Parte prima: Combinatoria e dintorni

2. Microcombinatoria

4. Poesis artificiosa

La bibliografia critica sulle millenarie deviazioni letterarie interpretabili in senso combinatorio è sterminata, al pari dei procedimenti usati: le pratiche che Pascasio di S. Giovanni Evangelista unifica sotto il titolo di poesis artificiosa (1), o Stefano Lepsenyi di poesis ludens (2), od ancora tutti i jeux de mots e l'enigmistica letteraria (3). Spesso si trovano corredati tentativi classificatori più o meno velleitari, discendenti dagli esempi già corposi di epoca barocca, come la Metametrica del Caramuel (4). Di questo immenso corpus di pratiche non presenteremo alcun progetto classificatorio o tipologico, la cui misura è esponenzialmente spropositata al nostro intento: attenuare la mobilità dei confini della combinatoria negli spazi dell'artificio letterario, laddove questi sembrano invece sfumare attraverso infiniti gradi dalla combinatoria ristretta alla più libera espressione linguistica o letteraria (anche la "scrittura automatica" surrealista utilizza le leggi combinatorie sintattiche e lessicali) (5).

Tuttavia è necessario riportare degli esempi, che preleveremo da una delle fonti più recenti, il «prontuario di figure artificiose» compilato da Giovanni Pozzi, che ha il merito di fornire una tipologizzazione, pur inevitabilmente approssimativa in certi casi, improntata a fattori che esplicitano il carattere combinatorio dei procedimenti.

L'utile e sintetica "teoria e storia" di ciascun procedimento, che segue le mappe classificatorie, copre quasi esclusivamente un intervallo storico pre-contemporaneo, con ristretti riferimenti alle riprese neoavanguardistiche; a proposito della «attuale, vigorosa pratica dell'artificio poetico», Pozzi tende a precisare che «le figure qui elencate si riferiscono tutte, in quanto tali, a un passato talora remoto, a vicende definitivamente chiuse» (6); la carica innovativa generalmente attribuita alle odierne acrobazie formali risulta quindi ridimensionata, e possibile solo in effetto di una rimozione del lungo itinerario storico a cui esse si riallacciano, sistematicamente cancellato dalle mappe culturali di tutte le epoche, emarginato nelle discariche del "bizzarro":

L'area in cui questi esperimenti sono possibili è ristretta, l'impulso ad agire in quella direzione abnorme ha ovunque e sempre la stessa origine, individuale e collettiva [...]. Se ritroviamo l'orchestra dell'avanguardia sulle pendici del vecchio Parnaso a tirar l'archetto nel concerto delle vecchie Muse è perché, fra quelle vecchie Muse, ce n'era una dedita al gioco, respinta dal numero ufficiale e per questo rimasta anonima, ma non per questo meno canora. (7)

Tralasciando le questioni sul senso di queste pratiche, liquidate con accenni, Pozzi ne tenta una classificazione che riecheggia i termini incontrati già nel quadro delle metabole del Gruppo m (e del resto variamente impiegati in molte classificazioni analoghe), definendo così i seguenti gruppi di operazioni, caratterizzati tutti dal principio della regolamentazione eccessiva, ed ognuno da una differente natura della regola:

a) la ripetizione di elementi uguali o diversi (regola secondo il principio del numero);

b) la distribuzione di elementi pure uguali o diversi (secondo il principio della collocazione, simmetrica o asimmetrica, delle unità entro le misure dell'enunciato);

c) la permutazione di certe unità entro gli insiemi costituiti;

d) la sostituzione di unità entro i moduli collaudati;

e) il percorrimento delle unità portatrici di senso in direzione diversa dalla normale.

Le ultime tre si riferiscono a una misura e a un modulo preesistente, ovvero alla struttura nota di cui abbiamo già parlato.

La regolamentazione eccessiva si attua nella maggioranza dei procedimenti come applicazione totalizzante d'una figura retorica. Se la tmesi è il "taglio" di una parola con l'interposizione di un'altra, accade ad esempio di trovare il seguente sonetto autoelocutorio di Eugenio di Toledo:

O IO - versiculos nexos quia despicis - HANNES,

excipe DI - sollers si nosti iungere - VISOS.

cerne CA - pascentes dumoso in litore - MELOS,

et POR - triticea verrentes germina - CELLOS...(8)

Esso viene inserito da Pozzi nei procedimenti di «strumentazione del suono», caratterizzati da una «eccedenza di fonicità per rispetto alle formazioni linguistiche normali» (9), nozione dalla portata incerta. Più sicura è l'analisi entro l'ambito della «progettazione del segno grafico», che Pozzi percorre da specialista (10). In questa categoria rientrano i procedimenti che utilizzano il contenuto "ottico" dei grafemi per produrre un effetto di transcodificazione del senso dal piano linguistico a quello figurale, ovviamente pertinentizzando un piano bidimensionale della costruzione poetica. Qui le restrizioni operano non più sul piano linguistico, ma sulle convenzioni grafematiche che prescrivono la spaziatura tra i vocaboli, i segni d'interpunzione, la linearità geometrica della successione dei segni linguistici, il verso del percorrimento di questa linearità, la soprasegmentazione delle unità linguistiche, l'effetto di figura-sfondo presupposto dalla scrittura.

La poesia iconica si caratterizza per lo sfruttamento delle possibilità della scrittura non utilizzate dalla lingua, che danno luogo a procedimenti in cui la restrizione si attua su specifici elementi "visivi" e non linguistici (technopaegnion, calligramma) (11). Talvolta però questa ipericonicità della composizione poetica viene reinserita come restrizione supplementare del piano linguistico: è il caso dei procedimenti derivati dall'acrostico, in cui un senso secondo percorre una superficie scritta, seguendo linee figurative (versus intexti), o addirittura una parte della composizione segnata da una sagoma figurativa costituisce una composizione seconda, come nei ventotto carmi figurati di Rabano Mauro in lode della croce: entrambi i procedimenti sono descrivibili in termini di combinatoria bidimensionale, dove una restrizione si muove su uno spazio non linguistico, ma comunque scritturale (gli elementi puramente figurativi della scrittura) (12).

Nei casi di «ipercodifiche dell'alfabeto» alle lettere viene assegnata una doppia funzione, quella normale di rappresentare la lingua, e quella secondaria di rappresentare i numeri. Già nella qabbalah teosofica la gematrya si avvale della caratteristica dell'ebraico di rappresentare i numeri con lettere (come nel greco, e solo parzialmente nel latino) per ricercare parole dal senso diverso con uguale valore numerico (risultante dalla somma delle sue lettere), allo scopo di rinvenire le analogie che intercorrono fra le cose. Un valore più laico acquistano i carmi gematrici, composti da parole la cui somma gematrica è dotata di un preciso senso simbolico (ad esempio una data), oppure il doppio impiego stabilisce l'equivalenza (isopsefia) di due testi (13). Nei cronogrammi invece il valore numerico emerge dalla selezione di alcune lettere evidenziate, spesso con riferimento alla data di composizione: «De sVperIorUM LICentIa» = 1663 (14).

Iperfonicità, ipericonicità e ipercodifica dell'alfabeto sono unite dall'eccedenza nell'azione di un piano della scrittura, forza che negli esempi citati presiede immancabilmente ad un fine: combinare due differenti discorsi nella stessa composizione, secondo modi non casuali ma formalmente definiti sulla base della manipolazione delle unità costitutive del linguaggio (o della scrittura). La ricerca di una stretta determinazione tecnica delle basi combinatorie di queste procedure può venire così tranquillamente sorvolata da queste considerazioni più generali che già spiegano a sufficienza il nostro interesse per la popolazione letteraria della poesis artificiosa: da questo momento il nostro uso del termine combinatoria si avvarrà anche di questo senso più generale, parallelo all'uso rigorosamente tecnico finora privilegiato.

Nelle categorie più tecnicamente segnate dalle manipolazioni combinatorie retoriche si segnalano tra gli schemi iterativi i tautogrammi, che estremizzano l'allitterazione («Donna da Dio discesa, don divino, \ Deidamia, donde duol dolce deriva, \ Debboti donna dir, debbo dir diva, \ Dotta, discreta, degna di domino? ...» (15)) e i versi ribattuti, intensificazione di una sorta di paronomasia per soppressione («Sordibus immundos mundos fac esse regentes \ Gentes, o Domina, mina; prece da benedicta \Dicta, remordentes dentes vitare rebellis \ Bellis ...»(16)). Anche la figura della rima interna può essere resa eccessivamente come procedimento informale, come lo stakanovista dell'artificio Ludovico Leporeo mostra:

Cupido infido io grido e strido avante

Beltà che ha crudeltà pietà non sente

Di chi servì, svenì, seguì fuggente

Rea Medea che parea l'Idea fuggente. (17)

Sul fronte degli schemi distributivi dei fonemi spicca per virtù combinatoria il pantogramma (o pangramma), verso o componimento che contiene tutte le lettere dell'alfabeto: «Vix Phlegeton Zephiri quaeres modo flabra Mycillo» (18). Ma è acqua al confronto dell'ubriacatura combinatoria imposta dai versi reticolati, qui esemplificati da Eberardo Alemanno (19):

Lumen sanctorum, spes mitis, regia mater,
Sanctorum requies, trepidi dux, vitis honorum.
Spes trepidi, miseri reparatrix, semita pacis,
Mitis dux, reparatrix mundi, iuris origo,
Regia vitis, semita iuris, gloria dulcis,
Mater honorum, pacis origo dulcis, aveto.

Si scrive la prima riga, riportandola identica anche nella prima colonna; poi si continua la seconda riga, e così via, sempre mantenendo le identità riga-colonna, fino ad esaurimento. E' un artificio che sopravvive nella poesia neolatina fino al Seicento inoltrato, ampiamente esemplificato nella Metametrica del Caramuel come Apollo quadrangularis.

Tutte le parole sono ripetute eccetto quelle che vengono a trovarsi sulla linea della diagonale: queste però si uniscono a loro volta a formare un verso che si legge per traverso. E' una figura che comporta, oltre l'artificiosa disposizione dei vocaboli ad incastro, la possibilità di percorsi diversi di lettura. (20)

La graduale riduzione della libertà compositiva risulta dalla progressiva sostituzione delle restrizioni combinatorie linguistiche con le restrizioni arbitrarie della regola. Ma la fondamentale nozione che qui si aggiunge riguarda la possibilità della combinatoria di generare percorsi diversi di lettura in uno schema reticolare che gestisce la compresenza di discorsi differenti: proprietà che qui troviamo in nuce, visto che che il discorso è uno e reiterato, compreso quello che troviamo nella diagonale dello schema.

I procedimenti di percorrimento consentono di combinare due diversi discorsi agendo sul verso della successione lineare dei seguenti elementi linguistici:

1) Le lettere: si ha la nota figura del palindromo, sia sul lato più comune dell'autoriproduzione del discorso nei due versi di lettura («Oro te ramus aram ara sumar et oro»), sia su quello più raro dell'inserimento di un discorso secondo («Si dote tibi metra sono his te Jesus inodis» = «Si do nisus ei et si honos artem ibit et odis» (21)).

2) Le parole: i versi cancrini sono leggibili all'indietro vocabolo per vocabolo («Praecipiti modo quod decurrit tramite flumen \ Tempore consuptum iam cito deficiet» = «Deficiet cito iam consuptum tempore flumen \ Tramite decurrit quod modo praecipiti» (22)).

3) I versi: abbiamo la retrogradazione delle strofe, che consente una lettura seconda dall'ultimo verso al primo.

Veniamo, infine, alla categoria che crea meno problemi di identificazione combinatoria: quella degli schemi di permutazione. Se a livello delle lettere l'anagramma è artificio senza più segreti, i livelli superiori propongono schemi più interessanti: il nome generico di proteo copre tutte le formazioni in cui una determinata stringa poetica si propone come modello in grado di generare una moltitudine di componimenti validi dalla permutazione delle singole parole. Nel caso ristretto in cui le permutazioni riguardino semplicemente la posizione delle parole di un verso senza alcun mutamento di funzione sintattica e di misura metrica abbiamo l'anarema, in cui può essere incasellato il già citato distico di Harsdörffer. Il Caramuel fornisce una vasta esemplificazione del proteo, compresa una forma che definisce carme circolare, che in realtà congiunge carme figurato, retrogradazione e proteo, come nel seguente esempio di Niccolò Barsotti (23):

 

 

 

 

 

 

Ogni linea dà un distico retrogrado e anaciclo; per esempio, la doppia lettura della serie superiore ci dà:

Christus Iesus adest \ sol lucens \ laudat \ et affert \ Carmine \ maternum \ nomen honorat amans.

Nomem honorat amans \ maternum \ carmine \ et affert \ Laudat sol lucens \ Christus Iesus adest.

La peculiarità di queste forme è la loro potenzialità, la loro struttura "virtuale" che autorizza con un minimo di elementi un numero vertiginoso di composizioni derivate; ed è qui che si fondono le due accezioni di combinatorietà che stiamo applicando sull'insieme degli esercizi di poesis artificiosa: quella di derivazione matematica dell'utilizzo di procedure di natura combinatoria, e quella più generale relativa alla capacità di questi esercizi formali di organizzare la compresenza di più discorsi. Il proteo, alla cui forma va riportato secondo Pozzi anche la sperimentazione queneauiana dei Cent mille milliards de poèmes, comprime nel minimo spazio il massimo di possibili soluzioni poetiche o narrative consentite dagli elementi di partenza e dalle regole fornite. E' a questo carattere proteiforme di determinate strutture narrative che si riferisce la ripresa sistematizzante di questo arcipelago di pratiche nella sperimentazione oulipiana.

 

5. Letteratura potenziale

La nascita dell'Ou.Li.Po, emanazione del Collegio di 'Patafisica di Jarry, avviene nel 1960 sotto la spinta d'aggregazione del puro divertimento, che accomunava i soci fondatori: di qui il carattere balbettante delle loro iniziali manipolazioni teoriche, che usufruivano di apporti ed intenzioni eterogenee (24). Venne quindi delimitato il campo della ricerca di nuove strutture letterarie, con l'intento di fornire un intero arsenale di possibilità che sottraessero lo scrittore al dominio dell'affettività nell'ispirazione letteraria, in attuazione del dettato di Queneau: «Il vero ispirato non è mai ispirato, lo è sempre» (25). Le fondamenta poetiche di questo programma consistevano ovviamente nella convinzione dell'oggettualità del linguaggio e quindi della letteratura, i cui prodotti si situano in un concreto di altro tipo da quello fisico, su cui è possibile operare scientificamente; l'oggetto verbale è posto alla stregua dell'oggetto fisico, solo su un piano di astrazione più esterno:

Il ricorso all'astratto in Queneau significa soltanto la scelta di un sistema di concretezza insieme antichissimo e nuovo: la letteratura stessa. (26)

All'oggettualità desacralizzata della letteratura si riferisce il termine ouvroir, i cui caratteristici connotati di operosità artigianale hanno trovato un corrispettivo in italiano nella traduzione «comunicativa» (27) operata da Campagnoli con opificio (Op.Le.Po.) (28). I prodotti di questa fucina recano tutti il sigillo di qualità d'una virtualità potenziale, rovesciando la nozione che considera un manufatto artigianale come pezzo unico: l'uno di questi prodotti racchiude in sé una molteplicità costitutiva di possibilità, poiché non risulta iscritto all'anagrafe letteraria come opera, ma come regola di produzione di opere. Ovviamente vengono forniti esempi di applicazione d'ogni procedimento creato in vitro, ma l'interesse non cade mai sull'effettiva vitalità che le neonate strutture potranno manifestare in futuro, ma sul processo di smontaggio e rimontaggio dei rapporti fra costrizione e libertà le cui dinamiche fanno secondo gli oulipiani tutt'uno con la letteratura. L'influenza del laboratorio oulipiano sulle opere letterarie più impegnative dei suoi migliori adepti (dal co-fondatore Queneau a Perec a Calvino) si attua su binari esterni all'organismo, non ne costituisce minimamente un fine ricercato, ma al massimo uno sprone narcisistico che retroagisce sull'entusiasmo di questi manovali letterari. Da questo punto di vista, l'OuLiPo è funzione autosufficiente dalla letteratura, poiché qualsiasi opera che usufruisce delle sue pratiche non ne convalida le opzioni teoriche, che rimangono antecedenti ad essa.

Fin dall'inizio si è scelto il doppio versante temporale della ricerca e classificazione di esempi oulipiani ante litteram («plagi per anticipazione» secondo la Lepo analitica) e nella proposta ex novo di procedimenti (Lepo sintetica), in cui si concentra lo sforzo più assiduo, che dall'iniziale natura prevalentemente sintattica si muoverà progressivamente verso orizzonti semantici.

Il mirino oulipiano si appunta sul concetto di potenziale letterario senza un'iniziale messa a fuoco dell'oggetto (29), che si precisa successivamente attraverso una regolazione "trifocale" del concetto:

1) La visione "standard" riguarda la produzione di nuove e sensazionali regole compositive che si pongano in competizione con le tradizionali forme letterarie: la forma-sonetto (termine di confronto per eccellenza, amorevolmente coccolato e rielaborato dagli oulipiani) fu già alla sua nascita prodotto "potenziale", in quanto sistema di regole "vuoto" da riempire con infinite occorrenze. Questo elementare potenziale delle strutture letterarie si carica nel lavoro oulipiano di maggiore complessità per l'intrusione sistematica in questo campo delle formalizzazioni matematiche, che estremizzano il rigore delle restrizioni fino a identificare talvolta il lavoro poetico in uno sforzo "agonistico" nella risoluzione dei problemi compositivi autoimpostisi: non a caso gli oulipiani parlano di se stessi come «topi che vorrebbero uscire dal labirinto che si sono costruiti» (30).

2) Ma l'eccessività delle restrizioni non è carattere costante della produzione oulipiana: il già citato, archetipico metodo S + 7 produce composizioni in modo assolutamente automatico, senza alcuna opposizione al loro conseguimento. Ricordiamo che Berge riconosce in questa «ricerca di metodi di trasformazione automatica di testi» una «seconda vocazione oplepiana, che apparentemente non ha alcun rapporto con la prima». Un rapporto potrebbe forse essere ipotizzato qualora si speculi adeguatamente sul carattere strumentale che la letteratura assume nelle griglie concettuali dell'OuLiPo: gli oggetti verbali di cui la letteratura ha disseminato i secoli sono combinazioni di segni infinitamente riproducibili, costanti al variare delle convenzioni grafematiche e dei codici in cui possono essere comunicati; ciò che l'OuLiPo farebbe sarebbe semplicemente saltare il fossato semiotico che considera questi oggetti nella loro unicità di messaggio, e considerarli alla stregua di regole di autoriproduzione: scritta una volta una poesia, per riprodurla bisogna rispettare le restrizioni fissate dalla successione dei suoi elementi; un'opera sarebbe quindi solamente un caso particolare d'una struttura letteraria, o meglio il caso estremo in cui la molteplicità di possibilità di riempimento d'una struttura è vincolata dalla riproduzione d'una sola combinazione valida.

I metodi di trasformazione di testi non sono esenti da restrizioni, ma introducono gli stessi prodotti letterari come vincoli restrittivi. Alle restrizioni arbitrarie, a quelle del codice linguistico e dei sottocodici retorici e poetici bisogna aggiungere questo nuovo, fondamentale ordine restrittivo. Il secondo potenziale indagato dagli oulipiani ha come oggetto l'opera letteraria stessa, potenziale che coincide con la trasformabilità infinita dei testi, consentita proprio dalla loro oggettualità, dall'essere costituiti di particelle minimali, atomi linguistici infinitamente manipolabili. A far esplodere il potenziale metamorfico dei testi letterari interviene un sistema di regole che non è struttura letteraria, ma medium formalizzato che vincola l'infinita trasformabilità alla produzione di un solo risultato per volta. Il braccio armato di questa tendenza è l'Istituto di Protesi Letteraria, fondazione oulipiana tra le più ludicamente vivaci:

Chi non ha avvertito leggendo un testo (qualunque ne sia la qualità) l'interesse che ci sarebbe a migliorarlo con qualche ritocco pertinente? Nessuna opera si sottrae a questa necessità. Tutta la letteratura mondiale dovrebbe essere oggetto di protesi numerose e giudiziosamente concepite. (31)

3) Il terzo potenziale è relativo alla produzione di opere che, come negli esempi di proteo citati più sopra, racchiudano in una forma unica una molteplicità di composizioni risultante da determinate regole di permutazione o combinazione degli elementi di partenza. Esso risulta ad un'attenta analisi come combinazione degli altri due: il secondo potenziale (trasformativo) vi appare in quanto viene fornita una composizione di partenza, quindi un testo letterario ben determinato; il primo potenziale (strutturale) interviene tramite la fornitura di una sistema di regole che gestisca la produzione di tutte le altre composizioni. Il risultato è un oggetto letterario che congiunge le proprietà del testo e quelle della struttura, definendo un potenziale interno della propria forma molteplice.

Così ai tempi delle creazioni create, che furono quelli delle opere letterarie che conosciamo, dovrebbe seguire l'era delle creazioni creanti, suscettibili di svilupparsi a partire da se stesse e al di là di se stesse, in modo nel contempo prevedibile ed infinitamente imprevisto. (32)

Il potenziale interno realizza sul piano della forma «ciò che i capolavori hanno prodotto in modo secondario o come in sovrappiù» (33) su quello del contenuto, ovvero l'apertura delle interpretazioni, che è potenzialità infinita ma non totale, se ci è concesso esprimerci mediando la nozione di teoria degli insiemi che mira a discernere le gerarchie tra i vari infiniti. Se «dire che un testo è potenzialmente senza fine non significa che ogni atto di interpretazione possa avere un lieto fine» (34), il potenziale del testo letterario mima sul piano formale questa condizione del contenuto, ma amplificando la facoltà demiurgica dell'autore, in modo che la pluralità costitutiva dell'intentio operis sia in ogni momento riconducibile all'originario progetto dell'intentio auctoris: ciò si realizza provvedendo un insieme di regole che gestiscono la molteplicità del testo secondo binari già previsti nel piano di composizione. Questo carattere di organizzazione interna d'una pluralità costituisce il nodo forse più interessante della nozione di potenziale letterario, estrapolabile dall'attività oulipiana che invece si muove sui terreni accidentati più eterogenei in funzione della loro potenzialità ludica, che in definitiva è l'unico vero fattore in grado di unificare l'attività dell'OuLiPo.

Non ci soffermeremo sull'esemplificazione dei procedimenti poiché molti sono già stati trattati nei paragrafi precedenti, ed altri ne troveremo lungo l'itinerario che da Queneau e Perec porterà alle proposte più tecnicamente oulipiane e combinatorie di Calvino. Le valenze combinatorie già presenti nella poesis artificiosa dei secoli passati sotto le spoglie della regolamentazione eccessiva delle restrizioni linguistiche, qui germinano dovunque grazie all'utilizzo preponderante di formalizzazioni d'origine matematica. Il potenziale letterario costituisce la possibilità stessa d'una struttura formale di accogliere e combinare una molteplicità di discorsi diversi in una particolare modalità di presenza-assenza, in cui tutte le possibili combinazioni consentite dalla rigidità delle restrizioni sono già implicite in un nucleo originario di elementi. Sfruttare il potenziale vuol dire dilatare i confini d'un singolo corpo testuale verso possibilità latenti nella sua stessa costituzione linguistica.

 

6. L'ecosistema letteratura

Considerando l'insieme delle pratiche letterarie fin qui esaminate alla luce del concetto mobile di combinatoria, ci si può interrogare sul senso possibile di questo microscopico brulicare linguistico che avviluppa il continente "nobile" della letteratura. Nella maggior parte dei casi ciò significa interrogarsi sul senso della privazione del senso che questi procedimenti perpetrano con la regolamentazione ossessiva del piano formale; ma seguendo questa direzione d'indagine essi si costituirebbero inevitabilmente come sfondo d'ogni figura praticabile del linguaggio sensato, luogo delle definizioni negative del senso, di cui in definitiva riaffermerebbero l'ineludibilità.

Non è quindi sotto il discrimine del senso linguistico che si rivelerà la loro identità profonda, bensì nel loro carattere di testimonianza dell'infinita manipolabilità degli elementi costitutivi del linguaggio: è un senso di totale costruttività degli oggetti della letteratura che essi tentano costantemente di comunicare, con una inesausta azione corrosiva delle monumentali concezioni romantiche e decadenti dei superiori piani letterari. Il potenziale letterario manifesta il senso d'una corruttibilità del corpo letterario che gli oulipiani si compiacciono di accelerare: è ad una letteratura-ecosistema che essi dichiarano la loro appartenenza, una letteratura che non rispetta i suoi prodotti, accomunati tutti dall'identico destino d'una più o meno rapida decomposizione in elementi primi. Discutere sull'effettivo valore "artistico" dei giochi microcombinatori non ha più senso nello spazio letterario che essi disegnano: ciò che conta è la loro attualità, nel duplice senso dell'essere in atto (espressione del farsi continuo della letteratura), e dell'essere odierni (poter disporre hic et nunc del materiale fin qui accumulato dalla letteratura). In qualche modo l'attualità dell'operazione microcombinatoria riscatta lo squilibrio di senso riscontrabile tra i suoi singoli prodotti e le opere letterarie "normali", deponendo un surplus di senso, un'indelebile impronta teorica negli strati profondi delle proprie meccaniche compositive.

Non è però corretto affermare che essa misconosca ogni indice di valore letterario: quando essa manipola di preferenza corpi testuali di letteratura "alta" non lo fa solo perché il potenziale metamorfico dei testi risulta più evidente scoprendolo in opere universalmente note ed apprezzate; è perché nella sua concezione esclusivamente produttiva la microcombinatoria non ha la possibilità di esprimere giudizi di valore letterario, se non nei criteri di scelta dei testi che utilizza per il suo "scempio" decostruttivo: l'opera d'arte va così celebrata con l'onore della disgregazione. La suggestione di questo postulato oulipiano appare così forte da riuscire a distrarre persino Calvino dal suo usuale arsenale immaginativo: se ne può leggere agevolmente l'impronta in un suo lavoro insolitamente truculento, La decapitazione dei capi, che svolge in quattro sezioni diseguali il pathos narrativo dello smembramento onorifico, in parte derivato anche dallo sviluppo della tematica prediletta del dimidiamento (35).

La decostruibilità della letteratura-ecosistema non deve essere però confusa con le pratiche decostruttive inerenti ad un'apertura illimitata delle possibilità interpretative: la microcombinatoria non ha nessuna valenza ermeneutica, non ha a che fare con alcun valore aggiunto dei testi, ciò che decostruisce è la sostanza stessa della letteratura, ovvero quell'universo quasi fisico degli oggetti di linguaggio, un cosmo di secondo grado dove linguaggio e letteratura risultano in definitiva sinonimi. La letteratura microcombinatoria si astiene dall'indicare le coordinate spaziali di questa ontologia parallela, perché semplicemente nasce e si muove all'interno di essa, e ivi lavora con tutto ciò che le viene messo a disposizione. Del resto la ricerca di natura teorica sull'oggettività della letteratura è luogo tra i più frequentati della cultura del novecento; ad esempio, è proprio la restituzione di tale carattere oggettuale che per Michel Foucault costituisce il fondamento insieme della concezione del linguaggio e della letteratura contemporanea:

Lungo l'intero arco del secolo XIX e fino a noi ancora - da Hölderlin a Mallarmé a Antonin Artaud -, la letteratura è esistita nella sua autonomia, si è staccata da ogni altro linguaggio attraverso un taglio profondo soltanto costituendo una specie di "controdiscorso", e risalendo in tal guisa dalla funzione rappresentativa o significante del linguaggio a quel suo esistere grezzo, obliato a partire dal XVI secolo [...]. Nell'età moderna la letteratura è ciò che compensa (non ciò che conferma) il funzionamento significativo del linguaggio. (36)

Il linguaggio taglia i ponti con la referenza e ridiviene oggetto, ma non più su un piano di correaltà con gli oggetti del mondo fisico, come già avveniva prima della secentesca indagine sui meccanismi della significatività: viene dislocato su un piano alternativo di realtà, «il linguaggio si ripiega su di sé, acquista uno spessore che è suo, sviluppa una storia, determinate leggi e un'obbiettività che appartengono solo ad esso» (37).

Sul coté produttivo non mancano certo le officine che recepiscono questo carattere della letteratura, irraggiandolo nelle sperimentazioni formali più disparate; ciò che rende peculiare la direzione combinatoria in questo ambito è che l'apparente eccesso di artificiosità dei suoi prodotti (nei confronti sia della letteratura non sperimentale che di altre ricerche formali) è leggibile all'opposto come estrema naturalità di movimento all'interno dell'universo altro del linguaggio, senza alcuna ricerca di mediazione con le leggi fisiche del reale e della sua rappresentazione; l'uso della combinatoria presuppone l'assoluta preminenza delle leggi "a statuto speciale" che governano le possibilità combinatorie del materiale manipolato.

D'altra parte la metafora ecologica che proponiamo ha il merito aggiuntivo di restituire un'identità biologica alla letteratura, salvaguardandone il carattere vitale proprio a fronte di operazioni iperformalistiche che sembrerebbero negarlo. C'è nel progetto oulipiano (l'unica forma microcombinatoria che si presenta appunto come progetto) una componente fondamentale che conduce ad un'etica del riciclaggio dei materiali letterari, che tende ad identificare la vita letteraria di un'opera nella restituzione di una funzionalità diversa ai suoi materiali d'origine; ma ad essa va integrata una seconda componente "biologizzante": il fine dichiarato della ricerca di nuove strutture letterarie agisce come pulsione al concepimento, caricando ogni nuova produzione di un valore epifanico che si compiace del ripopolamento d'una fauna strutturale ormai agonizzante.

Non manca in questo quadro neanche il riconoscimento di una legge di selezione naturale, una sommatoria di criteri che indichi su una determinata scala temporale la possibile vitalità delle strutture letterarie che gli oulipiani producono in quantità; la loro condotta a questo proposito è a prima vista sconcertante, laddove non si ritenga sufficiente il puro valore ludico delle operazioni: ben coscienti dell'improbabilità delle strutture che propongono, essi intraprendono comunque una rincorsa all'artificiosità eccessiva, alla regolamentazione asfittica, al procedimento acrobatico il cui solo riempimento lo svuota di ogni funzionalità successiva. Se il fine dichiarato è quello di riempire la faretra dello scrittore duro d'ispirazione, perché l'attenzione si appunta immancabilmente su strutture "usa e getta" inutilizzabili, se non dal loro primo fattore a mo' di dimostrazione della loro praticabilità? A questo problema si può indicare una soluzione rimandando indietro alle fondamenta teoriche dell'OuLiPo, importate dalla 'Patafisica di Jarry, la «scienza delle soluzioni immaginarie» il cui oggetto d'indagine sono i fenomeni che non si producono che un'unica volta. Queneau riversa questo intento all'ordine del giorno della ricerca oulipiana, non prima di aver progettato in gioventù una Enciclopedia delle scienze inesatte che raccogliesse «i "fous littéraires", gli autori "eterocliti", considerati matti dalla cultura ufficiale: creatori di sistemi filosofici al di fuori d'ogni scuola, di modelli cosmologici fuori da ogni logica e di universi poetici fuori da ogni classificazione stilistica» (38).

Si capisce così come lo sforzo oulipiano si coaguli intorno ad un interesse quasi "etologico" per quelle forme che non hanno diritto di cittadinanza né possibilità di sopravvivenza, e che rimarrebbero neglette nel limbo della letteratura se qualcuno non le ponesse in atto. La pulsione al concepimento si applica così ad un'estetica dello scarto, che si fa etica della sopravvivenza dell'improbabilità in un mondo irresistibilmente orientato nella direzione opposta dalla freccia inesorabile dell'entropia.


Note

(1) Pascasio di S. Giovanni Evangelista, Poesis artificiosa, Innsbruck, 1674.

(2) Stefano Lepsenyi, Poesis ludens..., Budapest, Biblioteca nazionale d'Ungheria Széchényi (ms. Quart. Hung. 1551), 1700.

(3) Cfr. solo come prima introduzione le discrete bibliografie in Brunella Eruli, a cura di, Attenzione al potenziale, op. cit.; e Giovanni Pozzi, Poesia per gioco, op. cit.

(4) G. Caramuel de Lobkowitz, Primus calamus ob oculos ponens metametricam..., Roma, 1663.

(5) E' probabilmente questa intrusione inflattiva delle virtù combinatorie linguistiche tout court a dissuadere anche un matematico come Berge dal definire esattamente i confini del concetto.

(6) Giovanni Pozzi, op. cit., p. 17.

(7) ibid.

(8) Ad Iohannem, in Eugenio di Toledo, Carmine et epistulae, a cura di F. Vollmer («Minumenta Germaniae Historica, Auct. Antiquiss.», 14), a.a. XIV 262.

(9) Giovanni Pozzi, op. cit., p. 25.

(10) Cfr. dello stesso autore La parola dipinta, Milano, Adelphi, 1996.

(11) Max Bense sottolinea il passaggio imposto da questi "testi visivi" da una logica testuale ad una percettiva: «Solo la percezione, cioè la percezione sensoriale pura, è in grado di sostituire la linea testuale con una superficie testuale, essa sola può considerare il testo come un insieme bidimensionale costituito di righe e di colonne [...]. In questo modo nasce ciò che E. Walther in derivazione da alcuni testi visivi di Ponge chiama con il termine riassuntivo di testi visivi. Sono testi [...] il cui flusso segnico e informativo va considerato come un evento della superficie e non della linea, e che per poter essere appercepito e compreso deve assolutamente essere stato visto e percepito [...]. Il formarsi di una superficie testuale codifica il testo nella sua totalità, e cioè la nascita della superficie testuale si basa sulla trasformazione del testo in supersegno, in supertesto» (Max Bense, Estetica (1965), Milano, Bompiani, 1974, pp. 424-26).

(12) Data una composizione sviluppata bidimensionalmente, i suoi elementi minimali (lettere) possono comporsi in altri enunciati linguistici: la restrizione produttiva prescrive che il senso secondo sia evidenziabile, cioè si costruisca per contiguità spaziale della successione delle sue lettere nello schema-base (seppure tale contiguità è differente dalla linearità delle frasi normali). La restrizione formante "sceglie" come contiguità autorizzata quella che riproduce una figura data, ponendosi come vincolo della prima restrizione, quindi di secondo grado.

(13) Esempi eclatanti di isopsefia minimale (non letterari) sono il Martin Lauter = 666, ovvero il numero con cui nell'Apocalisse di Giovanni è designato l'anticristo (cit. da Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, 466, Torino, 1654); e in ebraico «la parola tseruf (combinazione) e la parola lashon (lingua) hanno lo stesso valore numerico (386): conoscere le leggi della combinatoria significa conoscere la chiave di formazione di ciascun linguaggio» (Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Bari, Laterza, 1996, p. 39).

(14) Elementare esempio in testa all'edizione di I. Marracci, Trutina mariana, Wien, 1663.

(15) Da un sonetto di Luigi Groto, Rime, 67, Venezia, 1605.

(16) Eberardo Alemanno, Laborintus (vv. 806-9), cit. da Giovanni Pozzi, op. cit., p. 102.

(17) Ludovico Leporeo, Leporeambi nominali alle dame ed accademie italiane, 34, Bracciano, 1641.

(18) Pascasio di S. Giovanni Evangelista, op. cit., 91.

(19) Eberardo Alemanno, op. cit., vv. 811-14.

(20) Giovanni Pozzi, op. cit., p. 131 (mio il corsivo).

(21) Entrambi gli esempi provengono da Rabano Mauro rispettivamente nell'ultimo e nel 27° componimento del De laudibus s. crucis («Patres Latini», 107).

(22) Sidonio Apollinare (l. IX ep. 14 § 8).

(23) Niccolò Barsotti, Cynosura sive Mariana stella polaris..., Wien, 1657.

(24) Vedi Jean Lescure, Piccola storia dell'OpLePo, in Ruggero Campagnoli - Yves Hersant, a cura di, op. cit., pp. 28-41.

(25) Raymond Queneau, Odile (Paris, Gallimard, 1937), trad. it. di Grazia Cherchi, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 113.

(26) Jean Lescure, op. cit., p. 35.

(27) Peter Newmark distingue la traduzione semantica, che cerca di riprodurre «l'esatto significato contestuale dell'autore», dalla traduzione comunicativa, che cerca di riprodurre «l'effetto» che l'originale crea nel lettore della lingua di partenza (Cfr. Peter Newmark, La traduzione: problemi e metodi, Milano, Garzanti, 1988, p. 51). L'arditezza linguistica dei giochi oulipiani presuppone sempre una traduzione comunicativa, come rileva Umberto Eco a proposito di Queneau: la fedeltà nel tradurre «un libro del genere [...] non voleva dire essere letterali [...]. Fedeltà significava capire le regole del gioco, rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse» (Umberto Eco, Introduzione alla traduzione di Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, 1983, p. XVII).

(28) Nel 1990 nasce l'equivalente italiano dell'OuLiPo, l'Opificio di Letteratura Potenziale, fondato da Ruggero Campagnoli, Domenico D'Oria e Lello Aragona. Sulle esperienze letterarie che contribuiscono a questa epifania, legate all'attività de «Il Caffè», cfr. Paolo Albani, Accademici informi, patafisici e oulipisti italiani, in Brunella Eruli, a cura di, op.cit., pp. 125-44. Sulle linee teoriche dell'OpLePo cfr. invece Ruggero Campagnoli, Dall'OuLiPo all'OpLePo: teoria e pratica, id., pp. 159-163.

(29) «Potentielle: la parola va intesa in diverse accezioni...» (Raymond Queneau, L'opificio di letteratura potenziale, op. cit., p. 56)

(30) Cit. da Brunella Eruli, Introduzione ad Attenzione al potenziale!, op. cit., p. 5.

(31) François Le Lionnais, Il secondo manifesto, op. cit., p. 25.

(32) Il collegio di 'Patafisica e l'OpLePo, in Ruggero Campagnoli - Yves Hersant, a cura di, op. cit., p. 43.

(33) ibid.

(34) Umberto Eco, I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 14.

(35) Cfr. La decapitazione dei capi (1969), RR III 242-56.

(36) Michel Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1996, p. 58.

(37) id. , p. 320.

(38) Italo Calvino, La filosofia di Raymond Queneau (1981), S 1423.

 

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