Parte seconda: La letteratura combinatoria

3. Georges Perec

1. La combinatoria: istruzioni per l'uso

Oulipismi e rousselismi

Nell'opera di Perec le possibili applicazioni e modulazioni narrative della combinatoria si moltiplicano e si impastano con le fonti più interne del movimento della scrittura. Già Queneau aveva suggerito la possibilità di utilizzare una griglia normativa attraverso cui setacciare il dato autobiografico e le pressioni che dal profondo si affacciano a motivare la necessità del raccontare. In Perec questa formalizzazione dell'informe si fa strumento imprescindibile di una ricerca letteraria che è prima di tutto ricerca di sé stesso. L'esperienza oulipiana risulta così il dato decisivo della sua evoluzione, poiché fornisce a Perec gli strumenti necessari a distanziare la Storia, il vissuto personale, la persistenza infraordinaria del quotidiano, e ad assumerli come elementi di un gioco letterario in cui nella combinazione inesausta dei singoli tasselli si intravede la possibilità della ricomposizione dell'identità in un quadro unitario. Le dinamiche dell'opera seguono così le linee di una combinatoria introspettiva che gioca a permutare le tessere dell'esperienza come tasselli di un puzzle:

Quando tentavo di parlare, di dire qualcosa di me, di affrontare quel clown interiore che giocava così bene con la mia storia, quel prestigiatore che era in grado di incantare anche se stesso, avevo immediatamente l'impressione di essere sul punto di ricominciare il medesimo puzzle, come se, a forza di esaurire una a una tutte le combinazioni possibili, un giorno potessi finalmente giungere all'immagine che cercavo. (1)

Naturalmente l'assunzione operativa dei procedimenti combinatori non si dà esclusivamente come metafora di un movimento di autocostruzione, ma si carica di una supplementare valenza ludica che ne garantisce l'autosufficienza: ammessovi nel 1967, «dell'Ou-Li-Po Perec era diventato il maggiore esponente, e si può dire che almeno due terzi della produzione del gruppo erano opera sua» (2). Calvino riporta, a titolo d'esempio, l'esperimento di Ulcérations:

Per esempio, Perec parte dal dato statistico che le undici lettere più frequenti nel francese scritto sono quelle che si ritrovano nella parola ulcérations; un ordinatore elettronico gli fornisce tutte le permutazioni possibili di queste undici lettere; da questi anagrammi senza senso Perec pazientemente sceglie quelli che letti uno di seguito all'altro (e introducendo stacchi e punteggiatura), possano formare dei versi liberi dotati d'un senso e d'un ritmo. Ne nasce un libretto di poesie, intitolato appunto Ulcérations che consiste esclusivamente di 399 permutazioni di quelle undici lettere. (3)

Proseguendo su questa strada, Perec pubblica nel 1976 Alphabets, una raccolta di testi eterogrammatici, in cui cioè appaiono solo determinate lettere, ed in cui ogni verso è anagramma dell'altro (4); La Clôture et autres poèmes raccoglie invece ogni sorta di giochi, palindromi, eterogrammi, acrostici (5). La regolamentazione eccessiva che fonda tutta quest'attività "poetica" non trae origine esclusivamente da scelte teoriche, ma costituisce quasi un piano di difesa dalla vertigine della libertà compositiva:

Non ho in programma per il momento di scrivere poesia se non imponendomi contrainte del genere [...]. L'intensa difficoltà che pone questo genere di produzione e la pazienza che occorre per arrivare ad allineare, per esempio, undici «versi» di undici lettere ciascuno, non mi sembrano niente paragonate al terrore che sarebbe per me scrivere «poesia» liberamente. Ma forse un giorno oserò farlo. (6)

Tra i molti contributi per la Biblioteca Oulipiana è d'obbligo citare almeno l'Esercizio su una frase di Raymond Roussel, in cui lo spazio tropologico delle frasi rousseliane viene percorso per minuscoli slittamenti semantici delle quattro parole, che individuano infine un punto intermedio di giunzione in una semplice permutazione delle due frasi-genesi:

Si tratta di giustificare il passaggio operato da Raymond Roussel, in un celebre racconto, dalla frase iniziale:

«Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard»

alla frase finale:

«Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard»

mostrando che queste frasi sono rigorosamente equivalenti, poiché sono fra l'altro entrambe equivalenti alla frase:

«Les bandes de la lettre sur le pillards du vieux blanc»

 

Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard
billets homme clans plagiaire
effets amant partis copiste
......... ......... ......... .........
bienfaits levée chauffeurs pur
faveurs pli brigands innocent
bandes lettre pillards blanc
faveurs pli brigands blafard
bienfaits levée chauffeurs livide
......... ......... ......... .........
énergies rouge saillies abaque
caractères fard rebords table d'opérations
Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard (7)

 

Perec utilizzerà successivamente anche l'ultimo procedimento rousseliano nel Petit abécédaire illustré (1969), testo di cui Calvino raccoglie la sfida, fornendone un equivalente nella lingua italiana (8):

Il Petit abécédaire illustré di Georges Perec (pubblicato privatamente nel 1969 e poi in: Oulipo, La littérature potentielle, Gallimard 1973, pp. 239 e 305) è composto di 16 brevissimi testi narrativi la cui chiave viene data in fondo: ognuno di essi equivale semanticamente a un altro testo di poche sillabe che a sua volta equivale foneticamente alla successione d'una consonante e delle cinque vocali come nei sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-CO-CU, DA-DE-DI-DO-DU, e così via per tutte le lettere dell'alfabeto.

Per esempio: PA-PE-PI-PO-PU è reso così: «Trasferitosi a Cremona, il Sommo Pontefice scruta con ansia il fiume che manda cattivo odore. Pape épie, Pô pue». (9)

L'operazione, più difficile in italiano per la maggiore rigidità del rapporto fonetica-ortografia, è comunque portata a termine da Calvino, con risultati spesso gustosi e sorprendenti:

SA-SE-SI-SO-SU

Per convincere il proprietario d'un night-club a scritturarla, una spogliarellista lo assicura della propria efficacia nel provocare l'eccitazione degli spettatori.

- Sa? Sessi isso su! (10)

La contrainte rousseliana è usata da Perec in serie ad una regola supplementare che ne estingue lo spazio di casualità, di modo che ogni breve testo sia ricavato da una sequenza di scelte obbligate (11): l'elenco delle sequenze generatrici è il risultato di un sillabario, cioè di una combinatoria che svolge interamente le possibilità di combinazione delle consonanti con le vocali, secondo le modalità che abbiamo già esposto come prodotto cartesiano di due insiemi (12). Ma la stessa regola rousseliana è impiegata molte altre volte nella sua opera, piegata a differenti intenti, come in un testo di Voeux in cui si narra di una partita al gioco del go che in Paradiso oppone Tito Livio a Cosimo de' Medici, traccia narrativa in cui si riconosce un'incongruità di evidente sapore rousseliano: ed infatti, «Paix, Tite, Cosme au go nie porte hâtive» è la frase-genesi che utilizza il procedé rousseliano per omaggiare la Piccola cosmogonia portatile di Queneau. (13)

Se l'opera di Roussel contemplava frequentemente la presenza di giochi di società e rebus crittografici, mentre l'autore si dilettò per un certo periodo di varianti scacchistiche di una certa rilevanza teorica (14), Perec predilige tutti i giochi accomunati da una sottostante figura reticolare in cui si attua la combinazione dei discorsi, vittoria o compimento dello sforzo gratuito del gioco. Così si spiega l'interesse per l'«arte sottile» del go (15), che si esercita sul «contrôle des intersections vides» (16) del reticolo. Ma il gioco perecchiano per eccellenza è il puzzle, metafora principe della combinatorietà dell'opera perecchiana, che affiora segnatamente in La vita istruzioni per l'uso come principio strutturale e motivo tematico agglutinante, su cui si sofferma il preambolo dell'opera (17). Le virtù gestaltiche del puzzle permettono a Perec di ridimensionare l'essenza a favore della relazione:

L'oggetto preso di mira - sia esso un atto percettivo, un apprendimento, un sistema fisiologico o, nel nostro caso, un puzzle di legno - non è una somma di elementi che bisognerebbe dapprima isolare e analizzare, ma un insieme, una forma cioè, una struttura: l'elemento non preesiste all'insieme [...]: conta solo la possibilità di collegare quel pezzo ad altri pezzi e in questo senso l'arte del puzzle e l'arte del go hanno qualcosa in comune; solo i pezzi ricomposti assumeranno un carattere leggibile, acquisteranno un senso: isolato, il pezzo di un puzzle non significa niente... (18)

Perec è chiarissimo: fuori dall'atto del combinare non si dà senso, ed è questa affermazione la migliore introduzione al libro e insieme all'intera opera perecchiana, di cui questo iper-romanzo riassume in larga parte le linee fondamentali. Il puzzle qui è ben più che metafora, è immagine che s'incammina dallo statuto retorico verso i procedimenti combinatori a cui rimanda, finendo per costituirne la forma sintetica, quintessenziata, e quindi una loro esatta rappresentazione.

Allo stesso livello lavora il suo riconosciuto magistero nei cruciverba, attività che intraprese anche professionalmente, i cui esiti migliori sono raccolti in un paio di volumi (19). Le mots croisés sono ben più che metafora della esatta combinazione dei discorsi, ne costituiscono la forma archetipica ed esemplare, ed insieme il termine ultimo di perfezione a cui mira ogni tentativo di scrittura reticolare derivato dallo sviluppo d'una combinatoria.

 

Le linee letterarie

La ricerca oulipiana è attiva in tutte le opere di Perec, come confessa lo stesso autore, ma sovrapposta all'azione di altre lenti d'ingrandimento, altrettanti strumenti per indagare campi diversi della realtà; se talvolta Perec si concede il vezzo di nascondere le dinamiche dei suoi procedimenti compositivi, le linee-guida della sua scrittura sono invece continuamente evidenziate, e ricombinate senza posa in un discorso che non è orientato verso il lettore, ma cerca affannosamente una particolare linearità "non-euclidea" che lo riporti all'autore stesso, per informarlo di ciò che sta facendo. Una prima classificazione delle lenti utilizzate da Perec per la messa a fuoco del reale è piuttosto agevole, e così riportata dallo stesso autore:

... i libri che ho scritto si rifanno a quattro campi diversi, a quattro modi di interrogare che, alla fine, pongono forse tutti la stessa domanda, ma secondo prospettive particolari che ogni volta corrispondono per me a un diverso tipo di lavoro letterario.

La prima di queste interrogazioni può essere considerata di tipo "sociologico": come guardare il quotidiano, ed è all'origine di testi come Les Choses (Le cose), Espèces d'espaces, Tentative de description de quelques lieux parisien, e del lavoro realizzato con l'équipe di Cause commune su Jean Duvignaud e Paul Virilio; la seconda è di ordine autobiografico: W ou le souvenir d'enfance, La Boutique obscure, Je me souviens, Liex où j'ai dormi, ecc.; la terza, ludica, rinvia al mio gusto per i contrasti, le prodezze, le "gamme", e a tutti i lavori per i quali le ricerche dell'OuLiPo mi hanno dato l'idea e i mezzi: palindromi, lipogrammi, pangrammi, anagrammi, isogrammi, acrostici, parole incrociate, ecc.; la quarta, infine, riguarda il romanzesco, il gusto per le storie e le peripezie, la voglia di scrivere libri che si divorano stando comodamente a letto: La Vie mode d'emploi (La vita istruzioni per l'uso) ne è l'esempio tipico.

La suddivisione è in qualche modo arbitraria e potrebbe essere molto più sfumata: quasi tutti i miei libri non sfuggono a una certa impronta autobiografica (per esempio, inserisco in un capitolo che sto scrivendo un'allusione a un avvenimento che mi è capitato durante la giornata); e quasi nessuno si realizza senza che io non abbia fatto ricorso a quel contrasto o a quella struttura oulipiani, non fosse che a titolo simbolico e senza che la suddetta struttura o il suddetto contrasto mi condizionino in qualche cosa. (20)

L'operazione combinatoria è così talvolta decentrata rispetto al centro funzionale del testo, assunta per il suo valore esteriore di segno inconfondibile dell'immaginario perecchiano, una regolamentazione «che faccio un po' come un pianista che fa le scale» (21); ma di norma essa si trova a governare la scrittura, in posizione sovraordinata rispetto alle altre dinamiche:

L'invenzione per quel che mi riguarda parte sempre da un'invenzione formale. All'inizio c'è un bisogno tracciato di scrivere e questo bisogno trova la sua origine in un'esperienza personale o in qualcosa che mi succede e che viene poi trasformato per mezzo di un'invenzione formale. (22)

L'uso della combinatoria si pone in realtà su un piano esterno a quello degli altri tre principi, mirando ad organizzarne la compresenza all'interno del testo. O meglio, i moduli combinatori devono essere distinti dalla loro applicazione nel campo linguistico, ponendosi come modalità di organizzazione dei quattro orizzonti del suo lavoro: «il mondo che mi circonda, la mia storia, il linguaggio, la finzione» (23).

L'esperienza di Lieux mostra esemplarmente l'abilità perecchiana nell'intrecciare le sue linee letterarie: si tratta di un progetto di descrizione di dodici luoghi parigini, che avrebbe dovuto svolgersi in dodici anni, dal 1969 al 1980, ma che s'interruppe nel 1975 (24). Si era proposto di fare ogni mese due descrizioni: la prima direttamente sul posto, annotando minuziosamente tutto ciò che avveniva davanti ai suoi occhi; la seconda in base all'esclusiva ricostruzione della memoria di oggetti, eventi ed incontri legati a quel luogo. I dodici luoghi erano stati infatti scelti in base a un qualche legame con la sua personale esperienza (25). Ma non basta: la successione dei luoghi è stabilita da un biquadrato ortogonale di ordine dodici, una struttura il cui sistema di permutazione gli consentiva di descrivere in un anno lo stesso luogo due volte, la prima come reale, la seconda come ricordo, e mai nello stesso mese. La linea sociologico-descrittiva si salda qui con quella autobiografica, fusione organizzata da uno schema combinatorio sottostante.

Che i quattro poli procedurali circoscritti da Perec siano sottoposti ad un'incessante combinazione in tutte le sue opere è fenomeno già riconosciuto, e ampiamente documentabile: Les choses, il suo primo romanzo, non fa che proiettare in una finzione leggibile a livello «sociologico» l'esperienza vissuta in prima persona, dilatandone i fondamenti fino a congiungerli col dramma intersoggettivo della resa al consumismo:

In Le cose è la mia esperienza che descrivo e l'esperienza di un gruppo di amici, gente che conoscevo in quel periodo, momento in cui si passava dalla condizione di studenti alla vita civile, alla vita quotidiana, in cui bisognava guadagnarsi da vivere [...]. Era dunque la mia esperienza (nutrita in gran parte dall'insegnamento di Roland Barthes e, a livello di scrittura, da Flaubert, dall'Educazione sentimentale), a cui davo, semplicemente, un carattere generale. (26)

Anche nel più direttamente autobiografico dei suoi libri, W ou le souvenir d'enfance, Philippe Lejeune ha dimostrato l'esistenza di liste preordinate di elementi e schemi di permutazione (27). D'altronde qui la rievocazione dei ricordi si articola sul filo della descrizione minuziosa e dell'enumerazione di oggetti quotidiani, quali ad esempio le fotografie che fissano i volti della sua infanzia.

 

La vita: istruzioni per l'uso

L'«iper-romanzo» La Vie mode d'emploi (1978) rappresenta la summa delle linee procedurali perecchiane, e al contempo l'opera cardine della letteratura combinatoria, di cui riassume e combina quasi tutte le sfaccettature teoriche fin qui evidenziate. La ben nota ammirazione di Calvino per quest'opera lo spinge a considerarla «l'ultimo avvenimento nella storia del romanzo» (28), per i seguenti motivi:

Il disegno sterminato e insieme compiuto, la novità della resa letteraria, il compendio d'una tradizione narrativa e la summa enciclopedica di saperi che questo libro convoglia in un'immagine del mondo, il senso dell'oggi che trasmette come accumulazione di passato e come vertigine di vuoto, la compresenza continua d'ironia e d'angoscia, insomma il modo in cui il perseguimento d'un progetto strutturale e l'imponderabilità della poesia diventano una cosa sola. (29)

La «tradizione narrativa» che l'opera riassumerebbe è in realtà la stessa letteratura combinatoria che costituisce il nostro oggetto, e che lega inscindibilmente il lavoro di Perec a quello di Calvino, obbligando ad un'analisi congiunta della rete di rimandi intertestuali fra le dinamiche compositive dei due autori. Il progetto combinatorio avviluppa qui la stesura dell'opera, evidenziando nel migliore dei modi il movimento duplice della combinatoria letteraria:

1) Una combinatoria generativa, che agisce prima della stesura del discorso, condizionandolo fino al risultato estremo di produrlo: i procedimenti rousseliani sono generativi, producono testo come risultato di una restrizione. Ma anche Calvino utilizza in Se una notte d'inverno un viaggiatore «una griglia di percorsi obbligati che è la vera macchina generativa del libro, sul tipo delle allitterazioni che Raymond Roussel si proponeva come punto di partenza e punto d'arrivo delle sue operazioni romanzesche» (30). Calvino pubblica nella Bibliothèque Oulipienne un saggio oulipo-greimassiano che spiega la tecnica utilizzata in Se una notte attraverso la successione di pseudo-quadrati semiotici: un metadiscorso che Greimas stesso introduce, segnalando che deve essere letto «avec sérenité et un soupçon de sourire» (31), e che è significativamente intitolato da Calvino Comment j'ai écrit un de mes livres.

Questa operazione combinatoria antecedente al discorso si attua in La vita istruzioni per l'uso nella costruzione di un'impalcatura tematica soggiacente ad ogni singola storia: Perec usufruisce della struttura del biquadrato latino, come già mostrato, per organizzare delle liste tematiche da combinare, che «comprendono località geografiche, date storiche, mobili, oggetti, stili, colori, cibi, animali, piante, minerali e non so quante altre» (32). L'intersezione di occorrenze di queste liste dà luogo ad una traccia narrativa o stilistica da rispettare per ciascun capitolo.

2) Una combinatoria dispositiva, che organizza la successione delle unità discorsive preesistenti. Lo schema biquadratico associato alla figura in sezione del palazzo definisce il numero dei capitoli, mentre la loro successione è dettata dalla "mossa del cavallo". Anche in questo caso, Perec aveva a disposizione un esempio calviniano di combinatoria dispositiva in uno schema reticolare: Le città invisibili, originate ciascuna da uno scatto informale della fantasia calviniana, sono organizzate secondo uno schema a posteriori: cinquantacinque città, incasellate nel piano individuato dai due assi della divisione in capitoli (nove, aperti e chiusi dalla cornice) e della suddivisione in categorie tematiche (undici, da "Le città e la memoria" a "Le città nascoste") (33). Lo schema combinatorio in cui Perec incasella le tessere narrative definisce le modalità di quella scrittura reticolare che entrambi gli autori portano avanti: per Perec il discorso (il senso) si costruisce solo dalla combinazione di unità delimitate di contenuto da smontare e rimontare alla ricerca di «quell'indicibile verso cui tende disperatamente il desiderio di scrivere» (34). A Calvino interessa invece più la compresenza dei discorsi, la salvaguardia della molteplicità più che il reperimento di un unicum (35). Se in Perec l'organizzazione combinatoria si cristallizza infine nell'immagine del puzzle risolto, nella combinazione decisiva che fissa la forma dell'opera, in Calvino la figura reticolare serve a sottolineare l'organizzazione di una molteplicità di percorsi all'interno dell'opera; la scrittura reticolare calviniana conduce all'ipertestualità, come mostrano le molteplici figure di questa organizzazione testuale, tra cui emerge per evidenza la «città invisibile» di Smeraldina, una Venezia reticolare:

A Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e s'intersecano. Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poiché la linea più breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s'aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte (...). Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si dà ogni giorno lo svago d'un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi. (36)

Del tutto analoga è la forma dell'ipertesto, così definita dal suo inventore, Theodor H. Nelson:

Con "ipertesto" intendo scrittura non sequenziale - testo che si dirama e consente al lettore di scegliere [...]. Così come è comunemente inteso, un ipertesto è una serie di brani di testo tra cui sono definiti dei collegamenti che consentono al lettore differenti cammini. (37)

Che cos'è infatti una regola combinatoria? E' una norma, un enunciato che stabilisce, dato un numero di elementi, quali collegamenti (link) tra di essi sono validi, pertinentizza cioè solo un determinato numero di percorsi (di path) tra questi elementi. La combinatoria generativa organizza i collegamenti tra elementi linguistici minimali (una frase, una parola, talvolta una sillaba o una lettera), su un piano del discorso antecedente a quello dell'opera finita; la combinatoria dispositiva è utilizzata da Perec per fissare in una forma definita e necessaria la sequenzialità dei brani prodotti, da Calvino per evocare ed organizzare la molteplicità di percorsi stabilibili a priori in un testo.

Anche la compenetrazione tra la combinatoria generativa e quella dispositiva, magistralmente risolta da Perec nell'utilizzo di un'unica struttura (il biquadrato latino) in cui fin dall'inizio sono interrelate le due funzioni, ha una forte impronta calviniana: ne Il castello dei destini incrociati il gioco combinatorio genera e dispone al contempo in discorso i suoi materiali d'uso. Il rapporto con l'esperimento calviniano si rafforza per l'analogo tentativo di sfruttamento narrativo d'una sequenza d'immagini, la serie dei Tarocchi (viscontei e marsigliesi) da una parte, la riproduzione dello spaccato d'uno stabile parigino (che Perec trae da un disegno di Saul Steinberg intitolato The art of living) dall'altro (38).

Di questo itinerario percorso "a quattro gambe" Perec approfondisce il collegamento con la narratività tradizionale, offrendo nella storia centrale del miliardario Bartlebooth un personaggio "combinatorio" per antonomasia, fin dal suo nome, che sintetizza «due personaggi letterari: Barnabooth il miliardario di Valery Larbaud, e Bartleby lo scrivano di Herman Melville: l'uomo che vorrebbe dare una forma al vuoto della sua vita e l'uomo che vorrebbe identificarsi col nulla» (39).

Bartlebooth, nell'impossibilità di cogliere interamente la totalità dell'esistente, sceglie, «di fronte all'inestricabile incoerenza del mondo [...], di portare fino in fondo un programma, ristretto, sì, ma intero, intatto, irriducibile. [...] di organizzare tutta la sua vita intorno a un progetto unico la cui necessità arbitraria non avrebbe avuto uno scopo diverso da sé» (40).

A vent'anni inizia così a concepire il suo progetto, che prevede dieci anni di iniziazione all'arte dell'acquerello, per cui non prova alcun particolare interesse né predisposizione; per vent'anni viaggerà per il mondo, dipingendo ogni quindici giorni una «marina», una veduta di un porto di mare, che spedirà subito ad un artigiano specializzato che l'incollerà su un foglio sottile e ne farà un puzzle di 750 pezzi; tornato in Francia, per vent'anni ricomporrà, nell'ordine, questi puzzle, ovviamente ancora uno ogni quindici giorni, i cui pezzi saranno reintegrati nei dipinti originari grazie ad una sostanza speciale, e rispediti nei luoghi stessi in cui sono stati dipinti, per essere immersi «in una soluzione solvente da cui non sarebbe riemerso che un foglio di carta Whatman, vergine e intatto. Così, non sarebbe rimasta traccia alcuna di quella operazione che, per cinquant'anni, aveva completamente mobilitato il suo autore» (41).

La regola arbitraria della combinatoria letteraria si lega così alla vita stessa, sostituendo un ordine qualsiasi al disordine del mondo: Bartlebooth non è solo figura esemplare del procedere combinatorio, ma soprattutto ipostasi d'una decisiva meccanica psicologica perecchiana.


Note

(1) I luoghi di una astuzia (1977), in Pensare/Classificare, trad. it. di Sergio Pautasso, Milano, Rizzoli, 1989, p. 61.

(2) Italo Calvino, Ricordo di Georges Perec (Perec, gnomo e cabalista, 1982), S 1391.

(3) ibid. Ruggero Campagnoli riprenderà il progetto perecchiano, fornendo una centina eterogrammatica basata sugli anagrammi della parola «Edulcoranti» (in Biblioteca Oplepiana, n°1, 1990).

(4) Cfr. Alphabets, Paris, Galilée, 1985.

(5) Cfr. La Clôture et autres poèmes, Paris, Hachette, 1978.

(6) Conversazione con Jean-Marie Le Sidaner (Entretien avec Jean-Marie Le Sidaner, «L'Arc», n° 76, Paris, 1979), trad. it. di Elio Grazioli, «Riga», n° 4, Milano, Marcos y Marcos, 1993, p. 95.

(7) Marcel Bénabou e Georges Perec, L.S.D. Analitica (Esercizio su una frase di Raymond Roussel), in Ruggero Campagnoli - Yves Hersant, a cura di, op. cit., pp. 137-39.

(8) Su Calvino oulipiano cfr. in particolare Marcel Bénabou, Per una storia dell'OuLiPo tra Francia e Italia: l'esempio Calvino, in Brunella Eruli, a cura di, op. cit., pp. 19-29; Mario Fusco, Italo Calvino entre Queneau et l'Ou.Li.Po., in Italo Calvino. Atti del convegno internazionale, Milano, Garzanti, 1988, pp. 297-304.

(9) Italo Calvino, Piccolo sillabario illustrato (da Georges Perec) (1977), in RR III, p. 334.

(10) id., S 340.

(11) Non è del tutto vero, poiché ad esempio per la sequenza PA-PE-PI-PO-PU Giampaolo Dossena propone una soluzione diversa e più originale di quella di Calvino, che infatti la accoglie nel suo testo.

(12) Sull'asse verticale la serie delle consonanti, su quello orizzontale la serie delle vocali; rileviamo l'esistenza di una differenza tra i due assi, poiché le sequenze ricavate sono lette seguendo un solo ordine (BA-BE-BI-BO-BU, e non BA-CA-DA-FA-GA...).

(13) Cfr. G. Perec, Cocktail Queneau, in Voeux, Paris, Seuil, 1989, p. 163.

(14) Cfr. Le mat du fou et du cavalier, e S. Tartakower, Raymond Roussel et les echècs dans la Littérature, in Comment j'ai ecrit certains de mes livres, op. cit., pp. 131-158.

(15) Con Pierre Lusson e Jacques Roubaud pubblica un Petit Traité invitant à la découverte de l'art subtil du go (Paris, Bourgois, 1969). Cfr. anche Hans Hartje, Perec e l'alter-(e)go, in Brunella Eruli, a cura di, op. cit., pp. 87-96.

(16) Petit Traité, op. cit., p. 52.

(17) Ma è stata segnalata da François Caradec anche riguardo a Roussel la parentela tra puzzle e gioco combinatorio: «Ces jeux sur les rassemblances phoniques présentent une évidente affinité avec ceux de l'enfance, rébus, charades, puzzles. "L'élément du puzzle est énigmatique, puis, peu à peu, tous s'emboîtent et présentent en clair l'image auparavant disloquée" (Robert André, La Stèle de Raimond Roussel, «Bizarre», n°s 34-35). L'une des formes du puzzle est le jeu de cubes, et certainement ne faut-il voir que ce jeu enfantin dans l'emploi que Raymond Roussel fait du cube...» (François Caradec, Vie de Raymond Roussel, Paris, J. J. Pauvert, 1972, p. 24).

(18) La vita istruzioni per l'uso (La vie mode d'emploi, Paris, Hachette, 1978), trad. it. di Dianella Selvatico Estense, Milano, Rizzoli, 1994, p. 7.

(19) Cfr. Le Mots croisés, Paris, Mazarine, 1979; Le Mots croisés II, Paris, P.O.L. e Mazarine, 1986.

(20) Note su ciò che cerco (1978), in Pensare/Classificare, op. cit., pp. 9-10.

(21) Conversazione con Jean-Marie Le Sidaner, op. cit., p. 93.

(22) Conversazione con Eva Pawlikowska (1981), trad. it. di Elio Grazioli, «Riga», n° 4, p. 99.

(23) ibid.

(24) Il programma di lavoro venne da lui reso noto in Espèces d'espaces, Paris, Galilée, 1974 (Specie di spazi, trad. it. di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, pp. 67-68).

(25) Cfr. la Lettera a Maurice Nadeau, in Je suis né (Sono nato, trad. it. di Roberta Debono, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 51).

(26) Conversazione con Eva Pawlikowska, op. cit., pp. 98-99.

(27) Cfr. Philippe Lejeune, La genèse de "W ou le souvenir d'enfance", «Cahiers Georges Perec», n° 2, 1988, pp. 119-155.

(28) Perec, La vita istruzioni per l'uso (1984), S 1393.

(29) ibid.

(30) Italo Calvino, Se una notte d'inverno un narratore, «Alfabeta», I, 8, dicembre 1979, p. 5. Ma poiché i dieci incipit inseriti non fanno che variare un nucleo narrativo di base, da questa diversa prospettiva è agli Exercices de style di Queneau che Calvino si richiama.

(31) Algirdas Julien Greimas, Avis au lecteur, in Italo Calvino, Comment j'ai écrit un de mes livres, «Nuova Corrente», XXXIV (1987), p. 10. L'uso del titolo rousseliano è evento quotidiano nei dintorni dell'OuLiPo: forse la migliore variazione sul tema è offerta da Marcel Bénabou con il suo Pourquoi je n'ai écrit aucun de mes livres (Paris, Hachette, 1986).

(32) Italo Calvino, Perec, La vita istruzioni per l'uso, op. cit., S 1397.

(33) Cfr. lo schema costruito da Claudio Milanini, L'utopia discontinua, Milano, Garzanti, 1990, pp. 130-31; Pier Vicenzo Mengaldo propone invece un accostamento con lo schema metrico della sestina lirica, le cui proprietà combinatorie abbamo già evidenziato (cfr. L'arco e le pietre (1973), in La tradizione del Novecento, Feltrinelli, Milano 1980).

(34) Note su ciò che cerco, op. cit., p. 11.

(35) In Il conte di Montecristo Calvino precisa la complementarietà dei due atteggiamenti, incarnati da Dantès e Faria: «A Faria sta a cuore una pagina tra le tante, e non dispera di trovarla; a me interessa veder crescere il cumulo dei fogli scartati, delle soluzioni di cui non c'è da tener conto, che già formano una serie di pile, un muro...» (Italo Calvino, Il conte di Montecristo, op. cit., RR II 355).

(36) Le città invisibili, op.cit., RR II 433.

(37) Theodor H. Nelson, Literary machines, Swarthmore (Pa.), 1981, pp.0-2, (trad. it. cit. da George P. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville, 1993, p.5-6).

(38) Cfr. Alcuni pittori con cui ho lavorato... (1981), trad. it. di Andrea Borsari, «Riga», n° 4, pp. 56-61.

(39) I. Calvino, Perec, La vita istruzioni per l'uso, op. cit., S 1397. Notiamo en passant che anche la scena finale di Citizen Kane (Quarto potere) di Orson Welles, citato da Perec nel libro, potrebbe aver contribuito alla nascita di Bartlebooth: vi si trova un'associazione tra il puzzle ed il motivo dell'uomo che costruisce instancabilmente solo per distruggere ciò che ha prodotto.

(40) La vita istruzioni per l'uso, op. cit., p. 128. Ma, anche qui, Perec sviluppa magistralmente un disegno già presente in Calvino, che fin dal 1960 evidenziava «quello che è sempre stato e resta il mio vero tema narrativo: una persona si pone volontariamente una difficile regola e la segue fino alle ultime conseguenze, perché senza di questa non sarebbe se stesso né per sé né per gli altri» (Nota 1960 a I nostri antenati, Milano, Mondadori, 1991, p. 417). Ma se per Perec la restrizione si sostituisce all'identità, per Calvino essa è condizione necessaria proprio all'autocostruzione, al reperimento di «un codice personale di regole interne e di rinunce attive» (ibid.).

(41) La vita istruzioni per l'uso, op. cit., p. 129.

 

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