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I Campi Flegrei: un viaggio tra  Mito e Fantasmi
di Rosaria Secondulfo
Informazioni, chiarimenti, discussioni at Contact point rosaria.ete@inwind.it 



Racconteremo di Miti e Fantasmi così come la tradizione popolare tramanda, fra il serio ed il faceto, con l'auspicio di veder il gentil lettore mettere alla prova il proprio coraggio.
 
Introduzione Dove Andare e Cosa Visitare
Da Pozzuoli a Torregaveta Napoli
Lucrino Baia
Lago d'Averno Bacoli
Baia Cuma
Bacoli Fusaro
Capo Miseno Miseno
Cuma Pozzuoli
Mito e fantasmi: dal mare di Mergellina a Nisida
Mito e Religione: S. Gennaro mistero e miracolo Bibliografia e Fonti

Introduzione

I “Campi Flegrei: un viaggio nel mito” è il titolo di una manifestazione promossa dal quotidiano “Il Mattino” nel 1993, quale segno della riscoperta e del rilancio culturale di una terra ricca di storia e di misteri. Nostra intenzione è quella di riproporre non solo un “viaggio” nel solare e ridente paesaggio flegreo, ma anche in quei sotterranei che rendono simbiotico il legame fra natura - mito/fantasmi - poesia.
Al titolo del “Il Mattino” un viaggio nel mito, aggiungiamo, infatti, anche i  fantasmi, per intendere ciò che la memoria collettiva evoca per spiegare le cose inverosimili,  anche se in fondo sono solo cose a cui non vogliamo credere…Eduardo docet  nell’opera “Questi Fantasmi”.
Racconteremo, dunque, i miti ed i fantasmi così come la tradizione popolare tramanda, fra il serio e il faceto, con l'auspicio  di veder il gentil lettore mettere alla prova il proprio coraggio.
 Ma torniamo ai Campi Flegrei.
Con il termine “Campi Flegrei” s’intende attualmente la zona ad ovest di Napoli compresa fra Posillipo  fino a Quarto e di lì verso nord lungo la via Domiziana, poco oltre Capo Miseno fino a Cuma ,così come già in epoca romana l’intendeva Plinio in “Storia Naturale”. Originariamente, secondo Diodoro Siculo la definizione “Flegrea” si attribuiva all’area fra il Monte Massico e i monti del casertano fino ai Lattari (cfr. Sigfrido E.F. Hoebel “Viaggio nei siti e miti dei Campi Flegrei” p. 7-da ora in poi S.E.F.H. op.cit.).
In ogni caso, il termine “Campi Flegrei”, deriva dal greco phlegraios che significa ardente grazie all’abbondanza di sorgenti calde e acque termali. Fin da allora l’intensa attività vulcanica e il ben noto fenomeno del bradisismo ha suscitato un’immagine mito - poesia, conferendo al vulcanesimo stesso tale coloritura. E allora ecco che i Campi Flegrei sono lo scontro tra Dei e Giganti, figli della Terra. Secondo Apollodoro Gea (la Terra), arrabbiata contro Giove e gli Dei per la sorte inflitta ai Titani aveva partorito i Giganti, esseri mostruosi che avrebbero assalito gli Dei. Questi, trovatisi in difficoltà, sarebbero stati aiutati da Ercole ed erano riusciti a sconfiggerli. Sicché nella Terra si riconoscono le forze vulcaniche e la vittoria sugli Dei. Tuttavia alcuni di questi esseri ancora vivrebbero sotto L’Epomeo, Procida, il Vesuvio, lì proprio dove sono sorte ville romane e dove il mitico Enea ha percorso non solo terre fertili, ma anche terre oscure e inquietanti.
E in debito verso Enea, è da qui che ci piace partire per questo breve viaggio, recuperando mito e magia; un mito e una magia che per noi ha inizio dalla mitica spiaggia di Mergellina, oggi alla ricerca della sua restituzione ai napoletani dopo il divieto di balneazione, ma all’epoca percorso obbligato per giungere alla chiesa di S. Maria di Piedigrotta, fino a quella che la leggenda lega alla Grotta di Virgilio. Tale grotta, come tramanda la “Cronaca di Partenope”, scritta nel XIV secolo,  è un vero documento su mago Virgilio. Tale grotta  pare sia stata scavata da Virgilio stesso in una notte.
La teoria di Virgilio Mago apre un discorso lungo sull’esoterismo, la cui testimonianza più accesa è nel “Castel dell’Ovo”, l’isolotto di S. Salvatore unito alla costa dal Borgo Marinaro. Mario Buonoconto in “Napoli Esoterica” Newton Editore (da ora in poi M. Buonoconto op. cit.), scrive che “l’uovo” o meglio “l’uovo filosofico” è il nome esoterico di un forno chiuso (athanor), nel quale veniva la trasmutazione degli elementi primari, zolfo e mercurio, in oro alchemico, al punto da far parlare a molti studiosi napoletani di …soluzione de vergilio.., l’acqua de lo mago virgilio…Secondo le cronache, Virgilio entrò nel castello di Megaride e vi pose un uovo chiuso in una gabbietta e fece murare in una nicchia delle fondamenta, avvisando che alla rottura dell’uovo tutta la città sarebbe crollata. E’ una leggenda alla quale si crede ancora oggi.
 A Mergellina, accanto al sepolcro del poeta latino, si apre la “Cripta Neopolitana”, luogo mitico per iniziare l’escursione nella zona flegrea; una lunga galleria che si ritiene scavata da Cocceio, e che rappresentava un percorso funzionale, per le comunicazioni tra Napoli e Pozzuoli, ma sgradevole perché troppo buio. A tal proposito nella “Cronaca di Partenope”, si legge che tale grotta sarebbe stata costruita in modo tale che la metà rivolta a levante era illuminata dal sole dall’alba a mezzodì e l’altra metà dal mezzodì a tramonto.(cfr. S.E.F.H. op cit. p.14 e seg.).  La Cripta avrebbe un natura prodigiosa legata al simbolismo della luce che illumina le tenebre in senso spirituale.
Per quanto riguarda la reale attribuzione della tomba a Virgilio è cosa difficile da stabilire. Secondo Donato del V sec.d.C., le ceneri del poeta – mago, furono traslate da Brindisi a Napoli. La tomba è ricordata da Petrarca, da Boccaccio, ma ha subito modificazioni in seguito ai lavori di Alfonso d’Aragona e solo negli anni ’30 del 900 che Enrico Cocchia volle attribuirla a Virgilio. Ma Mergellina è solo un punto di arrivo; il mito, quello  delle peregrinazioni di Ulisse ed Enea, si svolge tra Pozzuoli e Cuma, un lungo viaggio tra ombre e morti, dove i ricordi, come scrive Vittorio Gleijeses in un saggio dal titolo “la Neapolis di Petronio Arbitro “dell’antichità fanno parte della vita della nostra gente e si fondono nel contesto generale col vecchio, col moderno e col nuovo”: una “dolce vita” puteoli-neapolitana , dove la nobiltà dell’epoca era dedita agli otia, e dove la  natura già sembrava volersi ribellare all’avidità dei molti. Ecco allora perché vogliamo partire da Omero e Virgilio, per riscoprire  la nostra storia, i nostri miti, per recuperarli e per ridare vivibilità a certi luoghi il cui fascino incanta ancora oggi, al punto che ancora oggi tanta letteratura non può prescindere da miti come Ulisse, per esprimere il mistero e tutto quello che finisce con il crollare di fronte agli eventi che si dissolvono come spettri:

“Oppure opporre resistenza
ardire
di rompere le maglie dei prodigi

Navigare negando perseguire
la forza
armando l’aggressione sopra il mare

Morire sempre vivere
capire
che perenne si genera traguardo

(Pico Tamburini “Prospettive di Ulisse” Rusconi Pag.58)

E oltre a pag. 63:

Del fondo degli abissi è pieno il mare
del vuoto di ogni cielo vive il vento

Della natura prossima gli oracoli
daranno il sortilegio l’impossibile

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Da Pozzuoli a Torregaveta

Prima tappa del nostro mito  è Pozzuoli, l’antica Dicearchia, ovvero il “governo dei giusti”, quel governo costituitosi nel 529 a.C. dai coloni di Samo sfuggiti al tiranno Policrate. Sede delle “terme Puteolane”, ricca di cultura romana, la cittadina è così vista da Petronio Arbitro nel “Satyricon” ( cit. in Santa Mileto “i Campi Flegrei” Ed. Newton p. 18-da ora in poi S.M. op. cit.) “ Vi è un luogo posto nel fondo di un abisso cavo, tra Partenope e i vasti campi di Dicearchia, bagnato dalle acque del Cocito; infatti il vapore che si sprigiona, si spande con calore mortifero: Non in autunno questa terra verdeggia, non fa crescere l’erba il campo fertile né a primavera risuonano i teneri cespugli dell’armonia discordante del canto degli uccelli: ma il caos e i luoghi deserti coperti di nera lava gioiscono circondati dal funereo cipresso”. Un’atmosfera suggestiva e  inquietante in un tratto di terra  più volte soggetta  fenomeni di bradisismo che negli anni 80 hanno prodotto effetti sulle abitazioni e il conseguente abbandono  del Rione Terra; un rione oggi ricostruito, ma per essere sicuri è meglio non “andarci al calar del sole, si potrebbero fare incontri da rizzare i capelli”( da  Annamaria Ghedina “ Guida ai fantasmi di Napoli “ Blado Editori Associati pag.47 da ora in poi A. G. op. cit.).
Ma le sorprese di Pozzuoli non finiscono qui: è opportuno fermarsi al “convento dei Cappuccini” del XVI sec. dove forse fu decapitato S. Gennaro, (vedi S.Gennaro Mito e religione), dove rinveniamo la chiesa omonima e dove si conserva il sangue del Santo legato al miracolo della liquefazione. Un rito, quest’ultimo, che nel XIV secolo ha privato al poeta di Mantova del culto popolare a vantaggio del Santo: un fatto sicuramente più politico che religioso. Infatti la dinastia angioina, che aveva lo scopo di abbattere il potere svevo e rafforzare la Chiesa, aveva necessità a sostituire il vecchio patrono con uno nuovo e da allora il mito “Virgilio” si è legato ad un fatto esclusivamente letterario.
E continuando a visitare Pozzuoli, non ci si può non fermare alla “Solfatara”, un conca circondata dai monti sulfurei, fumarole, mofete (emissione di anidride carbonica). Di qui forse la personificazione degli antichi in Efesto, il fabbro divino e i giganteschi Ciclopi, intenti a forgiare le orme degli Dei e degli Eroi. Così Strabone in “Geografia, V”, citato in S.M. op. cit. pag17.
Incombe direttamente sulla città l’agorà di Efesto, pianura circondata da ciglioni infuocati che mandano spesso esalazioni come fornaci e piuttosto puzzolenti. La pianura è piena di polvere preziosa…
Fumarole, officine per l’estrazione dell’allume, dello zolfo, del vetriolo, hanno contribuito a conferire quel suolo biancastro, quel fango grigio, quelle pareti bruno rossastre, che ancora oggi incantano molti visitatori.
Fatto sta che, in questi luoghi, le scene diaboliche che la tradizione ascrive, si sono tramandate fino al 1500. Nel 1604 Capaccio racconta, come scrive Santa Mileto nell’ opera citata che i Padri Cappuccini  della Chiesa di San Gennaro fossero tormentati dai diavoli che facevano sentire ululati e terrori di grandissimo spavento.
Tra Pozzuoli e il Lago D’Averno, punto d’ingresso degli Inferi si pratica la divinazione a setaccio e proliferano le streghe: qui pare che prolifichino le streghe, ovvero le ianare, molto temute per le loro fatture. Annamaria Ghedina, nell’opera citata, descrive molto bene questa pratica: “Queste “signore” con un semplice setaccio fatto ruotare su di una forbice, ovvero in mancanza con una sedia, possibilmente di paglia, alla quale viene impresso un moto rotatorio, riescono a vedere le risposte ai quesiti sottoposti dal modo in cui il setaccio o la sedia sono caduti. Ovviamente durante l’operazione la ianara recita una sorta d’invocazione, un rituale che le serve di completamento al rito magico.”  Secondo la Ghedina, i segreti di questa pratica erano noti ad un certo Don Antonio, un vero santone per le persone di quel luogo, che giurano di averlo visto entrare, dopo uno dei suoi incantamenti, in una bottiglia. Ora che è morto, tutti sentono la sua mancanza.
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Lucrino
Sulla costa di Pozzuoli, scorgiamo la spiaggia di Lucrino: uno dei laghi più importanti dell’epoca romana. In origine il lago era molto più grande di oggi: esso si estendeva da Punta Epitaffio fino a punta Caruso ed era separato dal mare da una striscia di terra che lo  riparava dal mare: si racconta che questa sorta di diga sia stata costruita da Ercole per far passare la mandria dei buoi di Gerione.
Per quanto riguarda il nome, la sua origine, ben lontana dal mito, si lega al termine latino Lucrum, in riferimento ai lauti guadagni che un certo Sergius Orata, famoso imprenditore romano, aveva ottenuto in seguito allo sfruttamento delle acque del lago, riuscendo realizzare un vivaio per i pesci, specie per le ostriche. ad Orata è attribuita anche l’invenzione delle “balineae pensiles”, un sistema per il riscaldamento degli ambienti termali. Si trattava di stanze a oppia pavimentazione, con intercapedini per il passaggio dell’acqua o dell’aria calda.
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Lago d'Averno
Il Lago d’Averno è  anch’esso un luogo ancora oggi ammantato di misteri: un luogo selvaggio e tenebroso, “un antro irto di scogli, cupo, circondato da nero lago e tenebre boschi” (Virgilio, Eneide VI Libro), dove gli antichi immaginarono la Sibilla e dove la leggenda vuole che qui vi fosse un ingresso dell’inferno, dal quale Cristo discese per liberare le anime dei giusti. Questo luogo è stato abitato dai Cimmeri abitanti di case sotterranee dette “argillae”, collegate da cunicoli e dove si praticava il culto dei morti. Di questi Cimmeri se ne trova traccia nell’Odissea, quando Ulisse seguendo le istruzioni della Maga Circe, giunge ai boschi sacri di Persefone. In proposito Strabone sostiene che Ulisse era venuto  consultare l’Oracolo dei Morti dell’Averno; l’Averno sarebbe sinonimo dell’Acheronte per indicare l’accesso all’Ade, appunto il sotterraneo regno delle ombre. Tale culto per Ulisse seguirebbe un itinerario ben preciso : l’eroe scava una fossa e compie una libagione dei morti con miele e latte, vino e acque;  poi cosparge di farina bianca dopo aver sgozzato un ariete e una pecora e fa scorrere il sangue nella fossa. Le anime escono fuori: Ulisse scorge l’anima di Elponore, poi quella della madre e infine Tiresia. Quest’ultima anima lo riconosce, beve il sangue e dice ad Ulisse che, a chiunque lascerà bere il sangue, questi gli predirà cose vere. Allora Ulisse lascerà bere il sangue alla madre che, solo allora lo riconosce e  gli parla. Ulisse, dal canto suo, cercherà di abbracciarla, ma per tre volte essa gli sfuggirà. Questo perché, come dice Omero, quando uno muore il fuoco distrugge il corpo e solo l’anima vaga, ma come tale sfugge come un sogno.
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Baia
 Ma anche Baia è un luogo mitico; sorge all’interno di una piccola insenatura a sud ovest del golfo di Pozzuoli, tra l’altura del castello e Punta Epitaffio. Le sue Terme hanno resistito meglio alle incursioni degli uomini. Il complesso comprende un ampio “solarium”, la piscina detta del “tempio di Sosandra”, e il Teatro Ninfeo, una grande piscina quadrangolare circondata da un portico ed arcate.
 Sede di rinomate ville, fino al IV sec d.C. Baia, uno dei luoghi più deliziosi del Mezzogiorno, non ebbe mai uno statuto autonomo, mentre le notizie sull’uso terapeutico delle sue acque sono note già dal 178 a.C. e viene citata per la prima volta da Licofrone nel III sec. A.C. quando si colloca qui la sepoltura di Baios nocchiero di Ulisse; da cui il nome. In particolare, l’importanza di Baia come stazione termale e climatica è dovuta al passaggio del demanio sotto Augusto, il quale inizio la costruzione del Palatium e, grazie alle costruzioni di strade, consentì facilitazioni nelle comunicazioni con Roma. La bellezza del paesaggio, il verde delle colline, l’ampio litorale, la resero una località molto ambita ai nobili romani.
Il fenomeno bradisismico ha sommerso il litorale e ha fatto scivolare nelle acque antistanti il golfo gran parte degli insediamenti architettonici. Molti reperti sono stati  recuperati nel corso degli anni ‘30 del ‘900 e oggi esposti nell’omonimo Castello; un vero pezzo di storia, fatto costruire da Alfonso II d’Aragona che lo scelse per difendersi da re di Francia Carlo VIII, ma solo Don Pedro d’Aragona verso la metà del XVI lo ristrutturò. Si tramanda che sul colle del castello, già il dittatore Cesare si era fatto costruire una villa poi ampliata da Nerone, che realizzò i due bacini utilizzati come vivaio ittico e per la coltivazione delle ostriche. Divenuto carcere militare con  austriaci e borboni, il Castello  fu bombardato negli anni della Repubblica partenopea e fu  l’ultimo baluardo  ad arrendersi ai garibaldini. Ritornò ad essere carcere militare durante la Prima Guerra Mondiale. Dal 1984 e consegnato all Sovrintendenza archeologica di Napoli. Ovviamente come tutti i castelli, anche questo di Baia ha la sua entità che vaga per i sotterranei esprimendosi con rumore classico di catene e urla strozzate ( A. G. op. cit. p.48 ).
 Sulla vicina spiaggia, in località Trippitello, prospiciente al Castello, il ricordo di Nerone si evoca nel “sepolcro di Agrippina” un rudere semicircolare sulla spiaggia dove, appunto,  Nerone avrebbe cercato di far morire la mamma, che messasi in salvo a nuoto, si rifugiò a Lucrino dove comunque venne raggiunta dai sicari di Nerone che la pugnalarono, (Feri ventrem”- colpisci al cuore). Un vicenda narrata da Tacito, Svetonio e Dione Cassio.
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Bacoli
Proseguendo nel cammino, inoltrandoci per la strada che conduce da Baia a  Bacoli, l’antica Biuli  dove troviamo  la tomba attribuita ad Agrippina. In realtà il vero sepolcro di Agrippina sarebbe sulla strada presso Miseno, anche perché si racconta che i liberti seppellirono Agrippina segretamente e, solo dopo la morte di Nerone, l’eressero un monumento che Tacito chiama levem tumulum” ( G. Infusino “ Storia, miti e leggende  dei Campi Flegrei Lito-Rama Ed. pgg.115 e seg. Da ora in poi G. Infusino op. cit. 1) e, perciò, i resti di quello che sarebbe la tomba di Agrippina altro non sarebbe che un teatro ninfeo un “odeion”, del I sec. D.C. poi trasformato nel secolo successivo e restaurato negli anni 50 del nostro Novecento.
Fatto sta che nelle notti di luna, a Bacoli, specie d’estate, il fantasma della bella Agrippina si materializza sull’acqua e si dice che ritorni per ritrovare il suo amante. Qualcuno, pare che abbia notato la bella donna pettinarsi, usando l’acqua del mare come specchio; inutile tentare di avvicinarsi, forse percepirete soltanto un bel profumo.( A. G. “G.F.N.” pgg.48e 49 ).
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Capo Miseno
Ed ora andiamo a Capo Miseno, un promontorio che chiude a occidente il Golfo di Pozzuoli e rappresenta la punta meridionale dei Campi Flegrei, anch’esso uno di quei luoghi da sempre  legato al mito:

"quale compagno esanime, chi mai
da seppellir dicesse l’indovina,
 quando sul lido a un tratto il buon Miseno
 vedono spento di pietosa morte:
l’eolide Miseno di cui altri
mai più valente fu ad infiammare
con la squillante tromba i prodi all’armi,
e con il canto accendere la mischia."

( da Virgilio “Eneide” Libro VI vv.233- 240 vers. Poet. Di Adriano Bacchielli Paravia Ed. da ora in poi V. E. L. VI ).
 

Miseno, allora, è  il trombettiere dell’armata troiana, l’abile suonatore di corno figlio del re dei Venti, Eolo, morto per aver osato sfidare gli Dei e perciò vittima delle forze soprannaturali. Fin dal VI secolo a.C. la storia lo ricorda come uno dei luoghi difensivi per Cuma anzi il possesso del promontorio, secondo Dionigi d’Alicarnasso era fra le cause della ricchezza cumana. Tra il II e il I secolo a.C., il promontorio divenne sede di ville residenziali, come quella di Cornelia madre dei Gracchi, per poi trasformarsi in cantierte per le navi d’inverno.
E se queste acque sono identificate con la Palude Stigia, sulla cui riva le anime dei defunti si addensavano in attesa di essere traghettate sulla barca di Caronte, oggi ancora pare che, nella notte del 24 giugno, le persone effettuano il rito d’amore, accendendo fuochi purificatori, e immergendosi nelle acque per purificarsi e eseguono riti propiziatori.
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Cuma
Il passo verso Cuma è facile. Chi oggi percorre la strada dell’omonima  piana, ha difficoltà a riconoscere l’antica baia riparata per l’approdo delle navi: il vulcanesimo ha modificato la morfologia, lasciando solo il colle su cui fu eretta l’acropoli della città. Cuma è sicuramente  uno dei centri più importanti della Magna Grecia, punto nodale del viaggio di Enea. Tutta la fondazione di questa città è a pieno titolo nel mito: si narra che i coloni greci guidati da Hippocles di Cuma, giunsero alla rupe cumana guidati da Apollo, seguendo il volo di una colomba e accompagnati dal suono di uno strumento di bronzo. Il mito ci dice che i calcidesi fondarono Cuma nel luogo indicato dal dio, ovvero come scrive Sigfrido E. F. Hoebel (op. cit.), “seguirono le istruzioni dei sacerdoti del santuario di Delfi, i cui oracoli spesso indicavano ai coloni greci il luogo in cui recarsi a fondare le loro città. E Virgilio scrive:

“[…]  giunge alfine
ai lidi euboici dell’esperia Cuma;
e, volte al mar le prore, al fondo l’ancora
col dente adunco lega i legni al lido
che di ricurve poppe s’incorona.”

( da V. E. L. VI vv. 2-6 ).

Cuma è, allora, una città dell’esperia, cioè italica, ( “esperia” vuol dire terra del vespero e, il termine è usato per dire che l’Italia  è posta ad occidente rispetto all Grecia ). E così continua il poeta:

“ […] intanto Enea s’avvia verso le rocche
che l’alto pollo regge, ascose stanze
dell’ antro immane di Sibilla orrenda;
cui la mente ed il cuore il delio vate
ispira e svela le future cose”

( da V.E.L. VI vv.14-17 ).

Non ci meraviglia il successo che ha avuto il culto di Apollo, il “delio vate”, così detto perché nato nell’isola di Delo da Latona, che qui si era rifugiata. E si capisce anche il mito che c’è dietro alla Sibilla, che Virgilio così descrive:

[…] L’ampio fianco
della rupe cumea a guisa d’antro
s’apre d’intorno; e cento porte, e cento
ivi conducon aditi, dai quali
della Sibilla in altrettanti voci
erompono i responsi…

( da V. E. L. VI  vv.59-64 ).

E così  Virgilio per bocca di Enea al verso 66:“L’ora è questa di chiedere il destino!”, spiega che la Sibilla non è una “persona”, ma piuttosto un ordine sacerdotale con funzioni mantiche legate al culto di Apollo. Ed in particolare è l’Antro della Sibilla, cui apollo, profeta di Delo ispira l’animo e la mente e apre il futuro. Qui Enea vede la personificazione dei mali che travagliano l’umanità: il Dolore, la Paura, gli Affanni, le Malattie, la Vecchiaia, la Fame, l’Indigenza, la Morte, la Miseria, il Sonno, la Guerra. Nel mezzo trova un Olmo oscuro dove abitano i Sogni fallaci e numerosi prodigi e fiere fantastiche, come i Centauri, Scille, Chimera, Arpie, Gerione. La Sibilla così ammonisce:

"O Troiano Anchisiade, rampollo
nel sangue degli Dei: scendere è facile
nel buio dell’ Averno, e giorno e notte schiusa
l’ampia dimora sta nel fosco Dite!"

E oltre..

Ma se tanto
è in te l’amore, e tanto il desiderio
di varcare due volte il fiume stigio,
…. Ascolta quello che compir dovrai.
Tra le fronde dd’un albero c’è un ramo
d’oro le foglie ed il flessibil stelo,
a Giuno  inferna sacro: tutto il bosco
entro l’avvolge, e lo ricopron  l’ombre
delle oscure convalli tutto intorno.
Ma della terra ai luoghi occulti alcuno
Mai scendere potrà, prima che colto
Abbia lo stelo auricomo dal ramo ….
( da V. E. L. VI vv. 181- 183 e 193- 206 ).

Infine la grotta della maga Circe che pare amasse le sue ancelle e di esse fosse gelosa per cui pare che facesse dispetti ai corteggiatori. Ancora oggi capita ad alcuni di appartarsi e di essere raggiunto dall’ira di Circe. Pare che nel momento di maggiore intimità arrivi un pesante malrovescio alle ragazze che sono in dolce compagnia, una dolce carezza, invece, alle ragazze che si avventurano da sole. ( da A.G. op. cit. ). Noi non abbiamo provato…se volete..
Ma non solo Baia e Cuma, tutta l’area è ricca di luoghi da visitare. Un’escursione a Monte di Procida, ad Arco Felice, nei cui pressi si trova un’antichissimo acquedotto, che i sensitivi frequentano per caricarsi di energie positive. Quindi Punta Epitaffio, dal nome del vicerè Don Pedro di Toledo che nel 1666 aveva fatto apporre le stufe di Nerone o Sudatario di Tivoli, che erano parte integrante di un grande complesso termale costituito di tre parti, di cui una sommersa dal bradisismo e l’altro dall’uomo.
Ancora oggi potete sentire il calore che si sprigiona dalla falda sotterranea.
Quindi ancora Torregaveta ( Torre Alta ), una grandiosa galleria scavata di Romani, oggi inghiottita dalle moderne costruzioni, ma se vi incamminate sulla spiaggia, potrete trovare cordoncini rossi, bianchi, o neri: ovvero la scioglitur delle fatture, perché proprio in riva al mare i maghi annullano gli effetti malefici delle fatture ( da A.G. “G.F.N.” p. 49 ). Vale la pena: oggi sono stati espletati lavori di ristrutturazione e il mare è stato restituito ai suoi abitanti.
Un’area molto ricca di mito e fantasmi, non c’è proprio che dire! Dovete soltanto visitarla..
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Mito e fantasmi: dal mare di Mergellina a Nisida

 L’epopea virgiliana e la discesa degli Inferi interessa l’area, dunque, l’area tra Pozzuoli e Cuma, ma anche l’area napoletana è ricca di fantasmi e di mito.
Siamo partiti da Mergellina: un luogo ben noto alle “affatturazione”( M.B. op. cit. pgg. 54 e 55 ), un rito noto anche a Benedetto Croce. Le cronache del 500 riportano che Vittoria, una bellissima e giovane donna, invaghitasi del vescovo Diomede Carafa, abbandonò il noviziato e incaricò una fattucchiera di fare un fattura d’amore sul prelato. Fatto sta che la vita del vescovo venne veramente sconvolta e il suo sospetto di aver ricevuto una fattura lo spinse a consultare un vecchio monaco procidano, un esorcista, che sfruttava il suo grande amore : S. Michele Arcangelo. Grazie a questo e, usando la forza negativa, ovvero il Demonio, escogitò la controfaccia del sortilegio, la cui prova è nella Chiesa di Santa Maria Del Parto dove si vede S. Michele che uccide un bellissimo demone e dove si legge : Fecit Victoriam Alleluia 1542 Carafa, alludendo alla vittoria del vescovo sul peccato.
Da Mergellina  si arriva alla panoramica via Posillipo  dal nome di quella costruzione Pausillipon del ricchissimo Publio Vedio Pollione.  Tale costruzione significava “pausa del dolore”. Famoso è l’episodio in cui si riporta come  Augusto salvò uno  schiavo che,  avendo rotto un vaso di  vetro, era stato condannato  ad essere  gettato nella vasca delle murene. Il   complesso indicava la villa del promontorio tra la Gaiola (il cui termine in diletto napoletano vuol dire “gabbietta”e dovrebbe contenere il mitico uovo di Castel dell’Ovo) e la cala “Trentaremi” e a  questo apparteneva anche il Palazzo degli Spiriti, dove ancora pare che si veda Virgilio stesso e dove il poeta pare abbia fondato una scuola. Una località particolarmente rinomata, ma quando se ne parla pare che si facciano scongiuri. La cattiva fama deriverebbe dal fatto che chiunque né sia stato proprietario, (non ultimo Gianni Agnelli), ha subito lutti e rovine. Tale jattura pare risalga ai primi proprietari: due nobili inglesi. L’uomo s’innamorò della cognata, ma la moglie gli rifiutò il divorzio e la cognata si suicidò, così anche il marito, mentre la moglie impazzì. Altri, invece, ritengono che il luogo sia frequentato da fattucchiari che operano rituali di magia nera (cfr. A.G.  op. cit. p. 40 e seg.”G. f. N”).
 All’estremità della collina di Posillipo sorge Coroglio col quale, come scrive G. Doria in “Le strade di Napoli” s’indica “Curuoglio”, ovvero la corona di panno avvolto che si poneva sul capo per trasportare gli oggetti pesanti. In questa località si narra che Ulisse sarebbe sbarcato sulla piana sottostante prima del suo incontro con Polifemo e forse l’antro del Ciclope sarebbe proprio la grotta di Seiano. Attualmente, costeggiando la piana di Coroglio sorge la Fondazione IDIS e Città della Scienza, proprio lì dove un tempo si potevano osservare gli stabilimenti dell’ILVA, ormai “archeologia industriale”, ma la cui presenza ha costituito l’ossatura industriale di Napoli per decenni e ancora oggi  aspetta  che venga reso operativo il piano di riconversione industriale.
Fatto sta che Bagnoli, prima di essere un quartiere operaio, era un centro balneare: qui nell’800 furono scoperte sorgenti termali, per la precisione erano acque della sorgente Juncara; acque che si rilevarono portatrici di poteri terapeutici.
 Di fronte Nisida dal greco Nesis (piccola isola), immaginata da Pontano una ninfa amata dal Dio Posillipo, dalla quale sarebbe nata Antiniana, personificazione di Antignano, per Pontano, mentre Sannazzaro nell’Arcadia si rivolge all’isola denunciandone l’aspetto selvatico. Così Omero per primo nel IX libro dell’Odissea descrive quest’isolotto:

“ Di fianco al porto c’è un’isola, né troppo vicina né lontana dalla terra dei Ciclopi. E’ tutta ricoperta di boschi: e qui prosperano capre selvatiche, numerosissime. Non le disturbano uomini di passaggio….nutre solo capre che belano”. (da Omero “Odissea” Libro IX  traduzione di Silvia Innocenti ed. Fratelli Melita p. 140).

 Uno studioso francese Berard sostiene   di aver  rinvenuto ciò che i  versi omerici descrivono:  il  porto naturale, fortemente protetto dai venti  grazie  alle pareti dell’antico cratere. Ed  è   da  Nisida  che  Ulisse raggiunge il territorio abitato dai Ciclopi,  personificazioni  dei   vulcani flegrei, trasfigurati  dalla  fantasia dei   viaggiatori ellenici  in mostri  dall’unico   occhio, che  lanciano contro i   navigatori enormi  macigni. Il  regno di  Polifemo,  corrispondente alla parte terminante alla  dorsale di Posillipo.
Dopo molto  tempo,  Nisida   è  ancora teatro di   vicende: Cicerone,   dopo l’uccisione  di  Cesare  nel  44  a. C.,  si recò a  Nisida per incontrarvi  Bruto, sfuggito  all’ira  di  Ottaviano.
Ma  a Nisida   avvenne anche il  suicidio di  Porzia, figlia di  Catone  Uticense  e moglie di  Bruto,  di  cui  ci  dà ampia  testimonianza  Marziale.
Oggi sede del penitenziario minorile, Nisida è sempre un luogo vulcanico, il cui nome si lega a fatti paranormali: si racconta che un tale, dissertando su fatti paranormali, fu attratto da qualcosa, un rumore di un motore di una imbarcazione spuntata dal nulla con a bordo un uomo vestito di bianco, che si dirigeva verso gli scogli. Questa persona, spaventata pensava ad un impatto, invece…l’imbarcazione attraversò gli scogli e l’uomo in bianco da lontano guardava.
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MITO e RELIGIONE: S. Gennaro mistero e miracolo

Occupandoci in questa sede dei Campi Flegrei, ci riserviamo di dedicare spazio ai luoghi e al culto del Santo limitatamente all’area flegrea e, vedendo in modo trasversale i rapporti con il capoluogo partenopeo.
Parlare di S. Gennaro significa tener luogo del mondo sotterraneo, delle catacombe e, quindi, di quei tanti culti pagani che si fusero con il cristianesimo. Si pensi alle contaminazioni, ai “rituali”  che traslarono dai vecchi templi a quelli religiosi;  ma parlare di S. Gennaro significa tener conto del mistero che ancora si cela dietro al miracolo.
Per quanto riguarda le catacombe, l’area dei Campi Flegrei si presenta essere costituita di materiale tufaceo, molle e  leggero, grazie al quale ha generato molte grotte sotterranee. Quali sono le origini di queste caverne? Franz in “Napoli Antica”, riprendendo il parere di Pelliccia e di De Atellis, recupera da un lato il mito omerico e dei Cimmeri, popoli che abitavano le spelonche e le caverne, dall’altra quella di questi popoli come abitanti  di Cuma. Le esalazioni che uscivano dai laghi, sembravano dire ad Omero che i Cimei, Cimeri, i Cumani abitassero tra le tenebre.
Fatto sta che con il Cristianesimo le grotte sono state usate per seppellire i morti, sia che si trovassero a Napoli, sia che si trovassero nei Campi Flegrei.
Dagli Atti Bolognesi ( citato in Giampaolo Infusino “S. Gennaro Sacro e Profano” da ora in poi Giampaolo Infusino 2 ) si evince che al tempo di Diocleziano i cristiani venivano perseguitati e anche l’Anfiteatro Flavio puteolano divenne scenario dei Martiri. Qui si tramanda che venne decapitato il martire Gennaro.
 E noi dall’Anfiteatro partiamo per questo nostro piccolo percorso tra la religione e il mito. Con il martirio nel 305 di Gennaro ha inizio il culto del Santo tra “sacro e profano”. I devoti nei pressi della Solfatara avrebbero eretto la piccola chiesa, forse nel V secolo, e poi ristrutturata nel 1574. Di qui poi le leggende vere o false che siano. Ma per prima cosa vediamo chi era Gennaro martire.
S. Gennaro si dice discendente della gens Ianuaria o forse da un ceppo abitante a Vibo Valentia. Su quest’ultima interpretazione, taluni studiosi hanno osservato che il Santo calabrese sia uno dei 14 santi e non il patrono di Napoli. In ogni caso, nell’una o nell’altra ipotesi, pare che sia certo l’origine umile e povera. Si sa che ad un certo punto avesse seguito un’Eremita, ma poi, le tracce si perdono per ritrovarlo in qualità del vescovo di Benevento, in missione nei Campi Flegrei per ripristinare il rigore morale. Per questo motivo, venne imprigionato e decapitato  (305 ) e deposto in una località chiamata Marciano ( luogo non ben identificato, ma che Johannowsky citato in Giampaolo Infusino2 ubica nei pressi dell’attuale zona alta di Fuorigrotta ). Sarà il vescovo di Napoli Giovanni I a dare un sepolcro decoroso e a portarlo nelle catacombe di Capodimonte.
Nel 1580 nel presunto sito del martirio venne costruita la Chiesa e, la presenza della “pietra puteolana”, sarebbe la prova. Tale pietra, infatti, è considerata il ceppo sul quale S. Gennaro venne decapitato, anche se alcuni studiosi avrebbero dimostrato che in realtà si tratta di un antico altare e le  macchie sarebbero un decorazione  e comunque   di epoca successiva a   quella del Santo.  Sulla questione, tuttavia la diatriba è ancora aperta: nel  1926 un batuffolo   di  cotone   esaminato dall’Istituto di Medicina  legale  di  Napoli  ha parlato di  “sangue  umano”, ma le reazioni  del mondo scientifico  sono state comunque contrarie.
Per quanto riguarda il miracolo e la liquefazione del sangue le notizie  sono  ancora più incerte. Antonio Ghirelli in “Storia di Napoli” scrive   che secondo la tradizione una donna avesse  raccolto  dopo  la decapitazione il  sangue in due  lagrimatoi e li avesse nascosti nella propria  casa ad  Antignano ( nei pressi del Vomero ). D’altronde qui , tra il XV- XVI, cominciò   a  formarsi la leggenda di una liquefazione del sangue di S.  Gennaro. Questa  donna, di  cui  parla Ghirelli, avrebbe restituito  le ampolle al vescovo durante l’epoca di  Costantino, tollerante  verso il Cristianesimo. In questa  circostanza si sarebbe realizzato il primo  miracolo  nel senso che   il “sangue raggrumato nelle ampolle si liquefa senza l’intervento di alcun  fattore estraneo”. Un mistero questo del miracolo che si aggiunge a quello delle ampolle: a quanto pare esse non sarebbero due, ma tre. Dell’esistenza di questa terza,  ci ha ricostruito Michele Straniero studiando le carte di un sacerdote Cosimo Stornaiuolo che, per la prima volta nel 1874, scrive “sappiamo per documenti certi che perfino una terza ampolla del suo sangue fosse ricomparsa in Napoli nel XVII sec.” Ancora Moscarella nel 1989 scrive che originariamente le ampolline erano tre. D’altronde già nel XVIII secolo, è documentato che nella cappella del tesoro di S.- Gennaro vi è una terza ampollina, di cui pare che siano state date delle scagliette a Maria Carolina ( 1771 ) e da essa dovrebbe provenire il contenuto del reliquario di S. Gennaro che si trova a Madrid (citato in G. Infusino2).
Ma al di là del numero delle ampolle, il culto di S. Gennaro è tra i più forti, tale da avere risonanza nazionale. Già nella “Cronica siciliana” si legge che tale prodigio si ripete in tre date che sembrano corrispondere alla data traslazione delle ossa a Napoli, a quella del martirio e all’anniversario dell’eruzione del Vesuvio  nel 1631, prodigiosamente arrestatosi alle porte della città, grazie all’intervento del Santo. Tale prodigio è la liquefazione o colliquazione, cioè il passaggio del contenuto dell’ampolla allo stato solido ed ha inizio con un graduale rammollimento della massa e con una colorazione che pur rimanendo rossa, acquista sfumature che vanno dal rosso vivo al rosso giallastro. Fenomenologicamente la sostanza si liquefa, cambia colore, volume e peso, ma non possiamo riferirci alle comuni leggi della fisica e della biologia. La sostanza di cui ci occupiamo è colloidale, cioè una sostanza gelificata. Che si tratti di sangue, lo ha appurato l’Università di Napoli nel 1902. Quello che è meraviglioso è il ripetersi dell’evento e ….guai se non accade!! Il popolo reagisce.
“Nella grande e bella chiesa di S. Chiara, tutta bianca di stucco e carica di dorature, simile ad un amplissimo salone regale, la folla aspettava il miracolo di S. Gennaro.

- San Gennaro! San Gennaro! San Gennaro! –
- Vecchio dispettoso, ci vuoi far aspettare eh! –
- San Gennaro! San Gennaro! San Gennaro!  -
- ….[..]
- Faccia verde! _
- Faccia gialluta! –
- Santo mlamente! –
- Fa miracolo. Fa miracolo! –
…[..]  Ad un tratto nella pausa di immenso silenzio che sussegue alla preghiera, l’arcivescovo si voltò al popolo: la faccia del sacerdote irradiata di una luce quasi divina, pareva trasfigurata: e la bianca mano levata in alto, mostrava al popolo l’ampollina, il Prezioso Sangue nel sottilissimo involucro di cristallo bolliva. Quale urlo!…[..]
Matilde Serao “Il paese della Cuccagna”

Sono tutte imprecazioni che servivano a risvegliare un fenomeno ed era fatto per lo più da donne, le “parenti”, appassionate popolane che avevano acquisito un “diritto esoterico”, ben lontano dal cristiano “cantarus” per il viaggio nell’acqua e dalla tradizione orale delle antiche sacerdotesse. Le “parenti di San Gennaro, come scrive Mario Buonoconto in “Napoli esoterica” Newton Pag.19-20 ( da ora in poi M. Buonoconto op. cit. ), “cantilenavano antichi ritmi temporali…per scandire un tempo che non conoscevano più, ma che con aggiunte e deformazioni operate per l’avvenuta ignoranza del vero scopo, non possedevano più il giusto rigore rituale”.
Anche Dumas nel “Il corricolo” ritorna sul miracolo di San Gennaro” …[..] Il prete levò in alto la teca gridando “Gloria a San Gennaro! Il miracolo è fatto!”

Se da un punto di vista agiografico, la prima notizia della liquefazione del sangue risalirebbe al 1389, durante la festa dell’Assunta, G. Infusino in una nota a pag. 31 (cfr. G. Infusino2 ) scrive che Vincenzo Paleotti ci informa che le due epidemie di colera del 1836 e del 1884 furono anticipate dal Santo; specie per la seconda, il miracolo si fece attendere per 16 ore e si fece attendere anche nelle scadenze di maggio e dicembre. Solo ad epidemia cessata il miracolo si svolse in modo regolare.
Anche per il colera del 1973 il miracolo si fece attendere per 2 giorni. Fa eccezione il 1980, fatidica data del terribile terremoto in Campania. Quell’anno il miracolo era avvenuto regolarmente….Allora… “meditate gente, meditate.”
Attualmente il miracolo si svolge a maggio e a settembre nel Duomo di Napoli e, contemporaneamente, si ravvivano le macchie sulla “pietra puteolana”.
 Da un punto di vista antropologico, dunque come rilevano gli scritti dei famosi autori sopra riportati, il culto del Santo ha una serie di sfaccettature e acquista, anche da un punto di vista folcloristico aspetti rilevanti, non solo di carattere religioso. Del resto tale simbiosi, - quella tra popolo e santo, - si perde nel tempo: prima di essere patrono di Napoli, Gennaro (confidenzialmente parlando) fu dichiarato patrono del Regno Borbonico, fino al riconoscimento nel 1738 da parte di Carlo VII di Borbone dell’insigne Reale Ordine di San Gennaro.
Anche da un punto di vista canoro, il culto del Santo si è manifestato nelle feste popolari e tra gli anni 30-40 del ‘900, il repertorio della musica partenopea dà un noto contributo, regalando al Santo uno dei più noti brani della tradizione partenopea. Chi non ricorda…

Era la festa di San Gennaro
Quanta folla per la via
Con Zazà, compagma mia
Me ne andai a passeggià.
C’era la banda di Pignataro
Che suonava il”Parsifallo”
Il maestro su piedistallo
Ci faceva delizià.
….[…]
Dove sta Zazà? Uh Madonna mia!
Come fa Zazà? Senza Isaia?
Pare, pare Zazà che t’ho perduta ahimè!
Chi ha trovato Zazà
Che m’a purtasse a me.
….
(da A.A.V.V. Mille note Rosa Hanna Editore pag54- 55)

Addirittura, abbiamo visto con le espressioni della Serao, come il popolo napoletano si rivolga al Santo Protettore anche in modo confidenziale se non addirittura irriverente (Faccia verde, faccia gialluta ).
In ogni caso la richiesta è sempre quella di ottenere una grazia, un miracolo. A tutti crediamo faccia piacere ricordare il gruppo “La Smorfia”

Massimo:- San Gennà’, io sto qua, tu già mi conosci a me, no?… ie so’ sempre chille ca… sime putisse fa’ ‘ a grazia, ca …ie nun avisse parlà proprio, eh, …[..] si putesse anticipà ‘nu poco ‘e ppratiche ‘ chella grazia, ca…ie naggio bisogno
Lello:- San Genna buongiorno!
Massimo:- Sta parlando c’ ‘o frate, chiste
Lello:- San Gennà.
Massimo:- San Gennà, ci siamo spiegati? Ie ‘o faccio parlà… però tu già saie chello che hè ‘a fa..ie so’ cliente e voglio o trattamento…

…[..] ( Massimo a San Gennaro) :- Fancella a Grazia, San Gennà.
…..[..]


( da Arena Decaro Troisi “ La Smorfia” Einaudi pagg. 17- 18. Noi vi invitiamo a leggere il testo completo.)

Dunque abbiamo visto come nel tempo, anche in quelli più recenti il culto del santo non accenna a diminuire. Del resto escluso spiegazioni scientifiche, dobbiamo fare ricorso solo ad un atto di fede.  Infusino ( cfr. G. Infusino2 ) scrive che si dovrebbe parlare di “tissotropia”. Con questo termine ( e si cita testualmente dal Vocabolario Devoto- Oli Vol. II pag 3223 ),  “si indica il fenomeno per cui alcuni gel passano allo stato liquido per effetto di semplice agitazione o di vibrazione, e tornano a  coagulare quando l’azione meccanica cessa”. Poiché siamo in assenza di teorie scientifiche, pare che anche gli esperti scientifici diano una spiegazione del miracolo facendo ricorso alla tissotropia. Anzi, in tempi molto recenti, l’Università di Padova ha riproposto scientificamente il fenomeno usando antiche sostanze come il bicarbonato di calcio, il cloruro di ferro in soluzione, l’acqua distillata e persino un pizzico di sale, ottenendo grumi gelatinosi, “reversibili” dopo un necessario scuotimento del contenitore; di fatto si potrebbe dire che questo è un rendere omaggio alla scuola alchemica napoletana che si specializzò in tempi antichi.
E poi non si dimentichi che tale liquefazione segue una serie di accorgimenti: la teca con le ampolle deve essere posta in vista all’imbusto. E’, inoltre, importante scandire il tempo con suoni ritmati, per provocare particolari onde sonore. Addirittura i vecchi alchimisti usavano delle cantilene, perché non bisognava mai distogliere lo sguardo, mentre il discorso sul ritmo apre un nuovo taglio al filone musica- magia, una pratica già usata dagli Egizi, e che nella tradizione campana  si lega alla presenza femminile, “le sacerdotesse”, che in epoca romana officiavano il culto della fecondità  . Buonoconto nell’opera citata descrive come la magia femminile napoletana sia passata da quelle formule inquietanti di “ianare” a quelle delle “sorelle”, “confraternite” in senso occulto che si chiamano “parenti”. Tali figure, che nel corso del tempo si legheranno a S. Gennaro, cantilenavano antichi ritmi appresi da precedenti “maestre”. Questi canti, però, si sono contaminati nel corso del tempo e, ben lontani dall’antico rituale di purificazione, si sono legati a pratiche segrete eseguite da queste magistrali persone che sono le “parenti”: di qui il successo delle fattucchiere, delle streghe, e del malocchio ancora oggi molto diffuso negli strati popolari  e contadini (cfr. Mario Buonoconto op. cit. pag.19 – 20).
Anche per San Gennaro molta acqua è passata sotto i ponti, ma noi siamo ancora qui ad …..aspettare sempre “o miracolo”.

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Dove andare e cosa visitare

Napoli

Parco  Virgiliano: realizzato in epoca fascista, il Parco  è stato   restaurato nel  1976. Vi si trovano  a) la tomba di Giacomo Leopardi , costruita a imitazione dei  cippi funerari romani nel 1934. Fino a quella data, le spoglie del poeta erano  conservate nella Chiesa  di San Vitale a Fuorigrotta,  in quanto il  parroco  di  quella  chiesa  fosse  stato   il solo ad  acconsentire alla  richiesta  del  conte  Ranieri di ospitare  la salma  del  poeta,  morto   in un    periodo  in  cui  a  causa di  un’epidemia   di colera  era obbligatoria la fossa  comune.
b) la Crypta Neapolitana: costruita  in epoca  romana  da Cocceio. La  crypta  collegava  Napoli  conn  la zona flegrea in maniera più rapida di  non consentissero  le vie  per colle  fino  ad allora praticabili.
c) la  Tomba  di  Virgilio: è situata accanto  alla crypta, ma  l’attribuzione  a Virgilio  è  incerta .  Di certo è un monumento funebre romano , chiamato colombario per  le nicchie scavate  all’interno.  All’interno vi  è un  tripode, in  cui   si   bruciavano   aromi in onore  dei morti.

Posillipo: si  può  partire  da Capo  di  Posillipo, con una  piccola   deviazione  nell’antico villaggio di Villanova, e  si spinge fino alle Terme  Romane  di   Agnano. Inoltrandosi per Marechiaro si può visitare la chiesa di Santa Maria del Faro, antico padronato della nobile famiglia Coppola, originaria di Amalfi. Risalendo Via Boccaccio, si arriva a Via G. Pascoli, dove si trova la chiesa di Santo Strato. Tale chiesa, sorse nel 1266 sui resti di una fabbrica romana e il suo nome deriva dal culto di Santo Stratone, introdotto nel villaggio da una colonia greca proveniente da Nicodemia. Ampliata nel 1572 dall’abate di San Giovanni Maggiore, è sorta proprio nel luogo della piccola cappella del ‘200.
Nel villaggio di Villanova (da Via Boccaccio verso il Vomero), si può visitare la chiesa di Santa Maria della Consolazione: ristrutturata a pianta ottagonale nel 1737 su una chiesa del ‘500 dall’architetto Ferdinando Sanfelice. La volta, una finta volta ha una struttura a capriate lignee. La facciata è stata rifatta nel XIX secolo e dell’architetto settecentesco oggi si conserva solo il finestrone.

Grotta di Seiano: Già durante i primi secoli dell’impero romano, tutta l’area del golfo fu interessata all’insediamento di ville ed appartamenti di proprietà di politici e dell’aristocrazia. A Posillipo venne innalzata la residenza Pausilypon (riposo degli affanni), che ha dato, poi, il nome a tutto il promontorio. L’intero complesso apparteneva a Publio Vedio Pollione, personaggio dell’epoca augustea e la cui ricchezza e crudeltà è testimoniata da Plinio, Dione Cassio, Seneca. Con la morte di Vedio Pollione, la villa passò ad Augusto che l’ingrandì e la dotò di servizi necessari per una residenza imperiale. L’intero complesso si estendeva dalla cala di Trentaremi a Marechiaro: edifici residenziali, quartieri per gli ospiti, impianti termali, giardini, ninfei. Resti di tali costruzioni sono visibili a Marechiaro (come il Tempio della Fortuna e il Palazzo degli Spiriti), mentre nel vallone della Gaiola sorgono edifici importanti, come un teatro con la cavea del diametro di m.47 e 19 ordini di sedili, capaci di accogliere 2000 spettatori ed un odeion, ovvero un edificio destinato a spettacoli musicali. Probabilmente per avere un comodo accesso alla villa fu costruita la Grotta di Seiano, lunga circa ottocento metri e che , partendo dall’ultima curva di Coroglio, rompe la collina di Posillipo e arriva alla Gaiola. Una lunga grotta, dunque, non uniforme infatti, la parte di Coroglio ha subito dei trattamenti di sostegno, in quanto è scavata in un punto in cui il tufo è poco compatto, mentre la parte orientale, relativa alla  Gaiola è in tufo compatto e, quindi, priva di supporti.
La scoperta della galleria è avvenuta nel 1840, durante la costruzione della strada tra Coroglio e Bagnoli, quando appunto si sono fatti i supporti al lato di Coroglio. Ufficialmente è stata aperta nel 1841; non si conosce bene la sorte successiva: si sa che ha subito uno stato di abbandono e da ricordi di famiglia si è venuto a sapere che è stato un rifugio in epoca bellica; oggi è stata completamente ripristinata e durante il “Maggio dei Monumenti” è possibile percorrerla tutta.

Nisida: l’antica Nesis – isoletta è una piccola isola che si innalza a 109 metri sul livello del mare. Valorizzata in epoca repubblicana e imperiale, era considerata un luogo di svaghi: pare che Bruto su consiglio di Cicerone l’avesse scelta come residenza estiva e sicuramente qui Bruto aderì alla congiura contro Cesare e nel luglio del 44 a.C. dopo l’uccisione del dittatore incontrò più volte Cicerone. Due anni dopo qui si suicidò la moglie di Bruto, Porzia, figlia di Catone.
Rimane poco del vecchio insediamento: forse l’edificio centrale sorge proprio laddove ora c’ è il carcere minorile. Di rilievo sono le cinque grotte -  ninfeo scavate nel tufo, databili intorno al I sec. d.C. presenti proprio sulla strada che porta al carcere. Restano tracce di due moli poi sommersi dal bradisismo. Ceduta da Costantino alla chiesa napoletana, in epoca medievale l’isola è stata sede di un monastero, per poi  divenire dimora della regina Giovanna in epoca angioina. Nel 1554 fu acquistata da Giovanni Piccolomini, duca di Amalfi, che ne fece un richiamo per la nobiltà elegante e raffinata. Alla fine del XVI secolo sorse un lazzaretto sporco per raccogliere le merci sospettate di peste e ha assunto a questo ruolo fino  a  tutto l’800. Dal 1825 il castello Piccolomini è stata sede per ergastolani e detenuti politici e ancora oggi è sede del carcere minorile ed è ancora un luogo separato dalla città.

Terme romane di Agnano:si estendono sul pendio del monte Spina, disposti su vari terrazzamenti. Ad occidente un muro incavato da nicchioni, rappresenta il nucleo principale, a sua volta, sostenuto da un poderoso muro con contrafforti. Scavato tra il 1898 e il 1911, ha perso le caratteristiche antiche: si pensa che il nucleo antico di età adrianea si estendeva nella zona occidentale e comprende gli ambienti caldi ed il frigidarium ( a pianta rettangolare con una vasca e con tre nicchie ), mentre le sale ad oriente, adibite a spogliatoi e depositi, sono un ampliamento successivo. Dal frigidarium si arriva a due ambienti attivati dal calore, separati dal tepidarium absidato e da qui si accedeva ad una sala a forma rettangolare con abside, fornito di un praefurnium, riscaldato artificialmente, ad ovest, dove ora ci sono le coltivazioni, c’era la palestra. L’acqua del Serino giungeva da un cunicolo che attraversa il monte e veniva raccolta in due bacini da cui, mediante un condotto che corre sotto il frigidarium, tubi e vasche veniva distribuita nei vari ambienti.
Usato in epoca tardo antica, ha subito restauri già alla fine del V  secolo e sono state usate a scopo terapeutico nel VI secolo dal Vescovo di Capua e ancora oggi assolvono a questa funzione.

Terme di  Via Terracina: emerse nel 1939 si trovano tra la Via Terracina e Via Marconi e probabilmente rappresentavano un luogo di sosta statio, lungo l’asse stradale tra Napoli e Pozzuoli. L’edificio si eleva su più livelli e risale al II sec. d.C., ma sicuramente successivi sono il corridoio d’ingresso, gli ambienti ad est del corridoio, forse tabernae. Il complesso si articola intorno al frigidarium , sale del bagno freddo, e all’apodyterium, ovvero allo spogliatoio. Gli ambienti caldi, costruiti in laterizi sono disposti in modo circolare, per passare gradatamente dal caldo al freddo. Il riscaldamento era ottenuto tramite un  doppio pavimento detto Hipocaustum retto da un suspensurae, l’aria calda dalla fornace si diffondeva lungo le pareti tramite un’intercapedine fatta con tubi di terracotta o con tegole dotate di distanziatori. Il pavimento in alcuni ambienti è a mosaico: di rilievo quello dell’apodyterium, rappresentante una Nereide seduta sulle spire della coda di un tritone, quello del frigidarium, raffigurante un corteo di mostri marini con figure antropomorfe.

Avendo fatto menzione al Culto di San Gennaro, consigliamo almeno di visitare:

Duomo di Napoli-Via Duomo: costruito nel 1294 per volontà di Carlo d’Angiò ( che tra l’altro fece modellare un busto esposto nella Cappella del Tesoro) su preesistenti edifici, la facciata è stata ricostruita nel 1349. I portali sono del 1400 per opera di Antonio Baboccio di Piperno; mentre la Madonna con il Bambino è un’opera della metà del XIV secolo di Tino da Camaino.
L’interno, molto decorato, è a croce latina a tre navate; quella centrale rispecchia i successivi interventi barocchi. Il soffitto a cassettoni è del 16 21 con tele di Santafede, Forlì e dell’Imparato.

Cappella del Tesoro: costruita nel 1527 durante l’epidemia, il popolo fece voto di erigere una cappella che poi avrebbe dovuto contenere il “tesoro” (busto e reliquario ).
La cappella è a pianta centrale a croce greca e culmina in una grande cupola e un ampio presbiterio utile per le funzioni religiose, con balconate laterali per accogliere i musicisti. Il cancello d'ingresso fa da cerniera tra l’ambiente e le navate della cattedra, opera di Fanzago, uomo del barocco. Dall’altra parte il busto, opera come si diceva di Carlo II d’Angiò e dotato di una base d’argento nel 1609.  Le opere realizzate ed esposte sembrano unire mito e sacro: lo scultore Finelli ha realizzato un’opera nella quale San Gennaro in volo protegge la città che è rappresentato dalle figure allegoriche della Ninfa Partenope e dalla personificazione del fiume Sebeto.
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I Campi Flegrei

Baia:

Il Museo  nel  Castello: edificato  sul   finire  del  XV sec. Da Alfonso d’Aragona per difendersi dai Mori, il  Castello  fu ampliato e fortificato  nel 500  dal vicerè  spagnolo don  Pedro di  Toledo. Sorse  sulle  rovine di una grandiosa  villa di epoca romana, attribuita a  Cesare. Fortezza  militare per  secoli,  fu orfanotrofio militare dal 1927-1984, quando poi è stato acquistato  dallo Stato. Ora è un Museo con le  statue del Sacello degli Augustali di Miseno e i  reperti   di Punta  Epitaffio.(Via Castello).

Le Terme:  sono  un complesso che si estende per circa 450 metri e la loro fortuna si è fondata  sulle virtù terapeutiche delle   sorgenti termali e dei vapori che scaturivano dal sottosuolo vulcanico. Si divide in quattro terme: del tempio di Diana, del tempio di Mercurio ( il più famoso, noto come il “tempio dell’eco” per l’effetto acustico provocato dalla volta ), della piscina di Sosandra, del tempio di Venere. Quest’ultimo, isolato dal grande complesso termale, è un grande edificio ha pianta circolare ed è arricchito da quattro nicchie semicircolari che mediano il passaggio del perimetro esterno. Le pareti dovevano essere un tempo decorate e rivestite da lastre di marmo, la struttura muraria esterna è in laterizio. La volta, ormai distrutta, doveva essere ad “ombrello”, costruita in opera cementizia, alternata a strati di tufo e pietra lavica.(Via Fusaro,35 a Bacoli)

Chiesa dei marinai: situata sul litorale di Baia, la chiesa sorta all’inizio del secolo come cappella dei pescatori, è un edificio a doppio livello di linee neoclassiche, con un unico ingresso sormontato da un finestrone termale. A sinistra un campanile, mentre l’interno presenta un’unica navata con soffitto a cassettone e presbiterio coperto da una cupola emisferica senza tamburo. Negli anni ’30 sono stati realizzati un ampliamento  della cupola. (Via Lucullo 0re 9-19).

Il  Parco ricco di vegetazione , il  parco   consente  una  visione del golfo. In esso  si  trovano  alcune  specie  arboree, tra i quali il mirto antico, l’eucaliptolo e l’alloro. Con l’ingresso su un promontorio vulcanico, la zona è ricca di testimonianze archeologiche e di ritrovamenti di tombe romane. ( Via Bellavista )
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BACOLI:

Cento Camerelle: più note come le “prigioni di Nerone”, doveva essere una delle ville più importanti, forse appartenuta da Ortensio Ortalo, che vi compare con il soprannome di “incantatore di pesci”. Qui soggiornò prima di essere uccisa anche Agrippina. ( Via Cento Camerelle )

Chiesa di S. Anna ( Via S. Anna ): la chiesa di Sant’Anna , Gesù e Maria sorge nel centro storico e fu iniziata nel 1690 dall’allora vescovo di Pozzuoli Domenico Maria Marchese. Posta su una doppia rampa ha una torre campanaria in tufo ricoperto d’intonaco. L’interno lungo 30 m. diviso in tre navate da colonne scanalate in muratura. L’altare maggiore è un’opera barocca della metà del XVIII sec. Ed è sovrastata da un un’edicola in stucco. (Via Sant’Anna ore 9-19).

Piscina Mirabile: costruita in epoca augustea,  era la più imponente cisterna romana, punto terminale dell’acquedotto del Serino e rispondeva alle esigenze di approvvigionamento idrico della classe pretoria misenese. Contenente 12mila  metri cubi di acqua, ha un impianto a pilastri cruciformi con pareti rivestite in cocciopesto idraulico. ( Via A. Greco ).

Tomba di Agrippina: più che di una tomba si tratta di un teatro ninfeo parte di una imponente “villa marittima” poi trasformata tra il I e il II sec in ninfeo ad esedra, a cui, però,  la tradizione ha attribuito il mausoleo funebre di Agrippina uccisa nel 59 d.C. da sicari su ordine del figlio Nerone. (Via Spiaggia-Marina Grande ).
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CUMA:
Acropoli (via Acropoli)
Tempio di Apollo:  eretto, come narra Virgilio da  Dedalo padre di Icaro, sfuggito al labirinto di Cnosso, grazie ad Apollo e forse risale all’età augustea e fu realizzato nell’ambito del programma imperiale di rivalutazione dei luoghi legati alla leggenda di Enea e al culto del dio Sole. Trasformata in basilica cristiana nel V sec resta ancora oggi una vasca ottagonale, ritenuta fonte battesimale.

Tempio di Giove: L’attribuzione a Giove è arbitrarie forse tale attribuzione si giustifica col fatto che è il maggior santuario dell’acropoli. Il tempio sarebbe consacrato a Demetra, una divinità dei Cumani. Alla fine del VII sec. Venne consacrata al protomartire Massimo, il cui corpo sarebbe accolto qui. In epoca altomedievale fu costruita una cappella e nella cappella centrale furono accolte sepolture a fossa per i membri della comunità.

Anfiteatro: fuori dall’acropoli, l’anfiteatro costruito sul pendio del Monte Grillo e risalente all fine del II inizio del I sec. A.C.  Suddivisa da moderni terrazzi, è occupata da un frutteto che rende insolita e affascinante questo luogo. Esso si presenta con una fila di archi su pilastri relativi alla summa cavea, fondata sul terreno direttamente. (Via Cuma-Fusaro).

Antro della Sibilla: noto fin dal IV sec. A.C. noto dalle pagine di Virgilio,  in epoca medievale alcuni studiosi credettero di riconoscere l’antro nella Grotta sul lago d’Averno, mentre Amedeo Maiuri nel 1925 pensava di averlo trovato nella Crypta. Oggi, scendendo per la via Sacra e i gradini ci si trova all’ingresso dell’antro. Esso si presenta in un camminamento a forma trapezoidale, scavato nel tufo rischiarato da luci laterali, in fondo si trovano tre grandi nicchie nelle pareti, una sorta di stanza segreta in cui la Sibilla pronunciava le profezie.
Tuttavia ancora oggi gli studiosi sono alla ricerca del vero antro.

Cripta romana: scavata sotto il monte Cuma, fu costruita in età augustea e collegava la parte bassa con il porto di Cuma ed era illuminata da una serie di pozzi. Usata come catacomba cristiana nel V secolo perse la funzione di collegamento e dopo la guerra greco – dorica cominciò il suo interramento.

Foro: si erge su un podio a forma quadrata ed è ciò che resta del tempio romano “Capitolium”,consacrato a Giove, Giunone, Minerva. La statue dovevano trovarsi nelle celle, ma sono state rinvenute in tempi diversi. I primi scavi cominciati nel 1758 fecero rinvenire il busto di Giove e fu sistemato nei pressi del Palazzo Reale e precisamente nel luogo detto “Gigante di Palazzo”.
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Fusaro:

Casina: vera arte del ‘700, la casina vanvitelliana è l’antica “Palus Acherusia”, voluta da Ferdinando di Borbone come casina di caccia e come pegno d’ amore per la sua seconda moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia. Nel 1782 la progettò Carlo Vanvitelli, saccheggiata durante la Rivoluzione partenopea, lesionata dai terremoti e bradisismi, è stata restaurata nel 1991. (Via Fusaro a Bacoli )
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Miseno:

Chiesa di San Sossio: antichissima chiesetta, presenta un prospetto a Capanna. L’edificio è preceduto da una gradinata con resti marmorei, provenienti dalle antiche strutture del porto romano. L’interno  ad un’unica navata presenta il presbiterio coperto da una cupoletta emisferica senza tamburo. Intitolata a san Sossio, il martire decapitato insieme con San Gennaro il 19 settembre del 305, la chiesa  ha subito trasformazioni. Attaccato dai saraceni, l’edificio intorno al IX  secolo fu ridotto a rudere. Nel 905 la tomba del Santo, ritrovata tra le macerie, fu trasportata a Napoli nella chiesa di San Severino. Nel 1807 i  resti di San  Sossio approdarono a Frattamaggiore, dove sono ancora custoditi. (Via Miseno a Bacoli ore 9-19).

Faro: …  dove morì il leggendario trombettiere, morto  dopo la gara di tromba col Tritone. Il corpo, lanciato nel mare, fu portato dai  flutti sulla  spiaggia flegrea. Si possono ancora trovare  arbusti della  macchia mediterranea, dai lecci ai corbezzoli. La  vegetazione è  rimasta selvaggia e dalla cima si possono ammirare Ischia,  Capri, Procida. ( sulla Via Faro ).

Sacello: di questo monumento restano le mura “ opus reticulatum “ che formavano l’ambiente centrale e i due porticati adiacenti. Dedicato al culto degli imperatori, di cui gli augustali erano i sacerdoti, si può visitare solo la parte dell’epoca imperiale scoperta nel 1967. Si ascrivono reperti importanti: le statue equestre di Domiziani e Nerva, quelle di Vespasiano e Tito . In età angioina venne innalzato un frontone con un’iscrizione dedicata ai coniugi Cassia Victoria e Laecanius Primitivus. (Via Miseno ore 9 -19)
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POZZUOLI:

Anfiteatro Flavio: costruito sotto l’imperatore Vespasiano è una delle più grandi arene. Sorto su una grande terrazza urbana e destinato ad ospitare i più importanti monumenti dell’urbs  romana, con i suoi 149 metri di altezza è il terzo in Italia dopo il Colosseo e l’Anfiteatro di Capua. L’edificio si presenta con tre ordini di arcate, era circondata da un portico ellittico che sorgeva su di una platea in travertino i cui pilastri in  piperno furono sostituiti con colonne di laterizio, in età antonina. (Corso Terracciano dalle ore 9 ad un’ora prima del tramonto).

Avellino (Villa): All’interno della villa, sulla Via Rosini, si possono ammirare cisterne puteolane destinate ad alimentare la città bassa ed il grande porto. Si può, inoltre osservare la piscina di Lusciano, di età Flavia e una cisterna , la “Centocamerelle”, così chiamata per la suddivisione in numerosi compartimenti comunicanti. La cisterna, in “opus reticulatum” è lunga 50 metri e larga venti. A valle ci sono ambienti terrazzati, un’aula circolare interrata: degli ambienti che, forse, appartenevano ad un complesso residenziale. (Apertura ore 9-19).

Averno (Lago): Le origini di questo lago risalgono a 4000 mila anni fa, quando lo specchio d’acqua comparve in seguito ad una violenta esplosione. La conca è situata tra i rilievi del Monte Nuovo e del Monte Grillo. Luogo sulle cui sponde Virgilio fa incontrare Enea con l’ombra del padre Anchise, ingresso dell’oltretomba e sede oracolare secondo la tradizione, il suo nome – Averno - deriva dal greco àrnos , che vuol dire “senza uccelli” probabilmente per l’esalazione tossiche emanate dall’acqua del lago, oggi scomparse, al punto che tra la vegetazione si possono scorgere stormi di folaghe. Sulle sponde del lago sorge il tempio di Apollo.

Chiesa di San Antonio: costruita nel 1479 per volere del duca di Maddaloni Diomede Carafa, fu poi affidata proprio da questi nel 1479 all’ordini dei Frati Minori. Nel 1540 fu ricostruito da Don Pedro di Toledo, dopo la distruzione del terremoto e ha perso la struttura del ‘400; le decorazioni in stucco sono del ‘700. L’altare maggiore, anch’esso del 700, è sovrastato dall’Assunzione del Marchione. Nella sagrestia è posta una statua marmorea del ‘400 e raffigurante San Giovanni Battista, mentre nella cappella si può ammirare una statua in legno del ‘500. (Via Pergolesi ore 9-19).

Chiesa dell’Assunta: Con architettura semplice e lineare, l’edificio è posto sulla vecchia darsena dei pescatori, ai piedi del Rione terra.  Costruita nel 1621 in onore della purificazione della Madonna distrutta da un violento maremoto nel 1872, fu ricostruita nel 1880. Vi si celebrano funzioni della tradizione marinara, in occasione della festa dell’Assunta e di Santa Barbara ed ancor oggi la campana  che scandisce il tempo, è un richiamo  per i pescatori. (Via Castello ore 9-19).

Chiesa del Carmine: costruita dai carmelitani del Carmine Maggiore di Napoli all’inizio del XVI secolo, è dedicata a San Giacomo. Ha subito un primo restauro nella seconda metà del 700 e poi nel 1846 e abbellita dal Conte d’Aquila Luigi di Borbone..
Il portale è settecentesco, sovrastato da un medaglione della prima metà dell’800. Sull’altere maggiore va ammirato il paliotto con intarsi di madreperla e pietre pregiate. Sull’altare della natività si trovano statue di legno di Pietro Belverte dei secoli XV e XVI donate dal Vicerè Don Pedro de Toledo alla Chiesa. Ai Piedi dell’altare di San Carlo Borromeo, in marmo policromo, si nota lo stemma con la tomba del vescovo Carlo Maria Rosini, che fece costruire l’altare e volle esservi seppellito. (Via Rosini ore 9-19).

Chiesa di San Gennaro: è sicuramente la chiesa più importante. Situata nei pressi della Solfatara, si trova lì dove il 19 settembre del 305 furono decapitati i martiri Gennaro, Sossio, Procolo, Eutichete Acuzio, Festo e Desiderio.
La presenza di questa chiesa è attestata già dal VI – VII secolo e vi si custodisce, come tramanda la tradizione, la pietra della decollazione ancora intrisa del sangue dei sette martiri. L’edificio ha subito continue devastazione e saccheggi nel corso dei secoli. Ricostruita nel 1580, ristruttutata e ampliata nel 1701, è stata completata nel 1860. Sul portale d’ingresso campeggia un bassorilievo in marmo del XVII secolo raffigurante il volto di Cristo. Il 19 settembre si festeggia ancora il miracolo, in concomitanza con il Duomo di Napoli; un evento che se non accade ha cattivi presagi per Napoli. ( Via Solfatara ore 9-19 ).

Chiesa   di San  Giuseppe: costruita  nel  1706, la chiesa fu  restaurata  ed  ampliata  una   prima   volta  nel  1925 e poi nel 1954.  La  facciata è semplice,  mentre  l’interno  è a  navata   unica,  con un arco trionfale  che   la separa  dal  presbiterio  e  coperta da una  volta a  botte unghiata. Sulle  pareti della navata  sono   posti   gli   stalli    lignei  intagliata del  1707  immettono nella  sagrestia  in     cui  si può  ammirare   un po’ presepe del XVIII   secolo con  pastori  vestiti  con  indumenti  alla procidana. L’altare  maggiore, in marmo policromo, dalle  tele di de Matteis del  1717.  Ai  lati  delle  navate,  invece, sono  visibili tele del Cenatempo del 1706. (Viale Capomazza ore  9-19).

Chiesa di Santa Maria delle Grazie: costruita intorno al 1570 da una confraternite di laici, nel 1624 divenne una parrocchia. Più volte danneggiata dal bradisismo, è stata più volte chiusa e ristrutturata, per poi avere una nuova  ricostruzione nel 1860, nella versione tutt’ora nota. L’interno è a tre navate; l’abside maggiore ha una tavola del ‘500 raffigurante la visitazione. Nel transetto sono sistemate tele di Giacinto Diano, una raffigurante San Giuseppe tra i Santi e l’altra l’ultima Cena. Vi si trova anche un Crocifisso del ?600. Nella navata sinistra sono visibili due altari barocchi in marmo raffiguranti San Leonardo e San Paolo, risalenti al 1736. (Piazza della Repubblica ore 9-19).

Chiesa del Purgatorio: fu edificata alla Madonna della Pietà nel 1639, poi ampliata nel 1817 e si trova nel centro di Pozzuoli, nella zona sottostante al Rione Terra. La facciata è in stile barocco, l’interno a croce latina ad una navata, coperta da volte a botte ribassata decorata con grandi quadri. Al 1782 risale la cantoria con l’organo e una decorazione arabesca. L’altare maggiore è di epoca successiva; risale infatti, al 1798 ed è in marmo policromo con un trono formato da due colonne corinzie con frontoni classicheggianti. ( Rampe Tellini ore 9-19 ).

Chiesa della Purificazione: edificata nel 1702 dall’omonima confraternite, è stata restaurata nel 1743 e nel 1860 il 21 ottobre fu scenario dell’acclamazione plebiscitaria da parte dei puteolani per Vittorio Emanuele II primo re D’Italia.
L’interno e ad una navata divisa per tre spazi; all’ingresso la cantoria con un affresco raffigurante l’annunciazione della Madonna. L’altare maggiore è in marmi policromi con intarsi nel paliotto, raffigurante la Madonna con il Bambino. Sulla porta della Sagrestia è visibile una tela del Simonelli (1649-1713) raffigurante la Purificazione della Vergine. (Via Marconi ore 9-19).

Chiesa di San Raffaele: Nel 1745 il sacerdote Domenico D’Oriano autorizzò la costruzione di una chiesa da intitolare ad Arcangelo Raffaele. La facciata  mostra un portale di piperno con la statua dell’Arcangelo. L’interno presenta altari in marmi policromi realizzati nel 1750 da Crescenzo Trinchese e alcune opere d’arte come “Il Martirio di Santa Caterina” di Giacinto Diano del 1758, “L’Incoronazione di Maria” di Angelo Mozzillo del XVIII secolo e dello stesso secolo la statua di San Raffaele di Gennaro Vassallo, nonché la teca reliquaria di Cristoforo Pallio e Gennaro Arata.(Via Carlo Rosini ore 9-19).

Chiesa di San Vincenzo: costruita nella prima metà del ‘500, è stata officiata dai domenicani fino al 1806, ma è stata ingrandita e abbellita nel ‘700, con altari marmorei e pavimenti maiolicati. L’interno è a croce latina con cappelle laterali; la chiave dell’arco delle cappelle è ornata con cartigli in stucco di ispirazione barocca. L’altare del SS. Rosario è sovrastato da una tela di Francesco Viano eseguita nel 1738 e raffigurante la Madonna del Rosario. L’esterno è arricchito da un trittico in formelle di maiolica del 1852. (Via Matteotti ore 9-19).

Complesso termale Nettuno: Situato tra Via Terracciano e Via Pergolesi, si tratta di un complesso termale di età adrianea a grandi aule rettangolari e suggestive volte a botte, simile alle terme traianee a Roma. Le pareti del frigidarium sono articolate in nicchie a sezione piana in laterizio ed emergono sul piano di campagna per più di tredici metri. La copertura delle sale delle terme era a botte, le mura animate da cassettoni, decorate da stucchi, ancora visibili. La grandezza delle mura è ancora visibile nelle linee sinuose dell’architettura e dai colori delle decorazioni rimaste. ( Tra Via twerracciano e Via Pergolesi  ore 9 –19).

Grotta della Sibilla: eseguita da Agrippina nel 37 a. C. durante la realizzazione del porto di Giulio, è una galleria scavata sotto il monte Grillo per mettere in comunicazione il porto militare e i cantieri sull’Averno. La tradizione medievale ha attribuito la crypta la sede dell’Oracolo virgiliano, ma in realtà è un impianto militare in seguito sfruttato come ambiente termale, grazie alla presenza di acque calde, acque che il mito virgiliano aveva rintracciato come rituale della Sibilla. (sul Lago d’Averno ore 9- 19).

Necropoli Romana: sono un complesso di 14 edifici costruiti fra il I e il II secolo d. C. e rappresenta un reperti funerari di età romana. Il complesso comprende non solo tombe ma anche edifici connessi ai riti funebri o addirittura con una destinazione diversa. Tombe a colombario a più livelli, ipogei e nicchie per olle cinerarie si snodano lungo il tracciato dell’antica via Consolare Campana che collegava Pozzuoli a Capua. (Via Celle ore 9- 19).

Monte Nuovo: Questo monte nacque con una tremenda esplosione nella notte del 29 settembre del 1538. La pioggia di lapilli e lava distrusse il villaggio di tripergole, impianti termali e probabilmente il “Cumanum”, la villa di Cicerone dove si voleva ripristinare l’Accademia Aristotelica. La pioggia di fuoco arrivò fino a Pozzuoli. Ancora oggi alle pendici c’è una ricca vegetazione di pini, ginestre, corbezzoli.

Residenza del Viceré: Dopo l’eruzione del Monte Nuovo, il viceré Don Pedro de Toledo fece costruire una dimora a Pozzuoli, con vasti giardini. Una residenza, che pare abbia visto anche le decorazioni del Vasari intorno al 1554, per poi trasformarsi in granaio nel ‘700 e poi in carcere nell’800; per quest’ultima trasformazione furono realizzate alcune trasformazioni, come la demolizione della merlatura sommitale e l’alzata di un parapetto. Nel 1870 fu acquistato dal Comune e trasformato in ospedale civile fino al 1970. Demolito nel 1984, oggi resta la possente torre quadrangolare. ( Via Ragnisco, apertura 9-19).

Solfatara: Situato sulla Via Solfatara, è il più antico vulcano flegreo ancora attivo. Nella solfatara si susseguono ancora fenomeni tellurici, e manifestazioni fumaroliche. Il suolo è costituito dal cosidetto “ bianchetto”, un materiale argilloso siliceo di colore chiaro. I materiali detritici, denotano una presenza lavica; i resti, infatti, sono di colore rosso-bruno. Nella Solfatara si possono riconoscere le rocce piroclastiche e le incrostazioni di cristallo di zolfo, di colore giallo. (dalle ore 8,30 ad un’ora prima del tramonto ulteriori informazioni allo 081-868 75 92).

Tempio di Apollo: sorge sulla riva orientale dell’Averno ed è attribuito all’oracolo per la grandezza delle mura. E’ un’aula termale, in parte sprofondata dal bradisismo. La sala in mattoni è una delle più grandi costruzioni circolari voltate. Costruita nel II secolo d.C. su di un complesso termale di età giulio claudia, ha una pianta ottagonale all’esterno e circolare all’interno; sulle pareti sono visibili quattro nicchie absidate semicircolari e quattro rettangolari.

Tempio di Serapide: così è conosciuto il Macellum puteolano, detto Tempio di Serapide in conseguenza del ritrovamento di una statua di Zeus Serapide. Da sempre costituisce la rilevazione dei fenomeni di bradisismo; infatti le sedici colonne conservano i segni dell’innnazamento e dell’abbassamento del livello della terra. L’edificio è a pianta quadrata con un cortile centrale attorno al quale un tempo c’erano le botteghe. Un tholos sorgeva al centro del mercato, con statue e colonne, mentre tutta l’architettura è decorata con tritoni ippocampi, nereidi. Le balaustre ai lati delle scale erano a forma di delfino, conchiglie marmoree ornavano i capitelli delle colonne. (Via Serapide 9-19).
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Bibliografia e Fonti

Mario Buonoconto “Napoli Esoterica” Economici Newton.
Salvatore Di Giacomo “I Campi Flegrei” Procolo Riccio Editore.
Franz (f. Savoja di Cangiano) “Napoli Antica” Lito-Rama Editore.
Annamaria Ghedina “Guida ai fantasmi di Napoli” Blado Editori Associati.
Antonio Ghirelli “Storia di Napoli” Einaudi.
Sigfrido E.F. Hobel “Viaggio nei siti e miti dei Campi Flegrei” Auscultur Campania.
Giampaolo Infusino “Storia, miti, e leggende dei Campi Flegrei” Lito-Rama Editore.
Anna Maria Bisi Ingrassia “Napoli e dintorni” Newton Compton Editori.
Santa Mileto “ I Campi Flegrei” Economici Newton.
Santa Mileto/Fabio Speranza “I luoghi di San Gennaro” Newton Editori.
Vittorio Gleijess “ La Neapolis” di Petronio Arbitro in “Strenna Napoletana” per il 1974 a cura di Max Vairo  Edizioni Del Delfino.
Omero “Odissea” a cura di Silvia Innocenti Fratelli Melita (in particolare Libro IX).
Virgilio “Eneide” a cura di Bacchelli ed Paravia (in particolare Libro VI).

Fonti
Il Mattino: Inserti
Viaggio nel Mito 1993.
“Napoli Porte Aperte” 1994
“Napoli: Mito, scienza e superstizione” (2001).
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I Campi Flegrei: un viaggio tra  mito e fantasmi
di Rosaria Secondulfo
Informazioni, chiarimenti, discussioni at Contact point rosaria.ete@inwind.it 

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