Due camerieri seri ed inappuntabili si alternarono al tavolo servendo il cibo e cambiando i piatti man mano che esso veniva consumato.
   Clelia, sempre più effervescente, familiarizzò con la nuova ed impensabile realtà. Chi avrebbe mai potuto predirle che sarebbe finita a cena con il comandante capo delle forze tedesche a Rieti?
   Nonostante l'avversione ideologica nei confronti dell'uomo, ora non provava alcun disagio. Il maggiore era un uomo di classe, che trattava con rispetto chi gli stava vicino, l'atmosfera della sala calda ed accogliente, il cibo buono, la speranza di riportare a casa i suoi uomini era più che un sogno: forse, dopo tanti patimenti, era finalmente giunto il suo giorno fortunato.
   "Signorina cara, vorrei venire al punto che le sta particolarmente a cuore." Clelia drizzò le orecchie. "Come le dissi prima, l'azione che ha visto partecipe il suo uomo è stata un grave atto di guerra. Però." e qui il maggiore fece un lunga pausa come un attore consumato.
   "Ecco che il lupo manifesta le sue intenzioni". Pensò Clelia cercando di indovinare le prossime mosse: non aveva minimamente dubbi che lui avesse intenzione di circuirla. Ma che lo avesse fatto! Lei avrebbe accettato qualsiasi compromesso pur di riportare a casa i suoi uomini! La bellezza era la sua unica arma e lei l'avrebbe sfruttata al meglio. Qualche anno prima, al Teatro dell'Opera di Roma, aveva assistito con il padre, amante dell'opera lirica, ad una rappresentazione della Tosca. Trovava ora singolari analogie tra l'opera di Puccini e la situazione del momento: lei era Tosca che implorava la salvezza dei suoi uomini. Il maggiore Hoeness era Scarpia, il perfido capo delle polizia francese, che la insidiava promettendole bugiardamente la liberazione dei suoi cari. Brigava forse il maggiore, malignamente come Scarpia, per ingannarla?
   Clelia confidava in cuor suo ovviamente che la conclusione fosse diversa, perché non osava credere che il maggiore potesse essere spregevole fino a quel punto.
   "Ma la guerra" pensò "trasforma qualsiasi uomo e uccide ogni sentimento. E forse anche il maggiore, dietro ai suoi modi gentili e rassicuranti, nasconde un'anima diabolica."
   Il volto dell'ufficiale tedesco divenne serio allorché riprese la parola e questo spaventò non poco Clelia che aspettò con trepidazione la fine del suo discorso. ".questo non accadrà.si rassicuri". Così concluse il maggiore.
   L'uomo prese fra le sue, le mani della giovane donna per meglio convincerla. Le mani calde del maggiore comunicarono alla donna quella sicurezza che le parole da sole non potevano dare. Clelia fissò gli occhi azzurri del tedesco ed entrò direttamente a contatto con la sua anima: sentì che era sincero. Rimase colpita dal suo sguardo limpido e trasparente. Per la prima volta la ragazza dimenticò il soldato e scoprì l'uomo. Lo vide bello e affascinante. Ne ammirò la bocca sensuale, i denti bianchi e regolari, il naso diritto, i capelli brizzolati: fino a qualche istante prima, era stato soltanto un uomo senza volto.
   "Questa guerra ha già fatto troppi morti. È ora di dire basta a tutta questa barbarie!" Disse amareggiato il maggiore.
   "Barbarie? Noi italiani combattiamo l'invasore!" Clelia aveva riacquistato un po' del suo coraggio e nel frangente si mostrò baldanzosa.
   La replica pacata dell'uomo non si fece attendere.
   "C'è differenza fra barbarie e barbarie?" La domanda cadde sulla coscienza della ragazza come un macigno.
   "Oh no, non c'è differenza, mi scusi." Ammise Clelia senza difficoltà, pentendosi di aver fatto una considerazione sciocca.
   "Fra qualche giorno, forse fra qualche ora, le armate dei generali Clark ed Alexander ci spingeranno oltre confine. Voi tornerete ad essere liberi. Noi pure. Perché in guerra nessuno è libero. Altri soldati sacrificheranno le loro giovani vite. Inutilmente. Noi tedeschi abbiamo volato troppo in alto e come Icaro ci siamo bruciati le ali. Questa follia è durata anche troppo!" L'uomo curvò le spalle come se avesse dovuto sopportare un grave peso."Avremmo dovuto conquistare le genti degli altri paesi con la cultura, con le arti, con l'intelligenza. Non con la forza.!"
   Quello che ora parlava era davvero un uomo stanco di combattere una guerra assurda e desideroso di riappropriarsi della sua vita, della sua identità, della sua umanità? Clelia lo sperò ardentemente.
   "Vede" proseguì l'ufficiale nel suo sfogo "non ho mai creduto che la guerra sia una cosa giusta. È stato sempre e solo un atto di violenza perpetrato dal più forte sul più debole. Ma gli uomini da sempre seguono questa strada. Non so se mai saranno in grado di seguirne un'altra."
   "Solo quando saranno i popoli a comandare sul serio!" La ragazza lanciò la sua proposta con convinzione.
   "I popoli? Sono le bestie più assetate di sangue. Guardi cosa il mio e il suo popolo sono stati capaci di fare!" Il maggiore mise spietatamente sotto gli occhi della donna una cruda e sanguinosa realtà.
   "I nostri popoli sono stati manipolati." Azzardò Clelia una difesa immediata, ma poco robusta a sostegno delle masse. Ma il maggiore la smontò immediatamente.
   "No, essi stessi hanno partorito i loro dittatori. Per dar corpo ai loro sogni mostruosi!"
   "Se i popoli sono bestie e creano i mostri che sappiamo, che futuro c'è  per l'umanità?"
   "Mia Clelia." La ragazza notò con sottile piacere che l'ufficiale per la prima volta l'aveva chiamata per nome.    ".non so risponderle. Vorrei tanto che l'orrore di questa guerra tenesse lontano per molto tempo gli uomini dai loro giocattoli di morte...! Stasera, di fronte al vostro fiero patriottismo, ho capito di essere un piccolo, anche se onesto, soldato. Ma io mi vanto di essere un musicista e grazie alla musica sono entrato in contatto con le anime dei più grandi compositori. E, credo di aver nobilitato il mio animo nel corso di tutti gli anni spesi a studiare le loro opere. Le prometto pertanto che salverò la vita ai suoi due uomini, anche se non potrò restituire loro la libertà. Sono e rimango un soldato anche in questi momenti difficili."



        

 

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