ie ‘o faccio parlà… però tu già saie chello che hè ‘a fa..ie so’ cliente e voglio o trattamento……[..] ( Massimo a San Gennaro) :- Fancella a Grazia, San Gennà.
…..[..]
( da Arena Decaro Troisi “ La Smorfia” Einaudi
pagg. 17- 18. Noi vi invitiamo a leggere il testo completo.)
Dunque abbiamo visto come nel tempo, anche in
quelli più recenti il culto del santo non accenna a diminuire. Del
resto escluso spiegazioni scientifiche, dobbiamo fare ricorso solo ad un
atto di fede. Infusino ( cfr. G. Infusino2 ) scrive che si dovrebbe
parlare di “tissotropia”. Con questo termine ( e si cita testualmente dal
Vocabolario Devoto- Oli Vol. II pag 3223 ), “si indica il fenomeno
per cui alcuni gel passano allo stato liquido per effetto di semplice agitazione
o di vibrazione, e tornano a coagulare quando l’azione meccanica
cessa”. Poiché siamo in assenza di teorie scientifiche, pare che
anche gli esperti scientifici diano una spiegazione del miracolo facendo
ricorso alla tissotropia. Anzi, in tempi molto recenti, l’Università
di Padova ha riproposto scientificamente il fenomeno usando antiche sostanze
come il bicarbonato di calcio, il cloruro di ferro in soluzione, l’acqua
distillata e persino un pizzico di sale, ottenendo grumi gelatinosi, “reversibili”
dopo un necessario scuotimento del contenitore; di fatto si potrebbe dire
che questo è un rendere omaggio alla scuola alchemica napoletana
che si specializzò in tempi antichi.
E poi non si dimentichi che tale liquefazione
segue una serie di accorgimenti: la teca con le ampolle deve essere posta
in vista all’imbusto. E’, inoltre, importante scandire il tempo con suoni
ritmati, per provocare particolari onde sonore. Addirittura i vecchi alchimisti
usavano delle cantilene, perché non bisognava mai distogliere lo
sguardo, mentre il discorso sul ritmo apre un nuovo taglio al filone musica-
magia, una pratica già usata dagli Egizi, e che nella tradizione
campana si lega alla presenza femminile, “le sacerdotesse”, che in
epoca romana officiavano il culto della fecondità . Buonoconto
nell’opera citata descrive come la magia femminile napoletana sia passata
da quelle formule inquietanti di “ianare” a quelle delle “sorelle”, “confraternite”
in senso occulto che si chiamano “parenti”. Tali figure, che nel corso
del tempo si legheranno a S. Gennaro, cantilenavano antichi ritmi appresi
da precedenti “maestre”. Questi canti, però, si sono contaminati
nel corso del tempo e, ben lontani dall’antico rituale di purificazione,
si sono legati a pratiche segrete eseguite da queste magistrali persone
che sono le “parenti”: di qui il successo delle fattucchiere, delle streghe,
e del malocchio ancora oggi molto diffuso negli strati popolari e
contadini (cfr. Mario Buonoconto op. cit. pag.19 – 20).
Anche per San Gennaro molta acqua è passata
sotto i ponti, ma noi siamo ancora qui ad …..aspettare sempre “o miracolo”.
Dove andare e cosa visitare
Parco Virgiliano: realizzato in epoca
fascista, il Parco è stato restaurato nel
1976. Vi si trovano a) la tomba di Giacomo Leopardi , costruita a
imitazione dei cippi funerari romani nel 1934. Fino a quella data,
le spoglie del poeta erano conservate nella Chiesa di San Vitale
a Fuorigrotta, in quanto il parroco di quella
chiesa fosse stato il solo ad acconsentire
alla richiesta del conte Ranieri di ospitare
la salma del poeta, morto in un
periodo in cui a causa di un’epidemia
di colera era obbligatoria la fossa comune.
b) la Crypta Neapolitana: costruita
in epoca romana da Cocceio. La crypta collegava
Napoli conn la zona flegrea in maniera più rapida di
non consentissero le vie per colle fino ad allora
praticabili.
c) la Tomba di Virgilio:
è situata accanto alla crypta, ma l’attribuzione
a Virgilio è incerta . Di certo è un monumento
funebre romano , chiamato colombario per le nicchie scavate
all’interno. All’interno vi è un tripode, in
cui si bruciavano aromi in onore
dei morti.
Posillipo: si può partire
da Capo di Posillipo, con una piccola deviazione
nell’antico villaggio di Villanova, e si spinge fino alle Terme
Romane di Agnano. Inoltrandosi per Marechiaro si può
visitare la chiesa di Santa Maria del Faro, antico padronato della nobile
famiglia Coppola, originaria di Amalfi. Risalendo Via Boccaccio, si arriva
a Via G. Pascoli, dove si trova la chiesa di Santo Strato. Tale chiesa,
sorse nel 1266 sui resti di una fabbrica romana e il suo nome deriva dal
culto di Santo Stratone, introdotto nel villaggio da una colonia greca
proveniente da Nicodemia. Ampliata nel 1572 dall’abate di San Giovanni
Maggiore, è sorta proprio nel luogo della piccola cappella del ‘200.
Nel villaggio di Villanova (da Via Boccaccio
verso il Vomero), si può visitare la chiesa di Santa Maria della
Consolazione: ristrutturata a pianta ottagonale nel 1737 su una chiesa
del ‘500 dall’architetto Ferdinando Sanfelice. La volta, una finta volta
ha una struttura a capriate lignee. La facciata è stata rifatta
nel XIX secolo e dell’architetto settecentesco oggi si conserva solo il
finestrone.
Grotta di Seiano: Già durante i
primi secoli dell’impero romano, tutta l’area del golfo fu interessata
all’insediamento di ville ed appartamenti di proprietà di politici
e dell’aristocrazia. A Posillipo venne innalzata la residenza Pausilypon
(riposo degli affanni), che ha dato, poi, il nome a tutto il promontorio.
L’intero complesso apparteneva a Publio Vedio Pollione, personaggio dell’epoca
augustea e la cui ricchezza e crudeltà è testimoniata da
Plinio, Dione Cassio, Seneca. Con la morte di Vedio Pollione, la villa
passò ad Augusto che l’ingrandì e la dotò di servizi
necessari per una residenza imperiale. L’intero complesso si estendeva
dalla cala di Trentaremi a Marechiaro: edifici residenziali, quartieri
per gli ospiti, impianti termali, giardini, ninfei. Resti di tali costruzioni
sono visibili a Marechiaro (come il Tempio della Fortuna e il Palazzo degli
Spiriti), mentre nel vallone della Gaiola sorgono edifici importanti, come
un teatro con la cavea del diametro di m.47 e 19 ordini di sedili, capaci
di accogliere 2000 spettatori ed un odeion, ovvero un edificio destinato
a spettacoli musicali. Probabilmente per avere un comodo accesso alla villa
fu costruita la Grotta di Seiano, lunga circa ottocento metri e che , partendo
dall’ultima curva di Coroglio, rompe la collina di Posillipo e arriva alla
Gaiola. Una lunga grotta, dunque, non uniforme infatti, la parte di Coroglio
ha subito dei trattamenti di sostegno, in quanto è scavata in un
punto in cui il tufo è poco compatto, mentre la parte orientale,
relativa alla Gaiola è in tufo compatto e, quindi, priva di
supporti.
La scoperta della galleria è avvenuta
nel 1840, durante la costruzione della strada tra Coroglio e Bagnoli, quando
appunto si sono fatti i supporti al lato di Coroglio. Ufficialmente è
stata aperta nel 1841; non si conosce bene la sorte successiva: si sa che
ha subito uno stato di abbandono e da ricordi di famiglia si è venuto
a sapere che è stato un rifugio in epoca bellica; oggi è
stata completamente ripristinata e durante il “Maggio dei Monumenti” è
possibile percorrerla tutta.
Nisida: l’antica Nesis – isoletta è
una piccola isola che si innalza a 109 metri sul livello del mare. Valorizzata
in epoca repubblicana e imperiale, era considerata un luogo di svaghi:
pare che Bruto su consiglio di Cicerone l’avesse scelta come residenza
estiva e sicuramente qui Bruto aderì alla congiura contro Cesare
e nel luglio del 44 a.C. dopo l’uccisione del dittatore incontrò
più volte Cicerone. Due anni dopo qui si suicidò la moglie
di Bruto, Porzia, figlia di Catone.
Rimane poco del vecchio insediamento: forse l’edificio
centrale sorge proprio laddove ora c’ è il carcere minorile. Di
rilievo sono le cinque grotte - ninfeo scavate nel tufo, databili
intorno al I sec. d.C. presenti proprio sulla strada che porta al carcere.
Restano tracce di due moli poi sommersi dal bradisismo. Ceduta da Costantino
alla chiesa napoletana, in epoca medievale l’isola è stata sede
di un monastero, per poi divenire dimora della regina Giovanna in
epoca angioina. Nel 1554 fu acquistata da Giovanni Piccolomini, duca di
Amalfi, che ne fece un richiamo per la nobiltà elegante e raffinata.
Alla fine del XVI secolo sorse un lazzaretto sporco per raccogliere le
merci sospettate di peste e ha assunto a questo ruolo fino a
tutto l’800. Dal 1825 il castello Piccolomini è stata sede per ergastolani
e detenuti politici e ancora oggi è sede del carcere minorile ed
è ancora un luogo separato dalla città.
Terme romane di Agnano:si estendono sul
pendio del monte Spina, disposti su vari terrazzamenti. Ad occidente un
muro incavato da nicchioni, rappresenta il nucleo principale, a sua volta,
sostenuto da un poderoso muro con contrafforti. Scavato tra il 1898 e il
1911, ha perso le caratteristiche antiche: si pensa che il nucleo antico
di età adrianea si estendeva nella zona occidentale e comprende
gli ambienti caldi ed il frigidarium ( a pianta rettangolare con una vasca
e con tre nicchie ), mentre le sale ad oriente, adibite a spogliatoi e
depositi, sono un ampliamento successivo. Dal frigidarium si arriva a due
ambienti attivati dal calore, separati dal tepidarium absidato e da qui
si accedeva ad una sala a forma rettangolare con abside, fornito di un
praefurnium, riscaldato artificialmente, ad ovest, dove ora ci sono le
coltivazioni, c’era la palestra. L’acqua del Serino giungeva da un cunicolo
che attraversa il monte e veniva raccolta in due bacini da cui, mediante
un condotto che corre sotto il frigidarium, tubi e vasche veniva distribuita
nei vari ambienti.
Usato in epoca tardo antica, ha subito restauri
già alla fine del V secolo e sono state usate a scopo terapeutico
nel VI secolo dal Vescovo di Capua e ancora oggi assolvono a questa funzione.
Terme di Via Terracina: emerse nel 1939 si trovano tra la Via Terracina e Via Marconi e probabilmente rappresentavano un luogo di sosta statio, lungo l’asse stradale tra Napoli e Pozzuoli. L’edificio si eleva su più livelli e risale al II sec. d.C., ma sicuramente successivi sono il corridoio d’ingresso, gli ambienti ad est del corridoio, forse tabernae. Il complesso si articola intorno al frigidarium , sale del bagno freddo, e all’apodyterium, ovvero allo spogliatoio. Gli ambienti caldi, costruiti in laterizi sono disposti in modo circolare, per passare gradatamente dal caldo al freddo. Il riscaldamento era ottenuto tramite un doppio pavimento detto Hipocaustum retto da un suspensurae, l’aria calda dalla fornace si diffondeva lungo le pareti tramite un’intercapedine fatta con tubi di terracotta o con tegole dotate di distanziatori. Il pavimento in alcuni ambienti è a mosaico: di rilievo quello dell’apodyterium, rappresentante una Nereide seduta sulle spire della coda di un tritone, quello del frigidarium, raffigurante un corteo di mostri marini con figure antropomorfe.
Avendo fatto menzione al Culto di San Gennaro, consigliamo almeno di visitare:
Duomo di Napoli-Via Duomo: costruito nel
1294 per volontà di Carlo d’Angiò ( che tra l’altro fece
modellare un busto esposto nella Cappella del Tesoro) su preesistenti edifici,
la facciata è stata ricostruita nel 1349. I portali sono del 1400
per opera di Antonio Baboccio di Piperno; mentre la Madonna con il Bambino
è un’opera della metà del XIV secolo di Tino da Camaino.
L’interno, molto decorato, è a croce latina
a tre navate; quella centrale rispecchia i successivi interventi barocchi.
Il soffitto a cassettoni è del 16 21 con tele di Santafede, Forlì
e dell’Imparato.
Cappella del Tesoro: costruita nel 1527
durante l’epidemia, il popolo fece voto di erigere una cappella che poi
avrebbe dovuto contenere il “tesoro” (busto e reliquario ).
La cappella è a pianta centrale a croce
greca e culmina in una grande cupola e un ampio presbiterio utile per le
funzioni religiose, con balconate laterali per accogliere i musicisti.
Il cancello d'ingresso fa da cerniera tra l’ambiente e le navate della
cattedra, opera di Fanzago, uomo del barocco. Dall’altra parte il busto,
opera come si diceva di Carlo II d’Angiò e dotato di una base d’argento
nel 1609. Le opere realizzate ed esposte sembrano unire mito e sacro:
lo scultore Finelli ha realizzato un’opera nella quale San Gennaro in volo
protegge la città che è rappresentato dalle figure allegoriche
della Ninfa Partenope e dalla personificazione del fiume Sebeto.
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I Campi Flegrei
Il Museo nel Castello: edificato sul finire del XV sec. Da Alfonso d’Aragona per difendersi dai Mori, il Castello fu ampliato e fortificato nel 500 dal vicerè spagnolo don Pedro di Toledo. Sorse sulle rovine di una grandiosa villa di epoca romana, attribuita a Cesare. Fortezza militare per secoli, fu orfanotrofio militare dal 1927-1984, quando poi è stato acquistato dallo Stato. Ora è un Museo con le statue del Sacello degli Augustali di Miseno e i reperti di Punta Epitaffio.(Via Castello).
Le Terme: sono un complesso che si estende per circa 450 metri e la loro fortuna si è fondata sulle virtù terapeutiche delle sorgenti termali e dei vapori che scaturivano dal sottosuolo vulcanico. Si divide in quattro terme: del tempio di Diana, del tempio di Mercurio ( il più famoso, noto come il “tempio dell’eco” per l’effetto acustico provocato dalla volta ), della piscina di Sosandra, del tempio di Venere. Quest’ultimo, isolato dal grande complesso termale, è un grande edificio ha pianta circolare ed è arricchito da quattro nicchie semicircolari che mediano il passaggio del perimetro esterno. Le pareti dovevano essere un tempo decorate e rivestite da lastre di marmo, la struttura muraria esterna è in laterizio. La volta, ormai distrutta, doveva essere ad “ombrello”, costruita in opera cementizia, alternata a strati di tufo e pietra lavica.(Via Fusaro,35 a Bacoli)
Chiesa dei marinai: situata sul litorale di Baia, la chiesa sorta all’inizio del secolo come cappella dei pescatori, è un edificio a doppio livello di linee neoclassiche, con un unico ingresso sormontato da un finestrone termale. A sinistra un campanile, mentre l’interno presenta un’unica navata con soffitto a cassettone e presbiterio coperto da una cupola emisferica senza tamburo. Negli anni ’30 sono stati realizzati un ampliamento della cupola. (Via Lucullo 0re 9-19).
Il Parco ricco di vegetazione , il
parco consente una visione del golfo. In esso
si trovano alcune specie arboree, tra i quali il
mirto antico, l’eucaliptolo e l’alloro. Con l’ingresso su un promontorio
vulcanico, la zona è ricca di testimonianze archeologiche e di ritrovamenti
di tombe romane. ( Via Bellavista )
^
Cento Camerelle: più note come le “prigioni di Nerone”, doveva essere una delle ville più importanti, forse appartenuta da Ortensio Ortalo, che vi compare con il soprannome di “incantatore di pesci”. Qui soggiornò prima di essere uccisa anche Agrippina. ( Via Cento Camerelle )
Chiesa di S. Anna ( Via S. Anna ): la chiesa di Sant’Anna , Gesù e Maria sorge nel centro storico e fu iniziata nel 1690 dall’allora vescovo di Pozzuoli Domenico Maria Marchese. Posta su una doppia rampa ha una torre campanaria in tufo ricoperto d’intonaco. L’interno lungo 30 m. diviso in tre navate da colonne scanalate in muratura. L’altare maggiore è un’opera barocca della metà del XVIII sec. Ed è sovrastata da un un’edicola in stucco. (Via Sant’Anna ore 9-19).
Piscina Mirabile: costruita in epoca augustea, era la più imponente cisterna romana, punto terminale dell’acquedotto del Serino e rispondeva alle esigenze di approvvigionamento idrico della classe pretoria misenese. Contenente 12mila metri cubi di acqua, ha un impianto a pilastri cruciformi con pareti rivestite in cocciopesto idraulico. ( Via A. Greco ).
Tomba di Agrippina: più che di una
tomba si tratta di un teatro ninfeo parte di una imponente “villa marittima”
poi trasformata tra il I e il II sec in ninfeo ad esedra, a cui, però,
la tradizione ha attribuito il mausoleo funebre di Agrippina uccisa nel
59 d.C. da sicari su ordine del figlio Nerone. (Via Spiaggia-Marina Grande
).
^
CUMA:
Acropoli (via Acropoli)
Tempio di Apollo: eretto, come narra
Virgilio da Dedalo padre di Icaro, sfuggito al labirinto di Cnosso,
grazie ad Apollo e forse risale all’età augustea e fu realizzato
nell’ambito del programma imperiale di rivalutazione dei luoghi legati
alla leggenda di Enea e al culto del dio Sole. Trasformata in basilica
cristiana nel V sec resta ancora oggi una vasca ottagonale, ritenuta fonte
battesimale.
Tempio di Giove: L’attribuzione a Giove è arbitrarie forse tale attribuzione si giustifica col fatto che è il maggior santuario dell’acropoli. Il tempio sarebbe consacrato a Demetra, una divinità dei Cumani. Alla fine del VII sec. Venne consacrata al protomartire Massimo, il cui corpo sarebbe accolto qui. In epoca altomedievale fu costruita una cappella e nella cappella centrale furono accolte sepolture a fossa per i membri della comunità.
Anfiteatro: fuori dall’acropoli, l’anfiteatro costruito sul pendio del Monte Grillo e risalente all fine del II inizio del I sec. A.C. Suddivisa da moderni terrazzi, è occupata da un frutteto che rende insolita e affascinante questo luogo. Esso si presenta con una fila di archi su pilastri relativi alla summa cavea, fondata sul terreno direttamente. (Via Cuma-Fusaro).
Antro della Sibilla: noto fin dal IV sec.
A.C. noto dalle pagine di Virgilio, in epoca medievale alcuni studiosi
credettero di riconoscere l’antro nella Grotta sul lago d’Averno, mentre
Amedeo Maiuri nel 1925 pensava di averlo trovato nella Crypta. Oggi, scendendo
per la via Sacra e i gradini ci si trova all’ingresso dell’antro. Esso
si presenta in un camminamento a forma trapezoidale, scavato nel tufo rischiarato
da luci laterali, in fondo si trovano tre grandi nicchie nelle pareti,
una sorta di stanza segreta in cui la Sibilla pronunciava le profezie.
Tuttavia ancora oggi gli studiosi sono alla ricerca
del vero antro.
Cripta romana: scavata sotto il monte Cuma, fu costruita in età augustea e collegava la parte bassa con il porto di Cuma ed era illuminata da una serie di pozzi. Usata come catacomba cristiana nel V secolo perse la funzione di collegamento e dopo la guerra greco – dorica cominciò il suo interramento.
Foro: si erge su un podio a forma quadrata
ed è ciò che resta del tempio romano “Capitolium”,consacrato
a Giove, Giunone, Minerva. La statue dovevano trovarsi nelle celle, ma
sono state rinvenute in tempi diversi. I primi scavi cominciati nel 1758
fecero rinvenire il busto di Giove e fu sistemato nei pressi del Palazzo
Reale e precisamente nel luogo detto “Gigante di Palazzo”.
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Casina: vera arte del ‘700, la casina vanvitelliana
è l’antica “Palus Acherusia”, voluta da Ferdinando di Borbone come
casina di caccia e come pegno d’ amore per la sua seconda moglie Lucia
Migliaccio, duchessa di Floridia. Nel 1782 la progettò Carlo Vanvitelli,
saccheggiata durante la Rivoluzione partenopea, lesionata dai terremoti
e bradisismi, è stata restaurata nel 1991. (Via Fusaro a Bacoli
)
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Chiesa di San Sossio: antichissima chiesetta, presenta un prospetto a Capanna. L’edificio è preceduto da una gradinata con resti marmorei, provenienti dalle antiche strutture del porto romano. L’interno ad un’unica navata presenta il presbiterio coperto da una cupoletta emisferica senza tamburo. Intitolata a san Sossio, il martire decapitato insieme con San Gennaro il 19 settembre del 305, la chiesa ha subito trasformazioni. Attaccato dai saraceni, l’edificio intorno al IX secolo fu ridotto a rudere. Nel 905 la tomba del Santo, ritrovata tra le macerie, fu trasportata a Napoli nella chiesa di San Severino. Nel 1807 i resti di San Sossio approdarono a Frattamaggiore, dove sono ancora custoditi. (Via Miseno a Bacoli ore 9-19).
Faro: … dove morì il leggendario trombettiere, morto dopo la gara di tromba col Tritone. Il corpo, lanciato nel mare, fu portato dai flutti sulla spiaggia flegrea. Si possono ancora trovare arbusti della macchia mediterranea, dai lecci ai corbezzoli. La vegetazione è rimasta selvaggia e dalla cima si possono ammirare Ischia, Capri, Procida. ( sulla Via Faro ).
Sacello: di questo monumento restano le
mura “ opus reticulatum “ che formavano l’ambiente centrale e i due porticati
adiacenti. Dedicato al culto degli imperatori, di cui gli augustali erano
i sacerdoti, si può visitare solo la parte dell’epoca imperiale
scoperta nel 1967. Si ascrivono reperti importanti: le statue equestre
di Domiziani e Nerva, quelle di Vespasiano e Tito . In età angioina
venne innalzato un frontone con un’iscrizione dedicata ai coniugi Cassia
Victoria e Laecanius Primitivus. (Via Miseno ore 9 -19)
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Anfiteatro Flavio: costruito sotto l’imperatore Vespasiano è una delle più grandi arene. Sorto su una grande terrazza urbana e destinato ad ospitare i più importanti monumenti dell’urbs romana, con i suoi 149 metri di altezza è il terzo in Italia dopo il Colosseo e l’Anfiteatro di Capua. L’edificio si presenta con tre ordini di arcate, era circondata da un portico ellittico che sorgeva su di una platea in travertino i cui pilastri in piperno furono sostituiti con colonne di laterizio, in età antonina. (Corso Terracciano dalle ore 9 ad un’ora prima del tramonto).
Avellino (Villa): All’interno della villa, sulla Via Rosini, si possono ammirare cisterne puteolane destinate ad alimentare la città bassa ed il grande porto. Si può, inoltre osservare la piscina di Lusciano, di età Flavia e una cisterna , la “Centocamerelle”, così chiamata per la suddivisione in numerosi compartimenti comunicanti. La cisterna, in “opus reticulatum” è lunga 50 metri e larga venti. A valle ci sono ambienti terrazzati, un’aula circolare interrata: degli ambienti che, forse, appartenevano ad un complesso residenziale. (Apertura ore 9-19).
Averno (Lago): Le origini di questo lago risalgono a 4000 mila anni fa, quando lo specchio d’acqua comparve in seguito ad una violenta esplosione. La conca è situata tra i rilievi del Monte Nuovo e del Monte Grillo. Luogo sulle cui sponde Virgilio fa incontrare Enea con l’ombra del padre Anchise, ingresso dell’oltretomba e sede oracolare secondo la tradizione, il suo nome – Averno - deriva dal greco àrnos , che vuol dire “senza uccelli” probabilmente per l’esalazione tossiche emanate dall’acqua del lago, oggi scomparse, al punto che tra la vegetazione si possono scorgere stormi di folaghe. Sulle sponde del lago sorge il tempio di Apollo.
Chiesa di San Antonio: costruita nel 1479 per volere del duca di Maddaloni Diomede Carafa, fu poi affidata proprio da questi nel 1479 all’ordini dei Frati Minori. Nel 1540 fu ricostruito da Don Pedro di Toledo, dopo la distruzione del terremoto e ha perso la struttura del ‘400; le decorazioni in stucco sono del ‘700. L’altare maggiore, anch’esso del 700, è sovrastato dall’Assunzione del Marchione. Nella sagrestia è posta una statua marmorea del ‘400 e raffigurante San Giovanni Battista, mentre nella cappella si può ammirare una statua in legno del ‘500. (Via Pergolesi ore 9-19).
Chiesa dell’Assunta: Con architettura semplice e lineare, l’edificio è posto sulla vecchia darsena dei pescatori, ai piedi del Rione terra. Costruita nel 1621 in onore della purificazione della Madonna distrutta da un violento maremoto nel 1872, fu ricostruita nel 1880. Vi si celebrano funzioni della tradizione marinara, in occasione della festa dell’Assunta e di Santa Barbara ed ancor oggi la campana che scandisce il tempo, è un richiamo per i pescatori. (Via Castello ore 9-19).
Chiesa del Carmine: costruita dai carmelitani
del Carmine Maggiore di Napoli all’inizio del XVI secolo, è dedicata
a San Giacomo. Ha subito un primo restauro nella seconda metà del
700 e poi nel 1846 e abbellita dal Conte d’Aquila Luigi di Borbone..
Il portale è settecentesco, sovrastato
da un medaglione della prima metà dell’800. Sull’altere maggiore
va ammirato il paliotto con intarsi di madreperla e pietre pregiate. Sull’altare
della natività si trovano statue di legno di Pietro Belverte dei
secoli XV e XVI donate dal Vicerè Don Pedro de Toledo alla Chiesa.
Ai Piedi dell’altare di San Carlo Borromeo, in marmo policromo, si nota
lo stemma con la tomba del vescovo Carlo Maria Rosini, che fece costruire
l’altare e volle esservi seppellito. (Via Rosini ore 9-19).
Chiesa di San Gennaro: è sicuramente
la chiesa più importante. Situata nei pressi della Solfatara, si
trova lì dove il 19 settembre del 305 furono decapitati i martiri
Gennaro, Sossio, Procolo, Eutichete Acuzio, Festo e Desiderio.
La presenza di questa chiesa è attestata
già dal VI – VII secolo e vi si custodisce, come tramanda la tradizione,
la pietra della decollazione ancora intrisa del sangue dei sette martiri.
L’edificio ha subito continue devastazione e saccheggi nel corso dei secoli.
Ricostruita nel 1580, ristruttutata e ampliata nel 1701, è stata
completata nel 1860. Sul portale d’ingresso campeggia un bassorilievo in
marmo del XVII secolo raffigurante il volto di Cristo. Il 19 settembre
si festeggia ancora il miracolo, in concomitanza con il Duomo di Napoli;
un evento che se non accade ha cattivi presagi per Napoli. ( Via Solfatara
ore 9-19 ).
Chiesa di San Giuseppe: costruita nel 1706, la chiesa fu restaurata ed ampliata una prima volta nel 1925 e poi nel 1954. La facciata è semplice, mentre l’interno è a navata unica, con un arco trionfale che la separa dal presbiterio e coperta da una volta a botte unghiata. Sulle pareti della navata sono posti gli stalli lignei intagliata del 1707 immettono nella sagrestia in cui si può ammirare un po’ presepe del XVIII secolo con pastori vestiti con indumenti alla procidana. L’altare maggiore, in marmo policromo, dalle tele di de Matteis del 1717. Ai lati delle navate, invece, sono visibili tele del Cenatempo del 1706. (Viale Capomazza ore 9-19).
Chiesa di Santa Maria delle Grazie: costruita intorno al 1570 da una confraternite di laici, nel 1624 divenne una parrocchia. Più volte danneggiata dal bradisismo, è stata più volte chiusa e ristrutturata, per poi avere una nuova ricostruzione nel 1860, nella versione tutt’ora nota. L’interno è a tre navate; l’abside maggiore ha una tavola del ‘500 raffigurante la visitazione. Nel transetto sono sistemate tele di Giacinto Diano, una raffigurante San Giuseppe tra i Santi e l’altra l’ultima Cena. Vi si trova anche un Crocifisso del ?600. Nella navata sinistra sono visibili due altari barocchi in marmo raffiguranti San Leonardo e San Paolo, risalenti al 1736. (Piazza della Repubblica ore 9-19).
Chiesa del Purgatorio: fu edificata alla Madonna della Pietà nel 1639, poi ampliata nel 1817 e si trova nel centro di Pozzuoli, nella zona sottostante al Rione Terra. La facciata è in stile barocco, l’interno a croce latina ad una navata, coperta da volte a botte ribassata decorata con grandi quadri. Al 1782 risale la cantoria con l’organo e una decorazione arabesca. L’altare maggiore è di epoca successiva; risale infatti, al 1798 ed è in marmo policromo con un trono formato da due colonne corinzie con frontoni classicheggianti. ( Rampe Tellini ore 9-19 ).
Chiesa della Purificazione: edificata nel
1702 dall’omonima confraternite, è stata restaurata nel 1743 e nel
1860 il 21 ottobre fu scenario dell’acclamazione plebiscitaria da parte
dei puteolani per Vittorio Emanuele II primo re D’Italia.
L’interno e ad una navata divisa per tre spazi;
all’ingresso la cantoria con un affresco raffigurante l’annunciazione della
Madonna. L’altare maggiore è in marmi policromi con intarsi nel
paliotto, raffigurante la Madonna con il Bambino. Sulla porta della Sagrestia
è visibile una tela del Simonelli (1649-1713) raffigurante la Purificazione
della Vergine. (Via Marconi ore 9-19).
Chiesa di San Raffaele: Nel 1745 il sacerdote Domenico D’Oriano autorizzò la costruzione di una chiesa da intitolare ad Arcangelo Raffaele. La facciata mostra un portale di piperno con la statua dell’Arcangelo. L’interno presenta altari in marmi policromi realizzati nel 1750 da Crescenzo Trinchese e alcune opere d’arte come “Il Martirio di Santa Caterina” di Giacinto Diano del 1758, “L’Incoronazione di Maria” di Angelo Mozzillo del XVIII secolo e dello stesso secolo la statua di San Raffaele di Gennaro Vassallo, nonché la teca reliquaria di Cristoforo Pallio e Gennaro Arata.(Via Carlo Rosini ore 9-19).
Chiesa di San Vincenzo: costruita nella prima metà del ‘500, è stata officiata dai domenicani fino al 1806, ma è stata ingrandita e abbellita nel ‘700, con altari marmorei e pavimenti maiolicati. L’interno è a croce latina con cappelle laterali; la chiave dell’arco delle cappelle è ornata con cartigli in stucco di ispirazione barocca. L’altare del SS. Rosario è sovrastato da una tela di Francesco Viano eseguita nel 1738 e raffigurante la Madonna del Rosario. L’esterno è arricchito da un trittico in formelle di maiolica del 1852. (Via Matteotti ore 9-19).
Complesso termale Nettuno: Situato tra Via Terracciano e Via Pergolesi, si tratta di un complesso termale di età adrianea a grandi aule rettangolari e suggestive volte a botte, simile alle terme traianee a Roma. Le pareti del frigidarium sono articolate in nicchie a sezione piana in laterizio ed emergono sul piano di campagna per più di tredici metri. La copertura delle sale delle terme era a botte, le mura animate da cassettoni, decorate da stucchi, ancora visibili. La grandezza delle mura è ancora visibile nelle linee sinuose dell’architettura e dai colori delle decorazioni rimaste. ( Tra Via twerracciano e Via Pergolesi ore 9 –19).
Grotta della Sibilla: eseguita da Agrippina nel 37 a. C. durante la realizzazione del porto di Giulio, è una galleria scavata sotto il monte Grillo per mettere in comunicazione il porto militare e i cantieri sull’Averno. La tradizione medievale ha attribuito la crypta la sede dell’Oracolo virgiliano, ma in realtà è un impianto militare in seguito sfruttato come ambiente termale, grazie alla presenza di acque calde, acque che il mito virgiliano aveva rintracciato come rituale della Sibilla. (sul Lago d’Averno ore 9- 19).
Necropoli Romana: sono un complesso di 14 edifici costruiti fra il I e il II secolo d. C. e rappresenta un reperti funerari di età romana. Il complesso comprende non solo tombe ma anche edifici connessi ai riti funebri o addirittura con una destinazione diversa. Tombe a colombario a più livelli, ipogei e nicchie per olle cinerarie si snodano lungo il tracciato dell’antica via Consolare Campana che collegava Pozzuoli a Capua. (Via Celle ore 9- 19).
Monte Nuovo: Questo monte nacque con una tremenda esplosione nella notte del 29 settembre del 1538. La pioggia di lapilli e lava distrusse il villaggio di tripergole, impianti termali e probabilmente il “Cumanum”, la villa di Cicerone dove si voleva ripristinare l’Accademia Aristotelica. La pioggia di fuoco arrivò fino a Pozzuoli. Ancora oggi alle pendici c’è una ricca vegetazione di pini, ginestre, corbezzoli.
Residenza del Viceré: Dopo l’eruzione del Monte Nuovo, il viceré Don Pedro de Toledo fece costruire una dimora a Pozzuoli, con vasti giardini. Una residenza, che pare abbia visto anche le decorazioni del Vasari intorno al 1554, per poi trasformarsi in granaio nel ‘700 e poi in carcere nell’800; per quest’ultima trasformazione furono realizzate alcune trasformazioni, come la demolizione della merlatura sommitale e l’alzata di un parapetto. Nel 1870 fu acquistato dal Comune e trasformato in ospedale civile fino al 1970. Demolito nel 1984, oggi resta la possente torre quadrangolare. ( Via Ragnisco, apertura 9-19).
Solfatara: Situato sulla Via Solfatara, è il più antico vulcano flegreo ancora attivo. Nella solfatara si susseguono ancora fenomeni tellurici, e manifestazioni fumaroliche. Il suolo è costituito dal cosidetto “ bianchetto”, un materiale argilloso siliceo di colore chiaro. I materiali detritici, denotano una presenza lavica; i resti, infatti, sono di colore rosso-bruno. Nella Solfatara si possono riconoscere le rocce piroclastiche e le incrostazioni di cristallo di zolfo, di colore giallo. (dalle ore 8,30 ad un’ora prima del tramonto ulteriori informazioni allo 081-868 75 92).
Tempio di Apollo: sorge sulla riva orientale dell’Averno ed è attribuito all’oracolo per la grandezza delle mura. E’ un’aula termale, in parte sprofondata dal bradisismo. La sala in mattoni è una delle più grandi costruzioni circolari voltate. Costruita nel II secolo d.C. su di un complesso termale di età giulio claudia, ha una pianta ottagonale all’esterno e circolare all’interno; sulle pareti sono visibili quattro nicchie absidate semicircolari e quattro rettangolari.
Tempio di Serapide: così è
conosciuto il Macellum puteolano, detto Tempio di Serapide in conseguenza
del ritrovamento di una statua di Zeus Serapide. Da sempre costituisce
la rilevazione dei fenomeni di bradisismo; infatti le sedici colonne conservano
i segni dell’innnazamento e dell’abbassamento del livello della terra.
L’edificio è a pianta quadrata con un cortile centrale attorno al
quale un tempo c’erano le botteghe. Un tholos sorgeva al centro del mercato,
con statue e colonne, mentre tutta l’architettura è decorata con
tritoni ippocampi, nereidi. Le balaustre ai lati delle scale erano a forma
di delfino, conchiglie marmoree ornavano i capitelli delle colonne. (Via
Serapide 9-19).
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Mario Buonoconto “Napoli Esoterica” Economici
Newton.
Salvatore Di Giacomo “I Campi Flegrei” Procolo
Riccio Editore.
Franz (f. Savoja di Cangiano) “Napoli Antica”
Lito-Rama Editore.
Annamaria Ghedina “Guida ai fantasmi di Napoli”
Blado Editori Associati.
Antonio Ghirelli “Storia di Napoli” Einaudi.
Sigfrido E.F. Hobel “Viaggio nei siti e miti
dei Campi Flegrei” Auscultur Campania.
Giampaolo Infusino “Storia, miti, e leggende
dei Campi Flegrei” Lito-Rama Editore.
Anna Maria Bisi Ingrassia “Napoli e dintorni”
Newton Compton Editori.
Santa Mileto “ I Campi Flegrei” Economici Newton.
Santa Mileto/Fabio Speranza “I luoghi di San
Gennaro” Newton Editori.
Vittorio Gleijess “ La Neapolis” di Petronio
Arbitro in “Strenna Napoletana” per il 1974 a cura di Max Vairo Edizioni
Del Delfino.
Omero “Odissea” a cura di Silvia Innocenti Fratelli
Melita (in particolare Libro IX).
Virgilio “Eneide” a cura di Bacchelli ed Paravia
(in particolare Libro VI).
Fonti
Il Mattino: Inserti
Viaggio nel Mito 1993.
“Napoli Porte Aperte” 1994
“Napoli: Mito, scienza e superstizione” (2001).
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