ITALIANO
* NAPOLI
La
città di Napoli fu fondata da coloni greci nel V sec. a.C. e assunse
la denominazione di Neapolis (città nuova), in contrapposizione a Palepolis,
primo nucleo abitativo situato sulla collina di Pizzofalcone. Il luogo scelto
per linsediamento, protetto dallimpervia collina addossata allattuale
via Foria, da due canali torrentizi ai fianchi e dal mare, facilitava la difesa
contro gli attacchi nemici.
La struttura della città fu quella ippodamea, tipicamente
greca, con reticolato a scacchiera formato da tre strade parallele (decumani)
intersecate perpendicolarmente da strade minori (cardini). Anche dopo la conquista
romana la città conservò per molto tempo cultura e istituzioni
greche.Città fiorente per i traffici commerciali divenne meta ideale
della nobiltà romana attirata dal clima mite e dalla natura rigogliosa.
Tale prestigio declinò seguendo i destini imperiali, e per Napoli ebbe
inizio una interminabile serie di dominazioni straniere succedutesi nei secoli,
ognuna delle quali ha lasciato tracce nella lingua, nella cultura e nellimpianto
monumentale, ancora oggi riscontrabili.Innumerevoli le vicende storiche legate
agli uomini che la governarono, spesso brutalmente, e alle violente reazioni
del suo popolo oppresso. Grandissime le manifestazioni dellarte e del
pensiero che qui hanno sempre trovato terreno fertilissimo. Napoli ha comunque
saputo mantenere, nel corso della sua travagliata storia, la dignità
di grande capitale europea.
L'antica Neapolis ("Città Nuova") fu fondata
da un gruppo di coloni cumani stabilitisi a Parthenópe (Partenope),
già insediamento fenicio e poi, nel VIIsec. a.C., rodiese. Divenuta
ben presto la città più importante della Campania, intorno alla
metà del V sec. accolse molto probabilmente dei coloni attici e, verso
il 420, i rifugiati di Cuma, conquistata dai Sanniti, nel sobborgo di Palepoli
(Paláiopolis, "Città Vecchia"). Assediata nel 327
dal console Publilio Filone, si arrese l'anno successivo, divenendo alleata
di Roma, alla quale rimase fedele sia durante la spedizione di Pirro sia nel
corso della guerra annibalica. Nonostante la concorrenza del porto di Puteoli
(Pozzuoli) e la distruzione subita nell'82 a.C. da parte dei partigiani di
Silla, nell'ultimo secolo della repubblica e durante l'Impero fu assai florida
economicamente e famosa, oltre che per le sue bellezze naturali, anche come
centro culturale d'impronta greca (Virgilio vi studiò presso la scuola
di Sirone, stabilendosi più tardi nella villa forse ereditata dal maestro,
e vi fu sepolto). Eretta a municipio nel 90 a.C. e a colonia sotto Claudio,
conservò tuttavia fino al Basso Impero la lingua e le istituzioni greche.
Nel 476 vi fu imprigionato Romolo Augustolo, ultimo imperatore d'Occidente.
Gli Ostrogoti sottomisero Napoli senza difficoltà (493), ma la città
venne gravemente danneggiata dalla riconquista bizantina, che si realizzò
faticosamente tra il 536 e il 553. Napoli si risollevò sotto l'amministrazione
bizantina (rappresentata da giudici e duchi) e sotto il patrocinio dei vescovi,
e tanto crebbe in potenza, da respingere tutti i tentativi di conquista dei
Longobardi (581, 592, 599) e da imporsi agli stessi Bizantini come una base
indispensabile per la conservazione dei loro domini in Italia. In cambio di
questa collaborazione, Bisanzio concesse ai Napoletani un'ampia autonomia,
fondata essenzialmente sul diritto di eleggere il proprio supremo magistrato,
il duca. Per questa via, il vincolo di dipendenza di Napoli dall'imperatore
si allentò sempre più e si ruppe di fatto sotto il duca-vescovo
Stefano II (763). Capitale per quasi quattro secoli (763-1139) di un ducato
che si estendeva molto al di là delle sue mura, Napoli riuscì
a salvare la sua libertà e a sviluppare le sue attività economiche
e culturali con una politica ora di forza ora di accortezza, che ebbe momenti
epici nella lotta, assidua e vittoriosa, contro i musulmani (secc. IX e X)
e tortuose vicende nei complicati e instabili rapporti con le altre forze
prementi sul Mezzogiorno: il papato, il Sacro romano impero, Bisanzio e i
principati locali derivati dal disfacimento del ducato longobardo beneventano.
Ma le esigenze contingenti di tale politica indussero il duca Sergio IV di
Napoli a favorire il primo insediamento ad Aversa (1030) di quei Normanni
che, nel giro di un secolo, sottomisero e unificarono nel regno di Sicilia
tutta l'Italia meridionale, Napoli compresa (1139). La conquista fu compiuta
da Ruggero II, primo re di Sicilia, a prezzo di una lunga lotta, che nella
sua ultima fase impegnò tutto il popolo nella difesa dell'indipendenza
della città. Sotto i re normanni Ruggero II (1130-1154), Guglielmo
I il Malo (1154-1166) e Guglielmo II il Buono (1166-1189), in mezzo secolo,
Napoli si adattò non senza resistenze e sommosse (anche a sfondo sociale:
nobili contro popolani) alla parte non più di capitale (la capitale
del regno era Palermo), ma di capoluogo di una provincia che conservava il
nome di principato di Capua. Ruggero II le garantì l'autonomia amministrativa
(con una forte accentuazione aristocratica), Guglielmo I ne consolidò
le difese (Castel Capuano, inizio di castel dell'Ovo), Guglielmo II temperò
in senso popolare l'amministrazione. Quest'atto conciliò definitivamente
i Napoletani coi Normanni così che quando, morto Guglielmo II (1189),
Enrico VI di Svevia intraprese la conquista del regno di Sicilia, Napoli si
schierò col suo rivale Tancredi di Lecce cugino di Guglielmo II, che
la colmò di privilegi e di favori, e ne ebbe in cambio leale e generoso
aiuto nella guerra contro lo Svevo, al quale la città si arrese soltanto
dopo un'eroica resistenza (1194). Punita da Enrico VI con la demolizione delle
mura e la revoca di ogni autonomia, la città sopportò di malanimo
il regime dispotico e fiscale di Federico II, peraltro temperato da alcune
illuminate iniziative (fondazione dell'università, 1224, limitazione
dei privilegi nobiliari, incremento dei traffici, ricostruzione delle difese,
ecc.). Dopo la morte di Federico II (1250), partecipò attivamente alla
lotta antisveva promossa dai papi e, pur avendo per qualche tempo (1254-1266)
accettato il dominio di Manfredi, dopo Benevento si sottomise a Carlo d'Angiò
(1266), che proprio a Napoli fece decapitare Corradino, ultimo rampollo della
casa sveva (1268). Sotto la dinastia angioina (1266-1442) Napoli riacquistò
dignità di capitale dopo che la Sicilia, con la rivolta dei Vespri
(1282), passò agli Aragonesi; crebbe il suo peso politico, crebbero
la popolazione, l'area cittadina (arricchita di nuovi quartieri e monumenti,
quali la reggia di Castel Nuovo), le attività economiche e culturali,
favorite, queste, anche dal mecenatismo dei re, soprattutto di Roberto il
Saggio; anche l'amministrazione cittadina, affidata ai cosiddetti Seggi o
Sedili, svolse un'azione abbastanza efficace. Ma si inasprivano intanto gli
squilibri, i contrasti sociali e il fiscalismo; per di più, dalla morte
di Roberto (1343), si scatenarono quelle lotte dinastiche, che sboccarono
nell'affermazione di Alfonso V (I) il Magnanimo, re d'Aragona e di Sicilia,
che conquistò Napoli dopo un lungo assedio (1441-1442), stroncando
le ultime vane speranze e resistenze degli epigoni della casa d'Angiò.
I re aragonesi, nonostante le loro benemerenze soprattutto nel campo culturale
e la loro magnificenza incontrarono difficoltà nel conquistarsi il
favore popolare, tra l'altro per aver condotto a Napoli un gran numero di
Catalani, a occupare posizioni-chiave nella politica e nell'economia, dove
già operavano largamente altri forestieri, di origine francese, toscana,
veneziana. Alfonso V (I) e Ferdinando I (Ferrante) non riuscirono ad arrestare
le crescenti correnti avverse che, dopo l'ammonitrice congiura dei Baroni
(1485- 1486), si manifestarono nell'accoglienza trionfale a Carlo VIII di
Francia (1495) e successivamente nelle lotte franco-spagnole, che si conclusero
nel maggio 1503 con l'ingresso di Consalvo di Cordova, il quale prese possesso
di Napoli in nome di Ferdinando II (III) il Cattolico. Durante il regime dei
viceré spagnoli (1503-1707), Napoli mantenne una formale autonomia,
ebbe una rigogliosa ripresa urbanistica, prese, soprattutto ai tempi dell'imperatore
Carlo V, respiro di metropoli di importanza e fama internazionali; ma pagò
tutto questo a caro prezzo; tanto più caro quanto più il predominio
della Spagna, dopo l'apogeo, venne declinando nel XVIIsec. In un ambiente
di stridenti contrasti culturali ed economico- sociali e sotto il peso di
un fiscalismo sempre più pesante, scoppiò la rivolta popolare
legata al nome di Masaniello (1647), seguita da un infelice esperimento repubblicano
e da un tentativo di occupazione francese e conclusa col ritorno allo statu
quo (1648), con l'aggravante di un tenace strascico di rancori, e di sussulti
politici e sociali, caratterizzati da costanti conflitti tra nobili e popolani
e da mutevoli atteggiamenti degli uni e degli altri nei confronti dei dominatori
spagnoli. Il passaggio dalla dominazione spagnola all'austriaca, durata dal
1707 al 1734, non modificò la formula del regime vicereale, né
le condizioni generali della popolazione; suscitò anzi qualche rimpianto
del passato, tanto che l'avvento di Carlo III (VII) di Borbone (1734-1759),
figlio del re di Spagna Filippo V, vincitore degli Austriaci e istauratore
della nuova dinastia, fu accolto dai Napoletani con largo favore, come inizio
della restaurazione della città nel rango di capitale di un regno indipendente
e sovrano. I Borboni non delusero le aspettative dei loro nuovi sudditi: Carlo
e il suo successore Ferdinando IV diedero un notevole impulso alla vita della
città sotto ogni aspetto: politico-amministrativo, monumentale, soprattutto
culturale (G. B. Vico e gli illuministi Genovesi, Galiani, Pagano, Filangieri,
ecc.) e intrapresero alcune riforme d'ispirazione illuministica. La Rivoluzione
francese e le conseguenti guerre coinvolsero Napoli, dove si susseguirono
l'effimera Repubblica Partenopea (1799), espressione della volontà
di un'esigua minoranza "giacobina" senza radici nella popolazione,
e l'occupazione francese, che portò al trono prima Giuseppe Bonaparte,
poi Gioacchino Murat. Nel periodo francese (1806- 1815), la città ebbe
nuova amministrazione (i decurioni, per altro già introdotti da Ferdinando
IV nel 1800) e nuovo incremento urbanistico e culturale; ma ciò non
bastò a far dimenticare, soprattutto al popolo minuto e al clero, la
vecchia dinastia riparata a Palermo. Perciò la restaurazione dei Borboni,
ora in veste di re delle Due Sicilie (Ferdinando IV, ora I, Francesco I, Ferdinando
II, Francesco II, dal 1815 al 1860), fu accolta con soddisfazione dalla maggioranza
della popolazione. La città di Napoli, nonostante lo spirito retrivo
e l'inerzia dei re, continuò a progredire: a Napoli fu costruito il
primo battello a vapore (Ferdinando I, 1818), inaugurata la prima ferrovia
(la Napoli-Portici, 1839), adottate le prime comunicazioni telegrafiche d'Italia;
nel 1848 la marina napoletana era la terza d'Europa, i traffici, specialmente
marittimi, prosperavano, il costo della vita era modesto e la tassazione media
tenue. Nel campo della cultura, basterà ricordare Francesco De Sanctis,
Luigi Settembrini, Bertrando Spaventa, e molti insigni politici, tutti più
o meno attivamente partecipi al movimento risorgimentale. A questo Napoli
concorse coi moti del 1820-1821 e del 1848, entrambi tragicamente falliti;
le iniziative liberali di Francesco II (concessione della costituzione, giugno
1860) anticiparono di pochi mesi la conquista di Garibaldi (7 settembre) e
la formale annessione del regno agli Stati sabaudi (plebisciti dell'ottobre).
Da quel momento la storia di Napoli si inserisce nella storia d'Italia: tra
le benemerenze della città, duramente provata dai bombardamenti nella
seconda guerra mondiale, meritano ricordo le quattro giornate di lotta popolare,
che la liberarono dall'occupazione tedesca (25-28 settembre 1943).