Stefano Ulliana.

Il concetto creativo e dialettico dello Spirito nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno.

Il confronto con la tradizione neoplatonico-aristotelica.

 

 

La critica che può essere rivolta all’interpretazione della speculazione filosofica di Giordano Bruno sviluppatasi progressivamente lungo la direzione evolutiva che ha Georg Wilhelm Friedrich Hegel quale capostipite, Bertrando Spaventa quale primo prosecutore, Giovanni Gentile e Nicola Badaloni quali esecutori più recenti, si concentra sulla loro affermata unicità fondamentale ed assoluta del soggetto e sul loro uso assoluto dell’immagine. Contro la molteplicità dell’idea creativa ed operando la sottrazione ed il capovolgimento di quell’interminata apertura che si offre come spazio e tempo di una opposizione infinita, l’uso assoluto dell’immagine importa la separazione della necessità di una Ragione unica, dalla molteplicità delle sue determinazioni e realizzazioni. Questa separazione viene attuata per il tramite della forma di una mediazione assoluta, che rende l’alienazione proprietà e caratteristica fondamentale dell’apparente.

Al contrario la speculazione bruniana non vuole aver bisogno di alcuna alienazione: il desiderio che è nella materia ha termine non separato; il desiderio che è nell’anima si apre nell’immaginazione. Pertanto si capovolge da desiderio di possesso in desiderio di comune (eguale) libertà: rigetta lontano da sé l’alienazione del sentimento e della ragione di proprietà (la normatività eteronoma).

La ricucitura all’Uno si realizza, allora, attraverso il movimento infinito del desiderio, che sostituisce la fissità di conoscenza ed azione dell’alienazione con l’alterazione indotta da ciò che è sommamente perfetto.

 

L’unità infinita, mobile in se stessa.

 

L’interpretazione che si intende sostenere vuole dunque far valere, quale motore della speculazione bruniana, la presenza e l’azione di una dialettica del desiderio. Così si dovrebbe immaginare e considerare come tra lo scomparire dell’Uno bruniano – il raffronto con il Parmenide platonico è dello stesso Samuel Taylor Coleridge[i] - ed il suo essere presente come immaginne universale si situi un’apertura, un abisso ed una relazione.[ii] Un’apertura infinita: con un termine sempre sproporzionante, dunque illimitatamente ampio; perciò istituente una tensione costantemente orientata e slanciata oltre se stessa,[iii] dove il soggetto si rovescia in un aggetto che allarga e perde il senso o la consapevolezza dei propri confini, del proprio limite, ma nel contempo costituisce l’unica base per la costruzione, l’elevazione ed il riconoscimento di quello Spirito (organo) che ha piena e totale coscienza di se stesso e della propria identità, creativa e dialettica.[iv]

 

L’opposizione infinita.

 

Si può dunque credere che il principio bruniano ritorni apparentemente in se stesso: e questo suo ritornare sia qualificato da Bruno stesso attraverso il concetto di alterazione; concetto che dovrebbe essere collocato nello spazio razionale aperto precedentemente dall’articolazione apertura/abisso/relazione, con il significato eminente della critica all’ideale ed alla prassi totalitaria del possesso.[v] In questo modo – al contrario di quanto ritengono Bertrando Spaventa, Giovanni Gentile o Nicola Badaloni – la posizione bruniana mostra ed indica l’intenzione ed il valore della negazione di qualunque fondazione ideologica.

 

La sintesi unitaria originaria.

 

Pertanto si può ritenere che la critica all’idea di possesso, formulabile tramite l’articolazione razionale già indicata, permetta di considerare insieme sia la necessità e l’ineliminabilità della raffigurazione, sia una possibilità più alta di revisione e ricostituzione, in un senso universale onnicomprensivo ed inescludente, delle determinazioni già operate ed operanti. In questo modo si realizzerebbe il sogno o la magia di un desiderio che ovunque vaghi e da ogni luogo richiami a se stesso la molteplicità delle realizzazioni, per riportare a sé – e così riprendere – quell’intenzione dell’originario che è poi, di nuovo, creatività ed espressione dialettica (libera, eguale ed amorosa).[vi] Per riprendere quell’Essere che nasce nella tensione animata dall’Uno, tra il vero ed il buono – le due stelle di riferimento della parte conclusiva degli Eroici furori – ed è la sua apertura d’infinito.

Questa apertura d’infinito permetterebbe al desiderio d’essere consapevole di sé come desiderio e di costituire quella relazione artistica, come unità dotata di ampiezza ed intensità, che ha in capo a sé – quale principio – una ragione vista, piuttosto che come ordinatrice, come creatività inesausta e sovrabbondante: una fonte che emette, richiama e ritrasforma, piuttosto che una corrispondenza stabile e puntuale fra forme e materie. Una fonte che chiama continuamente attraverso l’amore alla libertà ed all’eguaglianza.

 

Il termine interminato.

 

Se “per Spaventa il motivo fondamentale della filosofia di Bruno è la ricerca del <<punto di coincidenza de’ contrari>>”,[vii] in questa interpretazione della riflessione bruniana si vuole sottolineare invece l’importanza della mobilità (instans) di quell’apertura d’infinito, la presenza in lei stessa di un’intrinsecità d’apertura, un’opposizione che distingue e crea, capace di elevare, sollevare e sostenere il tutto in un universale, sempre produttivo di future diversificazioni (complicatio).

Se la visione della trattazione bruniana della materia come potenza può essere, all’interno dell’interpretazione spaventiana, la volontà consapevole di ravvisare nel concetto di sostanza il capovolgimento della determinazione determinata nella determinazione indeterminata, e quindi la volontà di ravvisare nella libertà l’unica e vera necessità, secondo questa nuova ed originale interpretazione, invece, questa sostanza di libertà in Bruno mantiene sempre in se stessa la visione di un’idealità alta ed, appunto, universale. Un’idealità denominabile attraverso la sua apertura di possibilità. La considerazione della materia come soggetto quindi, piuttosto che il valore della determinazione strettamente unitaria ed univoca degli esistenti,[viii] deve costituire l’apertura, in virtù ed all’interno di quella possibilità, della sua plurivoca ampiezza (applicatio).[ix]

In questo modo l’Uno bruniano non è tanto mancato dall’intento speculativo del filosofo nolano, come intende Bertrando Spaventa, quanto piuttosto si rende presente costantemente, accompagnando la coscienza come origine della terminazione infinita, dell’in-terminazione. Perciò l’Universo bruniano non è Uno, ma continua ed inesausta creazione dei Molti: i Molti che sono in virtù dell’Uno e si riscoprono all’interno dell’Uno stesso (memoria). Essi costituiscono, allora, quella molteplicità delle potenze ideali, che è interna alla possibilità d’apertura dell’infinito creativo.

Così considerare nella speculazione bruniana, come fa Spaventa, la sostanza come assoluto[x] è voler sottrarre la possibilità della dialettica ora evidenziata; questa dialettica deve, invece, essere riaperta e rivista quale cuore pulsante della speculazione bruniana. Ad indicazione di questa necessità sta proprio la costante presenza nei testi bruniani della superusia, ovvero di ciò che è sopra-sostanziale.

 

La dialettica aperta dal termine interminato.

 

Il rapporto fra l’Uno (Dio) e l’Universo viene negato da Spaventa come rapporto: “<<sempre più mi confermo nell’idea, che in Bruno come in Spinoza manca l’idea dello Spirito; non vi ha che Dio Uno e causa e principio da una parte, dall’altra l’universo simulacro di lui ed esplicazione. Ma qui finisce. A che si può domandare questo abbassamento di Dio? Non si può rispondere che con lo Spirito.>>”[xi]

L’interpretazione che viene invece qui avanzata ritiene al contrario che lo Spirito sia ben presente nella speculazione bruniana: che non abbassi, ma al contrario innalzi e rammenti; dia modo dunque al desiderio di generarsi, agire e trasformare. L’idea di possibilità, anziché di necessità, diventa allora il luogo e la virtù ideale nel quale e per la quale la creatività si pone e si fa apertamente (con libera ed amorosa eguaglianza) infinita. Al contrario, solamente l’Identità stabilita dalla distinzione aristotelica fra potenza ed atto, con la priorità del secondo sulla prima - De generatione et corruptione, Libro I; Metafisica, Libro IX, 1049b 4 – 1051a 3 - può sostituire il vuoto lasciato dall’eliminazione dello Spirito, considerato proprio nella sua infinita ed aperta creatività.[xii]

Questa interpretazione ritiene invece che, non già un’Identità sia necessariamente supposta da Bruno, quale termine assoluto che elimini ogni dialetticità, quanto piuttosto che Bruno stesso sottintenda l’in-finire in se stesso della Relazione: la consapevolezza, senza la distinzione tra un termine morale ed uno naturale (che è l’unicità del termine bruniano), che nasce quando lo Spirito riconosce se stesso attraverso l'aperta, libera ed eguale, universalità e diffusione del desiderio.

Senza l’oggettivazione, l’isolamento ed il controllo dello Spirito, attraverso la relazione di dipendenza e la coimplicata alienazione, la riflessione bruniana pone uno Spirito creativo e dialettico, capace di realizzare l’opposizione apparente fra l’intenzione e la tensione che animano il desiderio nella posizione infinita ed illimitata dell’universale. In questo modo si potrebbe ricostruire lo sviluppo della dialettica bruniana ponendo:

1.                    l’Idea creativa (Padre o Mente), che è subito

2.                    Tutto comprensivo (Figlio o Intelletto); e quindi ancora,

3.                    nell’Intenzione universale (Spirito) di questa comprensività,

4.                    l’immagine dell’Amore che nulla esclude e tutto a sé ragguaglia.

In questo modo si riuscirebbe a ravvisare, in maniera migliore rispetto a quanto faccia Bertrando Spaventa, il nucleo e l’intento etico della speculazione bruniana, senza le cadute reazionarie proposte dall’interpretazione di Giovanni Gentile[xiii] o le limitazioni imposte da quella di Nicola Badaloni.[xiv] Al contrario, la resuscitazione di una struttura trinitaria – dunque teologica – riuscirebbe a rendere ragione della rivoluzionarietà del pensiero e della prassi bruniana, proprio in virtù del modo – la radicalità e l’originarietà della libera eguaglianza dello Spirito - attraverso il quale la ricomposizione del Figlio al Padre lascia libere di irraggiarsi le componenti del desiderio e dell’immaginazione.

 

L’unità infinita come fattore eticamente distintivo.

 

La Relazione in sé infinita, che sintetizza la struttura articolatoria precedente, si manifesta come Essere in automovimento: essere che, attraverso il suo automovimento, produce lo spazio ed il tempo della creatività e della disposizione dialettica.

Come apertura differenziale l’idealità di questo Essere porta con sé quell’opposizione che è la realizzazione stessa dell’infinito: in tal modo questa apertura differenziale scioglie la necessità di un presupposto sospeso, destinato – come materia atta alla realizzazione – ad un atto misterioso e nello stesso tempo univoco (totalitario), negli scopi e negli strumenti.

Critica della disposizione totalitaria e della negazione della libertà del soggetto, la posizione bruniana tende al contrario a far valere l’apertura della diversità naturale, morale e religiosa. Contro la costituzione immobile ed immodificabile di uno spazio superiore di decisione e disposizione, la temporalità bruniana distingue i due termini dialettici della libertà e dell’eguaglianza per unificarli. Così la diversificazione del desiderio, operata dal e nel desiderio, si mantiene all’interno di un orizzonte profondo, ampio ed illimitato: un orizzonte che ha nella profondità infinita dell’unità infinita la capacità di mostrare la sua infinita e sempre più elevata comprensione.

La consapevolezza dell’infinitezza del movimento d’elevazione accompagna allora sempre il darsi della diversità, conoscitiva ed etica. Qui sta la radice del mostrarsi della sapienza umana come ignoranza e della perfezione etica come fratellanza universale.[xv]

Contro una materia universale che si frapponga fra i due termini opposti, così identificati, del pensiero (reso un pensato) e dell’essere (diminuito ad esistente), e che svolga in un tempo la funzione di principio del divenire ed in un altro di causa della separazione degli assiomi generativi, la concezione bruniana scioglie in anticipo il tentativo di prefissare, e così stabilizzare, la convergenza e l’identità del concetto di principio con quello di causa: non forza verso l’identificazione e l’annullamento reciproco dell’originario e dello scopo, così mantenendo vive, aperte e diverse quelle potenze capaci di rendere l’apertura di un movimento pluridirezionato, segno della posizione infinita dell’unità generativa.

L’invisibilità dell’unità generativa determina allora ciò che in altri modi può essere definito come l’in-finire del termine: caratteristica fondante della speculazione bruniana, decisa a rappresentare il costituirsi del rapporto - insieme, creativo e dialettico - fra la posizione metafisica dell’Uno e quella etica della sua perfezione.

Se la posizione metafisica dell’Uno apre lo spazio della creatività, la posizione etica della sua perfezione istituisce il rapporto dialettico fra la sua libertà e la sua eguaglianza, nel campo infinito della rammemorazione (viva ed aperta) del suo amore universale.

 

L’Uno e la Perfezione. La creatività e la sua dialettica amorosa.

 

Il rapporto unitario ed inscindibile fra libertà ed eguaglianza puntualizza la creatività dello slancio amoroso, ma nel contempo fissa la duplice affermazione dei due termini all’interno di un procedere razionale infinito. La ragione infinita bruniana, restando di poco al di fuori e vicino all’apparenza del finito, attraverso la punta della diversità ne prolunga all’infinito la vita e l’esistenza. Così sia la vita che l’esistenza non vengono neutralizzate in una fusione totalitaria, nella postulazione di una produttività universale che lasci in ogni cosa il segno e la verificazione della propria, unica, modalizzazione (antitomismo della speculazione bruniana).

Contro quella matematizzazione geometrica che descrive e spiega il processo di singolarizzazione attraverso i due poli distinti dell’accrescimento numerale e dell’estensione (secondo il modo della misura), dove il contatto e la compattezza (l’ordine) della corporeità dell’universo con la sua forma ne mostrano ed indicano la presenza sottratta e nascosta (ma così operante), l’universo bruniano sta invece come la manifestazione della necessità che l’Uno fa per l’appunto emergere come possibilità generale: quel movimento creativo che della diversificazione fa il motore e l’esemplificazione di un’amorosa ed eguale liberazione. In questa diversificazione dialettica – che dialettico è l’uso dei due termini distinti della libertà e della eguaglianza - l’elevazione di questa necessità e lo slancio di questa possibilità si aprono a comprendere una grandezza emotiva capace di contenere tutte le molteplici implicazioni e tutte le innumerabili finalità determinate.

Contro una visione che tramuta l’iniziale inconsapevolezza della causa nel possesso delle ragioni che costituiscono ogni formazione, attraverso l’idea (ideale e desiderio, che si realizzano attraverso il possesso) della totalità, che pone l’infinità dell’Universo nella separazione e spossessamento delle parti e quella di Dio nella loro inclusione e dominio, la concezione bruniana mantiene viva la relazione delle parti nell’universo, nell’aperta ed eguale libertà che l’infinità del principio lascia essere (identità fra intensione ed estensione).

 

Di nuovo, l’opposizione infinita.

 

Contro l’eteronomia di un ordine agito da un soggetto separato, che limita e determina lo spazio ed il tempo della vita nella necessità, e costringe la potenza all’identità prioritaria di un atto che funge da ordine interno dell’intero universo, secondo la predisposizione di una impressione formale quale immagine viva e reale dell’azione intellettiva divina, l’opposizione infinita bruniana ripristina quella apertura e diversificazione immaginativa (molteplicità delle potenze) che invece l’infinito slancio determinativo in una apertura prefissata d’opposizione - dove possa sussistere una stabile e continua invariabilità delle specie determinative - richiude in una identificazione fra origine e fine (individuo assoluto).

In nome, quindi, di questa opposizione infinita la concezione bruniana della variazione è apertamente illimitata: essa costituisce il campo d’esercizio di quell’infinito creativo che accomuna l’intera immagine reale, rendendo in tal modo incomprensibile non solamente Dio, ma lo stesso universo, che può ben essere definito consapevolezza dell’infinire della ragione, nella sua apertura e diversificazione illimitata. È solamente in questo modo, del resto, che Bruno – come afferma lo stesso Bertrando Spaventa – riesce a salvare la trinità filosofica: Dio, Spirito e Natura. Non certo facendo della natura un momento definito nella storia dell’autoriconoscimento dello spirito, quanto piuttosto – proprio non ammettendo la separatezza che apparente della Causa – rilevando e facendo considerare ed osservare come tale apparenza non sia altro che l’ammissione (la possibilità) di un principiare infinito, mai dato una volta per tutte. L’avvertimento dunque dell’apertura di questo principiare: un avvertimento che ci riporta alle infinite ed illimitate virtù creative dell’Uno (le idee come potenze).

 

L’atto plurivoco.

 

Contro l’affermazione di un’unità ed unicità della sostanza che fissi ed immobilizzi la distinzione dialettica entro l’orizzonte prefissato e prestabilito dell’identità assoluta, il bruniano desiderio di sé, che è opera dell’infinito, diventa l’affermazione di un principio creativo universale, animato dal movimento dialettico fra libertà ed eguaglianza. Così la distinzione fra Padre e Figlio – il rapporto fra unità ed idealità – anziché procedere al proprio interno, attraverso l’amore che li unisce (Spirito), sino alla fusione in un indistinto che li identifica, generando un vero e proprio regresso al primitivo, perde l’univocità e la rigidità del proprio richiamo: non è presente ad un soggetto sommamente ed unicamente produttivo, che lascia essere il proprio articolarsi come estensivo plurale (l’Universo nel suo essere il proprio altro) in quanto già possiede la forma della formazione universale. Contro una volontà di potenza che si fa potenza attuata di questa volontà, il riferimento bruniano, aperto e plurivoco, porta il soggetto a divenire, per reciprocità d’affetti: lo scioglie dalla propria impermeabilità ed indifferenza emotiva alla qualità, lo rende di nuovo sensibile, gli assegna una determinazione attraverso quell’idea d’eguaglianza che ne muove l’esistenza, come ideale e fonte desiderante.

Contro la separazione di Dio dalla materialità dell’universale, che è costituzione dell’atto come separazione e della potenza, nella sua distinzione, come infinito della volontà, lo Spirito bruniano si ripristina nel proprio valore immediatamente affettivo e sentimentale. Contro la fine definita del movimento desiderante ed immaginifico, la ragione bruniana si rivela, essa stessa, feconda del rapporto infinito fra desiderio ed immagine. Così lo Spirito non è, negativamente, la propria inconsaputa processualità, quanto non è, positivamente, l’unità che si riconosce assolutamente, quando sappia ricucire a sé i due termini opposti dell’atto separato e dell’alterazione (antihegelismo bruniano).

Lo Spirito bruniano deve invece essere inteso come aperto e diversificante movimento creativo e dialettico, capace di coniugare lo sforzo per l’unità sovrannaturale e la tensione ideale nella materia dialettica, che si apre e si esercita nello spazio e nel tempo che si costituiscono (e si prolungano infinitamente), allorquando il desiderio d’eguaglianza si fonde con l’immagine della libertà.

L’eticità di una opposizione infinita allora si staglierà come orizzonte e giustificazione della filosofia naturale, morale e religiosa del pensatore nolano.

 

La critica bruniana alla trasposizione assolutistica dell’atto sociale.

 

La materia superiore – la bruniana materia di cose incorporee – nell’idealità della sua capacità creativa mostra lo Spirito nella sua latenza, contro la posizione assoluta ed assolutistica di una volontà e di una potenza semplicemente autorealizzative. Se questa volontà e questa potenza diventano atto costitutivo della collettività sociale dei soggetti che vi si riconoscono ed operano, ogni spazio di mediazione risulta già assunto sin dal principio, nella sua disposizione ed organizzazione, nella tensione etica che si pretende quale origine della vita e dell’esistenza complessive (lo Stato etico gentiliano).

Contro l’unico modo dell’apparente molteplicità, impartibile e solamente partecipabile, che riduce l’apertura dell’intelletto a ragione determinante, l’apertura e la dialetticità bruniana dell’opposizione infinita ricostituiscono quell’unità con l’abissale, che è origine di movimento e di alterazione, sulla base della perfezione.

Come idea ed ideale della possibilità – la attitudine degli Eroici furori – questo slancio del soggetto è una potenza attuosa che lascia essere i contrari, perché di essi è costituita senza esserne però esaurita: superante, da sempre, la loro tensione dialettica, essa afferma l’infinitezza della variazione. La presenza, consapevole, del soggetto come non-universale. E quindi, all’opposto, il distacco e la priorità dell’aggetto come universale. E, finalmente, il divenire dell’organo, come unità di quella presenza e di questo distacco e priorità.

Distacco, priorità e presenza, in questo modo – il modo dell’organo – non hanno bisogno d’essere duplicemente riferiti (come l’essere e l’essere-diverso platonici): non hanno bisogno e non sopportano la necessità d’essere separati (come la forma e la materia aristoteliche), per essere poi ricongiunti nell’affermazione che vuole che l’apparenza del distacco – come della riunificazione – stiano nella stessa origine, come sua stessa volontà ed intendimento (il Verbo cristiano, la sua espressione creativa ed il suo compimento attraverso l’Incarnazione). Non hanno bisogno, soprattutto, di una mediazione assoluta (la forma esemplare del Cristo tomista), che si divida in se stessa per capi opposti, per iniziare e dunque distinguersi e distinguere; per differenziare, infine, il fine e lo scopo della propria necessaria e necessitante ripresa (l’atto produttivo della molteplicità). L’idea e l’ideale bruniano, infatti, in quanto unità mobile in se stessa ed aperta, ha in sé, insieme, le caratteristiche della libertà e dell’eguaglianza: non pone manifestazioni che si intendano come istituzioni discriminanti, strumentali alla assolutezza dello stato da cui pretendono di discendere e di cui vogliano essere le custodi.

In questo modo la dialettica della doppia affermazione scioglie la struttura della doppia negazione: l’assenza della struttura della doppia negazione ha infatti in Bruno il valore della negazione consapevole e voluta della sua pretesa d’univocità (l’assunzione volontaria di una potenza assoluta sul piano astratto della sopranatura). Una pretesa tutta e solamente sociale e volgare. Una pretesa per la quale non possono non venir giustificati tutti gli usi strumentali ed assolutistici delle religioni positive, e dove non v’è - nell’abbraccio reciproco e mortifero del potere laico e di quello ecclesiastico - alcuno spazio per una religiosità e per una politica veramente e benignamente universali.[xvi]

Contro la necessaria ed insita presenza dell’essenziale, che raccoglie tutti i soggetti e ne costituisce il termine di sopravvivenza, come se fosse una loro assoluta fisicizzazione sociale, la rivoluzione bruniana combatte l’assoluto come forma e materia del possesso. Qui, allora, se le diversità impredeterminate sono il portato della libertà, la diffusione e la dispersione molteplice delle potenze costituisce la materia e lo spirito (la dialetticità) dell’eguaglianza. Contro quella forma inamovibile che è la concentrazione in unum della potenza di tutte le forme, quella considerazione della loro genesi infinitamente unitaria che presuppone la necessità della loro identità assoluta e che apre poi la consapevolezza della necessaria adeguatezza fra fine e priorità (rettificazione e convergenza degli scopi), l’apertura e la diversificazione delle perfezioni bruniane offre il respiro e l’agio, la libertà della continua creazione e modificazione degli scopi, sciogliendo la necessità di addossare ad un unico fronte il compito della rappresentazione universale (Sapientia).

 

La critica bruniana dell’alienazione.

 

La ragione dell’unità - esterna come ragione ed interna come unità – conduce verso la separazione dell’universale e la costituzione dell’immagine assoluta dell’identico, inserendo una frattura irreparabile rispetto al multiverso ed al discreto. Per superare questa frattura l’universo manifesto e sensibile crede di poter ritrovare in sé la fede e la grazia di un’unica sussistenza, ed attraverso la volontà che attua tutte le posizioni dispone lo spazio di una determinazione originaria (separata). Di una determinazione non distaccata dall’originario stesso (infinito): l’Intelletto della Mente e l’animazione universale.

Contro l’univocità (la terminalità) che fissa l’indifferenza e la nullità per se stesso dell’apparente, contro la totalità ed identità del sostanziale, la dialettica bruniana del minimo e del massimo[xvii] pone quella relazione organica che unisce l’apparente assenza (dell’Uno) e l’apparente presenza (dei Molti), in una comprensione illimitata, capace di includere la doppia molteplicità dei soggetti e dei fini, e di mantenerla a propria volta sempre aperta, creativa. È qui infatti che compare l’idea bruniana dell’arte: quell’infinita creazione del tempo, senza separazione dell’origine, che è immediatamente animazione universale. Cosmologicamente: movimento (trasformazione) di tutti i corpi celesti, Terra compresa.[xviii]

Il rapporto diretto ed immediato con l’assoluto, che l’alienazione come distacco dall’alterazione (pluriverso naturale) consente di ripristinare, viene allora sostituito dall’artisticità bruniana: l’apertura dell’immaginazione naturale nella pluralità dei soggetti celesti e l’apertura dell’immaginazione morale e religiosa nella pluralità dei fini e degli scopi.

 

L’in-finire bruniano.

 

L’ideale di una rappresentazione completa fa leva su di una terminazione assoluta, che nasce dalla considerazione statica dell’immagine divina, e che determina il fatto che ogni fine (morte del particolare come particolare) sia lo scopo voluto dal Dio (finiente), e realizzato dallo stesso nell’universo, per la sua eterna riproducibilità interna ed ideale. Se l’immagine di Dio sorge allora sempre di contro a quella dell’universo in trasformazione, come forma ed idea del suo scopo, l’apertura pluriversa dell’immaginazione bruniana ricorda l’in-finire che tale apertura porta con sé: la creatività continua, che si esplica in virtù dello slancio illimitato dell’immaginazione stessa e del suo desiderio infinito. Desiderio d’infinito che tocca l’infinito e lo realizza, protendendolo così di nuovo di fronte a sé come ideale.

Questa sempre nuova idealità fa valere di per se stessa l’apertura di una moltiplicazione: impedisce che la relazione organica si stabilisca e fossilizzi come ordine univoco. Al contrario, decidere quest’ordine univoco, pone in essere un finito in movimento interno alla relazione che fa comparire come suoi propri capi Dio e l’universo, rendendo così da una lato Dio come causa infinita e dall’altro l’universo come effetto infinito, e ricongiungendoli nella coincidenza che si genera tra la determinazione del primo e l’ordine del secondo. Ma in questo modo, secondo il rilievo sottinteso dalla critica bruniana svolta nel De l’Infinito, Universo e mondi, una relazione finita impone un principio ed una realtà finiti: un principio definiente ed una realtà finiente, a costituire insieme una totalizzazione dell’ordinato, che solamente nell’apparenza di una sua interna ripresa può avvalersi dei tratti dell’essere che diviene capace di trasformare, tramite l’alienazione, l’alterazione in dominio e controllo (hegelismo).

La bruniana relazione infinita (spinozismo) invece, ovvero la considerazione dell’universo come entità aperta e plurale di per se stessa in movimento infinito, propone una concezione che si rivela nel contempo dialettica e creativa. Questa concezione infatti afferma che la diversificazione profonda, abissale ed infinita (creativa) delle idee o potenze non è senza l’opera dialettica dell’Amore, che ricongiunge libertà (Unità del Padre) ed eguaglianza (Idealità del Figlio) delle nature nell’in-finire del desiderio (lo Spirito).

Riconoscendo la sussistenza di un’entità plurale che si muove e si ricrea di per se stessa (la divinità trinitaria), l’Universo non ricadrà nella volgar significazione,[xix] che lo pretende senza movimento proprio ed indefinito, in quanto lo pensa riferito ad un dio autore (presupposto, per quanto viene separato) che realizza completamente la propria volontà cognitiva e di possesso. La creazione di sempre nuove (innumerabili) specie e di sempre nuove determinazioni mostrerà allora l’infinita apertura nella quale queste compaiono e vivono, costituendo così quel ricordo dell’Uno che, per quanto si faccia sforzo e tensione d’adeguazione (secondo quell’ideale di comune ed indifferenziata eguaglianza che vive nell’universalità dell’Amore), in virtù del medesimo spirito ed intenzione che l’alimenta, riesce a trasformarlo nella possibilità d’un mondo nuovo: massimo, a fianco del suo stesso scomparire come minimo.

L’infinita profondità dell’apertura – l’inscindibilità dell’Anima bruniana – non è posizione della problematicità della definizione di un soggetto che stia inizialmente fuori di essa: al contrario, il soggetto bruniano, come pluralità del modo affettivo, è già incluso in essa. Così lo Spirito bruniano consiste proprio nella consapevolezza di questa apertura infinita, che nell’incomprensibilità trova e distende la ragione d’una creatività infinita, imprevedibile ed impredeterminabile. Una ragione di libertà ed eguaglianza, che ravvisa l’amore reciproco quale ideale d’umanità e lo rende sostanza del vivere e desiderare comune.[xx]

Questa ragione costituisce così la vera e reale determinazione ideale bruniana: la vita ed il desiderio, la moltiformità della prima nell’intenzionalità universale del secondo. Contro l’unità che viene affermata tramite un fattore ideologicamente predisposto, orientante e determinante,[xxi] e contro il dominio della forza che suscita la materia all’interno di un orizzonte preformato,[xxii] lo scioglimento bruniano della figura assoluta assume le vesti, le sembianze e le caratteristiche della critica non solo all’immediatezza della negazione (Gentile), ma pure allo sviluppo infinito dell’essere (Badaloni).

 

La critica allo sviluppo infinito dell’essere ed all’idea di una sua capacità infinita di produzione e riproduzione.

 

Lo sviluppo interno ed infinito dell’essere si realizza attraverso l’alienazione dell’essere a se stesso, ma come identità che ricuce continuamente la distinzione che si forma, per rifonderla e riesprimerla o riesplicarla. In questo modo l’alienazione ripropone la sua virtù replicativa. Un operare nascosto e sottratto, indifferente ai suoi contesti esplicativi, unifica ed identifica profondamente la totalità delle determinazioni comparenti, che in tal modo diventano scopi precompresi.

Il contenuto del mondo (o dei mondi parificati) non può allora fuoriuscire come altro da sé: non si può modificare e variare liberamente, perché deve invece rientrare in quell’altro da sé che già, con la sua presenza, costituisce la sua più vera identità e realizzazione. Si instaura così una riflessione verso un soggetto separato che, di tanto radica in profondità un’identità assoluta, quanto in superficie espone un’unità variabile ed in movimento di ricomposizione e riallineamento. Negando l’autonomia del finito, l’assoluto si fa penetrare dal suo slancio identificativo ed autonegativo: nasce così la determinazione del finito, nell’assoluto che si fa termine ad esso.

Insieme a questa determinazione si deve ricordare il comparire della strumentalizzazione generalizzata: tutto ciò che esiste diventa infatti strumento della affermazione dell’assoluto.

L’apparenza del farsi termine dell’assoluto è la realtà del divenire della necessitazione, come movimento di ripristino di una necessità oggettiva che riunifichi e rifondi ciò che solo astrattamente, per affetto ed estensione, era stato separato. Così la forma e la realtà dello scomparire dell’apparenza permettono a questa necessità oggettiva di riproporsi nella sua immediatezza e totalità.

L’infinito del modo ripropone così l’infinito dell’attributo, e perciò l’invisibilità della sostanza.[xxiii] Quell’opposizione ed alterità, che erano tendenzialmente destinate a scomparire nell’unità, si ripropongono ora però trasformate ed in un certo senso capovolte: non sono più funzioni di identificazione e trattenimento (natura come altro da sé, in se stesso),[xxiv] diventano invece criteri di separazione e discriminazione (spirito come altro nell’altro).[xxv] Nel momento in cui la riflessività si annulla, la determinazione si definisce attraverso l’imposizione del principio come immediatezza e totalità (lo Stato della sostanza etica gentiliana).

Ma questa imposizione può realizzarsi solamente facendo valere l’immagine assoluta dell’organismo, che distingue e separa parti, ruoli, funzioni e gradi nell’ordine della conservazione di se stesso.

A questo punto, se ci si dovesse riferire alla terminologia ed alla strutturazione bruniane adoperate nel De la Causa, Principio e Uno,[xxvi] si dovrebbe dire che la Causa dovrebbe operare, in questa concezione, un contenuto universalmente determinato: annullare l’infinità dell’opposizione nata dalla riflessività dell’Uno, sostituendole l’interezza di un essere come manifestazione totale e totalitaria. Anziché assumere, nella sua apparente separatezza, il senso ed il significato dell’infinito della libertà, per porre l’infinire della sua eguaglianza nell’unità universale dell’amore, essa si dissolve nell’immedesimazione richiesta dall’unità di un principio che, tanto si pone assolutamente, quanto si nega come principio. Senza la Causa, dunque, ed il Principio, verrebbe a restare solamente la cattiva ed idolatrica controfigura dell’Uno: scomparsa la libertà e dissolta la creatività, resterebbe meramente l’unità organica e sociale della graduazione e separazione classista, adoperata nei confronti dell’umano e del naturale, paritariamente (Gentile e, anche se in misura attenuata, Badaloni).

L’infinito dell’unità, nell’infinito dell’opposizione, genera invece quella dialetticità etica dell’Essere bruniano che apre l’infinito del creativo e del dialettico: schiude la considerazione di come e quanto l’esplicazione desiderativa infinita sia il momento intrinseco dell’universale. Così l’identità bruniana non è l’assoluto degli opposti, ma la presenza nell’opposizione della diversità unitaria di idea e natura. E questo è prima di tutto ragione aperta: quel sensibile che accosta a sé la possibilità di comprendere ciò che altrimenti resterebbe escluso, disgregato ed inerte, morto alla conoscenza ed al generale movimento etico. Questo generale movimento etico, per il quale la materia non perde il desiderio del bene e l’anima il bene del desiderio, accosta e fa coerire in uno - ed è perciò Intelletto - la molteplicità dei fini e dei soggetti. Che sono innumerabili, perché infiniti, nella infinita creatività della Mente.

Senza contrasti così esso può qualificarsi come pace universale, senza essere e presentarsi come indifferenza (fusione fra unità e necessità). Anzi, esso è invece azione universale non disgiunta dal suo stesso essere passione, che nulla esclude o lascia intoccato (salvezza). Non è dunque soggetto che debba essere provato, proprio non potendo, esso, essere provato. Che provarlo, sarebbe far valere qualche cosa d’altro da tale azione-passione, togliendole così immediatamente la sua universalità.

L’improvabile (fides), che costituisce prova filosofica, sarebbe dunque, nella speculazione bruniana, il manifestarsi dell’incomprensibilità dell’Uno come infinito plurale (creativo): apertura infinita che si concretizza come infinire del desiderio, sostanza continuamente smaterializzata, per l’effetto etico che costantemente la trapassa. In questo modo le variazioni dell’infinito plurale bruniano intenderebbero negare l’opposizione come fonte di riduzione univoca, per affermarne invece la vocazione ad una libera e diversa eguaglianza, che rompa il suo uso in senso assoluto ed astratto, per ricordarne invece la vicendevole ed amorosa determinazione (sia nella costituzione dei poli cosmologici, che nella formazione della relazione civile).

Senza l’assorbimento e la caduta ideologica in una ragione assoluta che si presenti come unità totalizzante, e che proietti su di sé una pluralità di tensioni tutte convergenti ad includere ogni possibile trasformazione – credendo di negare in tal modo il principio, che è alterativo – la bruniana consapevolezza dell’infinito differire è subito il farsi del soggetto plurale, ed in relazione ad esso la fede nell’artisticità che gli è immanente. Così – riprendendo termini che Giordano Bruno definisce sin dal De umbris idearum - il soggetto diventa aggetto di una variazione possibilmente infinita, l’organo rappresentando l’ideale unità oltre le apparenti diversificazioni.

L’interpretazione che da Georg Wilhelm Friedrich Hegel, a Bertrando Spaventa, Giovanni Gentile e Nicola Badaloni trascorre sino ai tempi nostri pare invece far valere proprio il modo ed il contesto operativo di quella trasformazione, con la conseguenza che la speculazione bruniana, privata dell’opposizione infinita, perde l’aggetto e l’apertura onnicomprensiva e massima dell’organo. Per Bertrando Spaventa, per esempio, Giordano Bruno cercherebbe infatti di esplicare, intrinsecamente al 'punto dell’unione', il 'contrario': affermando che bisognava differenziare l’indifferenza assoluta, egli avrebbe inteso mostrare quella necessità interna, che si staglia ed impone quale unica possibilità per l’instaurazione di uno sviluppo dell’identità in fine identico a se stessa. Sarebbe però stato capace solamente di affermare “la necessità di cadere negli opposti. Ma questa distinzione non è che la condizione preliminare della dialettica; bisogna anche mostrare che gli opposti si trasformano l’uno nell’altro, e così sono un terzo che è l’uno e l’altro, o il movimento stesso di questa trasformazione.”[xxvii]

Bruno avrebbe dovuto dunque integrare, seguendo i suggerimenti dello storiografo napoletano, le proprie argomentazioni con una sorta di inclusione divina, uno spazio d’immaginazione assoluto, che si pratica quando Dio stesso possiede l’idea di sé. Questa inclusione divina avrebbe dato vita e movimento, infine potenza all’unità di forma e materia bruniana, riconnettendola con la necessità di una ragione e coscienza universali (immediate e totali).[xxviii]

Ma questa inclusione, rigidamente fondata sull’idea di un possesso e di un possessore assoluto, può indurre solamente quel movimento che è la riduzione della propria aperta e viva possibilità alla necessità di finire, per osservare la stabilità di un dogmatismo assoluto. In questo modo la potenza del particolare verrebbe a giustificarsi nell’inamovibilità ed immodificabilità di una ragione che della propria astrazione farebbe il vanto per la propria applicazione totale e totalitaria. Al contrario la vera ed effettiva Possibilità universale bruniana si apre infinitamente a raccogliere il particolare come ombra inscindibile dell’infinita produzione creativa del desiderio, ampio e disteso, nell’idea di una libertà piena ed eguale.

La concezione della vita che emerge nell’intento bruniano è dunque quella che fa dell’infinità dell’amore l’ideale e l’immagine di una ricchezza e di una compartecipazione vitale e diffusa, feconda di ogni cosa buona e reale. 

 

Conclusione che è, pure, proposta di ricerca e di verifica.

 

Se l’incomprensibilità dell’Uno bruniano costituisce la matrice di una eterna riflessività, la forma attraverso la quale questa riflessività si esprime è quella di una opposizione infinita. Nella speculazione bruniana questa opposizione infinita è il movimento dell’unità infinita (moto metafisico): il rapporto che la creatività ideale costantemente e continuamente varia e ricostituisce, tra l’essere del desiderio e la sua viva ed aperta immagine. Un movimento dialettico che è capace di fondere insieme, attraverso la consapevolezza etica dell’in-finire, nell’unico termine della libera ed amorosa eguaglianza, l’immensa mole del creato.

La consapevolezza etica dell’in-finire del Desiderio (Spirito), dunque l’infinitezza del rapporto fra Unità (Padre) ed Idealità (Figlio), costituiscono il cuore ed il nucleo teoretico della speculazione bruniana. Esso permette di distribuire l’intero articolato delle argomentazioni presenti nei Dialoghi Italiani secondo una scansione che, per prima, analizza e confronta – nel dialogo De l’Infinito, Universo e mondi - la posizione espressa dalla tradizione aristotelica (dove vige il concetto di una opposizione finita) con la posizione bruniana (caratterizzata, invece, dal concetto di una opposizione infinita); quindi riscontra la presenza – nei Dialoghi metafisico-cosmologici - dell’opposizione infinita nelle sembianze naturali dello Spirito, definendo attraverso la nuova concezione dell’etere e degli elementi la sussistenza di una dialettica del desiderio materiale; infine determina – nei Dialoghi morali - la valenza morale e religiosa dell’opposizione infinita tramite l’avvento di una dialettica dell’eguaglianza. Tanto nel campo della naturalità, che in quello della moralità e della religione, il concetto dell’opposizione infinita permette il costituirsi di una apertura d’immaginazione, che si esprime nel primo contesto attraverso l’infinire dell’etere e nel secondo tramite l’infinire dell’amore.

Slancio infinito d’immaginazione ed infinitezza del desiderio costituiscono così l’apertura pluriversa della volontà intellettuale bruniana, capace di mantenere viva la pluralità nella natura, nella morale e nella religione attraverso la creatività e la dialetticità dell’unità ideale. Al contrario, la posizione assolutistica ed antibruniana, negando la materialità e la dialetticità operanti nel desiderio naturale, perde da subito il valore creativo dell’unità ideale, trasformandone lo slancio in un dominio astratto, separato e differenziante.

 



[i]  Gatti, H., Bruno nella cultura inglese dell’Ottocento, in Brunus redivivus. Momenti della fortuna di Giordano Bruno nel XIX secolo, a cura di E. Canone, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 1998, pag. 36.

[ii]  Bruno, G., Lampas triginta statuarum, in Opera Latine Conscripta, a cura di F. Fiorentino, V. Imbriani, C. Tallarico, F. Tocco e G. Vitelli,  Domenico Morano e Le Monnier, Napoli e Firenze, 1879-1891, Tom. III, Vol. VIII. Bruno, G., Lampas triginta statuarum, in Opere Magiche, sotto la direzione di M. Ciliberto, a cura di S. Bassi, E. Scaparrone, N. Tirinnanzi, Adelphi, Milano, 2000. I concetti di apertura, abisso e relazione devono essere confrontati con le ipostasi denominate rispettivamente Caos, Orco e Notte.

[iii]  È l’affermazione della apparente separabilità interna della materia bruniana.

[iv]  Bruno, G., Lampas triginta statuarum, cit. Nel testo bruniano le ipostasi Caos, Orco e Notte devono essere associate e combinate con le figure trinitarie del Padre (Mente), Figlio (Intelletto) e Spirito (Amore). L’affermazione filosofica bruniana dell’inscindibilità dell’Anima mundi trova così nell’unità infinita dello Spirito la propria corrispondenza teologica.

[v]  È questo il senso più profondo della frequente utilizzazione bruniana del mito di Atteone. Bruno, G., Candelaio, a cura di G. B. Squarotti, G. Einaudi Editore, Torino, 1964, pag. 27. Bruno, G., Dialoghi Italiani, a cura di G. Aquilecchia, Sansoni Editore, Firenze, 1985 (1958). Vol. II: Dialoghi morali, Spaccio de la Bestia trionfante, pag. 813. De gli Eroici furori, pag. 1006, 1008, 1124, 1125.

[vi]  Per il concetto di questa intenzione dell’originario e della sua creatività si può confrontare l’interpretazione portata da Ernesto Grassi proprio ai bruniani De gli Eroici furori. Blum, P. R., Der Heros des Ursprünglichen. Ernesto Grassi über Giordano Bruno,  in <<Bruniana&Campanelliana>>, IV, 1998/1. Pagg. 107-121. I termini soggetto, aggetto ed organo sono tratti nel loro senso, significato e reciproca disposizione dall’ars memoriae del De umbris idearum. Bruno G., De umbris idearum, in Opera Latine Conscripta, cit., Tom. II, Vol. V.

[vii]  Rascaglia, M., Bruno nell’epistolario e nei manoscritti di Bertrando Spaventa, in Brunus redivivus, cit., pag. 130.

[viii]  Bertrando Spaventa scrive: “<<una e medesima è la sostanza delle cose corporee o delle cose incorporee.>>” Ibidem.

[ix]  La nozione di applicatio, allora, può esprimere la molteplicità del soggetto e può costituire la creatività della vita in se stessa, la sua espressione dialettica. La trattazione della materia come potenza e come soggetto viene svolta da Giordano Bruno nel terzo dialogo del De la Causa, Principio e Uno. Bruno, G., Dialoghi Italiani, cit.. Vol. I: Dialoghi metafisici, De la Causa, Principio e Uno, pag. 279 e segg.

[x]  Rascaglia, M., Bruno nell’epistolario, cit., pag. 130.

[xi]  Ibidem.

[xii]  Bertrando Spaventa scrive: “<<In Bruno manca la Scienza, manca il sistema. Ma due cose rifulgono in lui e sono: 1. l’aver posto il principio dell’indifferenza de’ contrari e adombrato il metodo per riconoscere questo Principio. 2. l’aver detto che la magia (la scienza vera) profonda consiste nell’esplicazione dell’Identità mediante il movimento de’ contrari.>>” Ibi, pag. 135.

[xiii]  Gentile, G., Giordano Bruno, in Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere, Firenze, 1991 (1920), pagg. 60-120.

[xiv]  Badaloni, N., L’arte e il pensiero di Giordano Bruno, in Nicola Badaloni, Renato Barilli, Walter Moretti. Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma, Laterza, Roma-Bari, 1973, pagg. 56-78.

[xv]  È il tema socratico sviluppato nella Cabala del Cavallo pegaseo (con l’Aggiunta dell’Asino cillenico). Bruno, G., Dialoghi Italiani, cit.. Vol. II: Dialoghi morali, Cabala del Cavallo pegaseo (con l’Aggiunta dell’Asino cillenico).  

[xvi]  La comune tendenza all’egemonico, presente nel XVI secolo sia nell’ordine legislativo imperiale che in quello ecclesiastico, è sottolineato dalla relazione tenuta da Mario Sbriccoli (L’Inquisizione come apparato giuridico nella storia della criminalità e della giustizia penale), durante il Convegno Internazionale svoltosi a Montereale Valcellina (Pordenone): L’Inquisizione Romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale (23-24 settembre 1999). Né c’è motivo di dimenticare, relativamente al medesimo argomento, l’abbondante letteratura libertina.

[xvii]  Bruno, G., De triplici minimo et mensura, in Opera Latine Conscripta, cit., Tom. I, Vol. III. Bruno, G., Opere latine di Giordano Bruno, Il triplice minimo e la misura, a cura di C. Monti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1980.  

[xviii]  Firpo, L., Il processo di Giordano Bruno, Salerno Editrice, Roma, 1993 (1948-1949), pag. 109: “la lunga disputa, alterna di contestazioni, di arrendevolezze e di ripulse, che si disnoda nel corso del 1599, ebbe il suo terreno precipuo nel cuore della filosofia bruniana, sopra le tesi dell’infinita creazione senza tempo, dell’animazione universale e del moto terrestre.”

[xix]  Bruno, G., Dialoghi Italiani, cit.. Vol. II: Dialoghi morali, De gli Eroici furori, pag. 1026. “Tansillo. Se tu dimandi del mondo secondo la volgar significazione, cioè in quanto significa l'universo, dico che quello, per essere infinito e senza dimensione o misura, viene a essere inmobile ed inanimato ed informe, quantunque sia luogo de mondi infiniti mobili in esso, ed abbia spacio infinito, dove son tanti animali grandi, che son chiamati astri. Se dimandi secondo la significazione che tiene appresso gli veri filosofi, cioè in quanto significa ogni globo, ogni astro, come è questa terra, il corpo del sole, luna ed altri, dico che tal anima non ascende né descende, ma si volta in circolo. Cossì essendo composta de potenze superiori ed inferiori, con le superiori versa circa la divinitade, con l'inferiori circa la mole la qual vien da essa vivificata e mantenuta intra gli tropici della generazione e corrozione de le cose viventi in essi mondi, servando la propria vita eternamente: perché l'atto della divina providenza sempre con misura ed ordine medesimo, con divino calore e lume le conserva nell'ordinario e medesimo essere.”

[xx]  Qui trova giustificazione il costante irenismo erasmiano della speculazione bruniana.

[xxi]  Archetipo di questo concetto potrebbe essere la nozione aristotelica di sostrato.

[xxii]  Archetipo di questo concetto potrebbe essere la nozione platonica di impressione, poi sviluppata in quella aristotelica che prevede l’accostamento della potenza ad un atto prioritario, situato nei cieli eterei delle intelligenze motrici.

[xxiii]  Modo, attributo e sostanza sono termini pregnanti della riflessione spinoziana, qui esposti in un quadro di riferimento aristotelizzante.

[xxiv]  Hegel, G. W. F., Enciclopedia delle Scienze filosofiche (in Compendio). Heidelberg 1817, prima edizione. A cura di A. Tassi, Cappelli Editore, Bologna, 1985, pag. 123: “§ 192. La natura si è data come l’idea nella forma dell’esser-altro. Poiché in essa l’idea è come il negativo di se stessa ovvero è esterna a sé, non soltanto la natura è relativamente esteriore nei confronti di quest’idea, ma l’esteriorità costituisce la determinazione nella quale essa è in quanto natura.”

[xxv]  Ibi, pag. 193: “Lo spirito può esser detto soggettivo, in quanto è nel suo concetto. Poiché ora il concetto è la riflessione della sua universalità dalla sua particolarizzazione in sé, allora lo spirito soggettivo è a) quello immediato, lo spirito della natura, l’oggetto della comunemente cosiddetta antropologia ovvero l’anima; b) lo spirito come riflessione identica in sé e in altro, rapporto o particolarizzazione; coscienza, l’oggetto della fenomenologia dello spirito; c) lo spirito che è per-sé, ovvero esso come soggetto; l’oggetto dell’altrimenti cosiddetta psicologia. Nell’anima si risveglia la coscienza; la coscienza si afferma come ragione; e la ragione soggettiva si libera tramite la sua attività verso l’oggettività.”

[xxvi]  Bruno, G., Dialoghi Italiani, cit.. Vol. I: Dialoghi metafisici, De la Causa, Principio e Uno.

[xxvii]  Rascaglia, M., Bruno nell’epistolario, cit., pag. 189.

[xxviii]  Ibi, pagg. 189-190.