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Torna la neve al Nord
Temperature in forte calo
Allarme maltempo fino a domani. La perturbazione
si sta spostando nelle zone centro-meridionali


ROMA - Attesa per tutto l'inverno, la neve arriva finalmente sulle Alpi, dove è scesa copiosa dal Piemonte a Cortina. Su tutto l'arco alpino piemontese è fioccato ieri al di sopra degli 800-1000 metri, creando difficoltà alla circolazione. Ma la neve è caduta anche in pianura, a Torino e provincia, e in serata ha imbiancato pure Milano dove le temperature hanno subito una brusca diminuzione: da domani si prevede che scendano addirittura di 13 gradi. Al Nord, dove non nevica piove, almeno fino all'Alta Toscana. Ancora oggi e per i prossimi giorni gli esperti prevedono ancora neve sull'arco alpino, fino ai rilievi romagnoli e marchigiani, e pioggia nelle pianure. Il maltempo si sposterà poi al Centro e al Sud, dall'Abruzzo alla Puglia. I venti forti hanno portato la Protezione civile a prolungare l'allarme maltempo di almeno altre 48 ore. Vediamo la situazione nelle Regioni più colpite.

PIEMONTE. In provincia di Torino, al colle del Sestriere, tra le valli di Susa e Chisone, il manto di neve ha già raggiunto lo spessore del metro e mezzo e la località sciistica si raggiunge con difficoltà e solo con le catene. Sempre in Val di Susa il transito dei veicoli è difficoltoso anche al Colle del Monginevro, che porta in Francia. Tutta la viabilità sulle statali della valle è rallentata e Carabinieri e Polizia raccomandano prudenza. Sull'autostrada Torino-Frejus la circolazione è regolare, ma vi è l'obbligo delle catene. E le abbondanti precipitazioni (di pioggia e neve) su Torino e su tutto il Piemonte stanno causando numerosi disagi: chiuse alcune strade,interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, soprattutto nelle zone rurali e montane. I tecnici dell'Enel stanno lavorando per ripristinare il servizio, anche se le operazioni sono rallentate dalla difficoltà negli spostamenti.

LOMBARDIA - L'intensa perturbazione che sta interessando la Lombardia, con precipitazioni diffuse e abbondanti e neve anche a Milano, è destinata a intensificarsi. Secondo le indicazioni del bollettino nivometeorologico "oltre il limite boschivo saranno possibili distacchi di valanghe a lastroni di piccole e medie dimensioni". La neve che stava cadendo dalla mezzanotte nella zona di Milano, è stata probabilmente all'origine di un incidente mortale che si è verificato intorno alle 4,45 sulla Tangenziale Est, all'altezza dell'uscita per Linate, direzione Venezia. Una persona che viaggiava da sola ha perso il controllo della macchina e ha urtato contro il guardrail. L'impatto è stato talmente violento che l'uomo è stato sbalzato fuori dall'abitacolo attraverso il lunotto posteriore ed è morto sul colpo. Molte le difficoltà anche per la circolazione, con una decina di automobilisti che hanno dovuto chiedere l'intervento dei pompieri dopo essere usciti di strada. I problemi maggiori si registrano nella Bassa Comasca ma anche nella zona dell'Alto Lario, al confine con le province di Lecco e Sondrio. Ieri sera, nonostante lo stato di pre-allerta diramato dalla Protezione civile, alcuni paesi si sono trovati impreparati ad affrontare l'emergenza, con evidenti difficoltà per reperire un mezzo spazzaneve. Nelle zone montane come la Valle d'Intelvi e nel Triangolo Lariano la nevicata di queste ore ha permesso di far entrare in funzione a pieno regime gli impianti sciistici.

FRIULI - Disagi a Trieste per la Bora che è tornata a soffiare con una velocità media di 50-60 chilometri all'ora e raffiche che, secondo le rilevazioni dell'Istituto Nautico, hanno raggiunto i 134 chilometri orari. La Bora, che ha spazzato nebbia e smog che da alcuni giorni opprimevano la città di Trieste, si è leggermente attenuata (tra i 45-50 chilometri orari, con punte vicino ai 100 kmh) e - secondo le previsioni dell'Istituto Nautico - soffierà con la stessa intensità almeno fino a domani, quando dalla serata si dovrebbe avere un'attenuazione del fenomeno.
(16 febbraio 2002)


"Se la Rai sarà come Mediaset
diventiamo l'Unione Sovietica"
Ma, nel giorno dell'addio di Zaccaria, Gasparri rivendica
spazio per la destra: "La gente non si riconosce in questa tv"


CITTADELLA (PADOVA) - Nel giorno delle dimissioni di Roberto Zaccaria, l'equazione di Francesco Rutelli è: se la Rai diventa come Mediaset, l'Italia diventa come l'Urss. Il leader dell'Ulivo ritorna oggi sulle polemiche che accompagnano questo travagliato rinnovo del Cda della tv pubblica, senza ricorrere agli eufemismi. "No a una Rai che sia la 'succursale' di Mediaset - dice -. Il servizio pubblico radiotelevisivo deve essere un posto nel quale tutti possano parlare, tutte le opinioni si possono esprimere. E se Berlusconi pensasse di occupare tutto, di prendersi tutto, penso che pagherebbe un prezzo davanti agli italiani".

Perché sarebbe davvero troppo, articola Rutelli: "C'è già il conflitto di interessi irrisolto, già c'è un dominio con tre reti private che sono date da concessioni pubbliche. Quelle tre reti non gliele ha mica date lo spirito santo...". Per concludere con un interrogativo retorico di quelli che generalmente, a parti invertite, piacciono al Cavaliere: "Adesso, lui si vuole prendere anche le tre tv pubbliche, e che diventiamo l'Unione Sovietica?".

Un'eventualità che, se non sarà lo stesso leader di Forza Italia ad auto-limitarsi, dovrebbero essere Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini a scongiurare: "Se la Rai venisse occupata dal governo - aggiunge Rutelli - sarei seriamente preoccupato per la libertà di informazione in Italia. Ma confido che i due presidenti delle Camere non permettano questo e soprattutto confido che sappiano che ne va della loro autorevolezza come cariche istituzionali e non come espressione di una parte politica".

Parlando a un convegno romano di Alleanza Nazionale è intervenuto nel dibattito anche il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, dicendo che ormai la gente non si riconosce più nel servizio pubblico. "Abbiamo vinto le elezioni - ha detto Gasparri - e sarebbe ora che anche qualche nostra idea possa trovare spazi".

E sulle nomine dei vertici Rai, nel giorno in cui l'"odiato" presidente Roberto Zaccaria formalizza le sue dimissioni e come annunciato apre il suo sito Internet, il ministro ha aggiunto: "Sul quotidiano la 'Stampa' Fassino dice di essere andato da Casini per fare il nome di Donzelli. Non so nemmeno se sia legale. Amato il 14 gennaio scorso ha parlato di conflitto di interessi tra la sinistra e la Rai, perché la sinistra considera la Rai cosa sua. La sinistra sta litigando sul nome da lottizzare, e noi, invece, dovremmo mettere personaggi che vengono da Marte?... Comunque, per quanto mi riguarda ho suggerito a Fini un'ulteriore riflessione e rinvio, ma non ho indicato nomi a chi deve decidere, cioè al Presidente Casini".

(16 febbraio 2002)


La Fiat promuove l'intesa
tra Blair e Berlusconi


TORINO - "Una buona notizia". L'intesa sulla flessibilità siglata ieri dal premier Silvio Berlusconi e dal primo ministro inglese Tony Blair, incontra la benedizione della Fiat. "Questo patto dimostra che il valore della flessibilità è un valore che prescinde dalla coloritura politica dei governi che governano la ripresa" dice l'amministratore delegato dell'azienda torinese Paolo Cantarella.

Continua dunque a provocare reazioni l'incontro di ieri tra Blair e Berlusconi. Criticato da alcuni settori della sinistra che vedono in quel documento comune una sorta di patto scellerato, viene promosso da chi, come Cantarella, spiega che l'intesa dimostra "che le leggi dell'economia sono le leggi dell'economia, che dare più opportunità al mercato del lavoro non può che creare crescita". Chi si scandalizza per le diverse coloriture politiche dei protagonisti quindi, a giudizio del manager Fiat, sbaglia. "Che ci sia stato un accordo tra un governo di centrosinistra e uno di centrodestra è sicuramente una buona notizia" dice Cantarella.

E a chi gli domanda se l'intesa segna definitivamente il tramonto della logica del posto fisso Cantarella risponde: "Ci saranno mestieri in cui il posto fisso avrà un suo valore e ci saranno mestieri in cui cambiare fa parte integrante dell'essere attivi sul mercato del lavoro. Sicuramente, ciò che dobbiamo fare in questo Paese è avere un maggior numero di persone attive perché come numero di persone attive siamo agli ultimi posti in Europa. E questo non va bene".

L'intesa Berlusconi e Blair viene sottolineata positivamente anche dal ministro delle Attività produttive Antonio Marzano. "Il Paese e l'Europa in generale hanno bisogno di modernità e guai a rimanere su posizioni conservatrici".

(16 febbraio 2002)


Missile palestinese
su un kibbutz


GAZA - Il razzo è esploso alle prime luci del'alba. Un ordigno che non ha provocato vittime, ma che ha fatto salire la tensione. Estremisti palestinesi hanno attaccato un kibbutz in territorio ebraico, servendosi, molto probabilmente, di un razzo "Qassam II" di nuova generazione. Un'arma che gli integralisti di Hamas hanno in dotazione da poco tempo. Secondo l'esercito israeliano, l'ordigno si è abbattuto sul kibbutz di Kfar Aza, situato poco più a nord della Striscia di Gaza amministrata dall'Autorità nazionale palestinese.

L'attacco di oggi è la fotocopia di quello avvenuto domenica scorsa contro le comunità di Saal e Nakhal Oz. Fortunatamente, esattamente come una settimana fa, non sembra al momento che l'assalto abbia provocato vittime né danni materiali di particolare rilevanza. Il rischio è tuttavia che esso scateni a sua volta l'ennesima escalation di violenza.

L'uso di nuovi razzi segna un salto di qualità per gli estremisti palestinesi. Un portavoce militare ebraico ha precisato che il nuovo ricorso a razzi del tipo "Qassam II", evoluzione rispetto al vecchio modello di cui disponeva Hamas e in grado di colpire bersagli situati a una distanza maggiore, compresa tra i 5 e gli 8 chilometri, è considerato "altamente probabile" alla luce della stessa gittata raggiunta e dei primi riscontri risultati dai controlli effettuati sul posto da unità dell'Esercito.

Sul fronte della diplomazia, ieri sera non è passata, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la condanna della rappresaglia anti-palestinese, attuato nella striscia di Gaza. Si è ripiegato su una risoluzione in cui si esprime semplicemente "costernazione", e non anche riprovazione per quella operazione.

(16 febbraio 2002)


"Il revisionismo su Mani pulite
riapre la strada all'illegalità"


"Eccoci qui a ricordare i dieci anni di Mani Pulite in un clima di revisionismo, con una classe dirigente che vuole chiudere i conti con quella stagione e descrive l'offensiva dei giudici contro la corruzione come un'operazione di parte. Il revisionismo non serve solo a riscrivere la storia ma a legittimare una politica: in Italia il sistema delle regole è in piena regressione, perfino la Svizzera ci dà lezioni di etica. Ma non può durare in eterno questa parentesi autarchica, le contraddizioni con l'Europa prima o poi diventeranno esplosive".

Guido Rossi, il padre della Consob e dell'antitrust, rivede in Tangentopoli un passaggio decisivo per capire la storia d'Italia e le patologie della nostra democrazia: l'assalto al diritto, l'intreccio tra affarismo e politica, i patti scellerati fra capitalismo e governi, la mancanza di senso dello Stato, l'insofferenza verso le regole.

Lei non accetta l'equazione Mani Pulite-toghe rosse, l'idea che ci sia stato un accanimento del pool di Milano contro una parte della classe politica italiana? "Quella ricostruzione è una grossolana falsità. E' un errore fattuale perché parecchi protagonisti del pool come Di Pietro e Davigo, per esempio, sono tipici esponenti di un'ideologia moderata e conservatrice; neanche Borrelli credo sia mai stato di sinistra. Si vuole violentare una verità che in quel 1992 era evidente a tutti: il bubbone di Tangentopoli scoppiò perché il livello della corruzione aveva superato la soglia massima di tollerabilità sociale, come quando saltano gli argini e straripa il fiume. Si vuol dimenticare che i giovani industriali inneggiavano unanimi a Mani Pulite. E da che parte avrebbero dovuto stare? Quella dei giudici non era una rivoluzione, era semplicemente un'opera di supplenza, per restituire efficienza a un sistema capitalistico che stava soffocando sotto il peso di una corruzione da Terzo mondo. Il livello di commistione tra affari e politica era tale che ristabilire il rispetto della legge significava per forza far saltare una classe di governo".

Una corruzione a quei livelli diventava incompatibile con la firma proprio nel '92 del Trattato di Maastricht, un vincolo a risanare la finanza pubblica. Perché la sesta potenza industriale del mondo si era cacciata in quella situazione?
"Perché l'Italia aveva il maggiore Stato imprenditore del mondo occidentale: uno Stato invadente e lottizzato da interessi privati, non uno Stato regolatore. I politici si sentivano legittimati a trattare l'economia come roba loro. Un intero ceto dirigente della società civile - dalla borghesia industriale alle professioni - si era asservito al potere politico. Le grandi imprese avevano il massimo tornaconto: l'Italia di Tangentopoli era un gigantesco cartello, un capitalismo senza mercato. Fummo l'ultimo paese dell'Ocse a introdurre una legislazione antitrust, insieme con la Turchia. Ora vogliono riscrivere la storia dipingendo una magistratura persecutrice, ma in questo paese nessuno è mai andato in galera per un falso in bilancio, nessuno ha mai pagato risarcimenti "americani". Altro che giustizialismo. Senza il pool di Milano saremmo andati sempre più giù, verso una sindrome argentina. D'altra parte è storia antica. Dagli anni 70 la classe politica italiana ha considerato la magistratura come un nemico, dai tempi in cui Aldo Moro dichiarò che la Democrazia cristiana non poteva essere "messa sotto processo" e De Mita teorizzò che l'impresa pubblica non poteva essere processata per i finanziamenti ai partiti poiché facevano parte del suo scopo "semi-istituzionale". L'abolizione del falso in bilancio ha radici profonde".

Dieci anni dopo Mani pulite una maggioranza di italiani ha voluto al governo Berlusconi, che del ruolo dei giudici dà una lettura solo negativa.
"Evidentemente non fu una rivoluzione comunista quella del pool di Milano, visto che oggi Berlusconi è a Palazzo Chigi. Il rifiuto da parte dell'attuale classe di governo delle sentenze, il suo atteggiamento verso la giustizia, è uno dei tratti più inquietanti anche se non nuovo. La democrazia non vive solo di voto e di consensi. Si fonda innanzitutto sul rispetto della legge, sullo Stato di diritto. La Costituzione americana è costruita sul principio dei contropoteri, delle istituzioni che si controllano e si bilanciano a vicenda. La forza della legge e la sacralità dei verdetti giudiziari, godono di un rispetto generale che è il collante degli Stati Uniti. In Italia invece sulle regole stiamo facendo marcia indietro a gran velocità".

Allude alle rogatorie, al falso in bilancio, al conflitto d'interessi?
"Sulle rogatorie siamo ridotti a prendere lezioni di moderno diritto bancario dalla Svizzera, che fino a ieri non era certo considerata il tempio della trasparenza: oggi è molto più avanti di noi. La nuova disciplina del falso in bilancio consegna tutto il potere ai manager e a coloro che controllano le aziende grazie a strutture piramidali e scatole cinesi. I vizi storici del capitalismo italiano, dove i vecchi potentati comandano senza investire e senza rischiare, oggi godono di un'impunità ancora maggiore. Quella riforma del falso in bilancio è ormai agli atti ma non mi stanco di denunciarla: senza quel deterrente gli azionisti non saranno sicuri, l'illegalità è incoraggiata. La nuova normativa esclude la punibilità se la falsità o le omissioni "determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5%" e la relazione del governo recita che "si è stabilita una soglia quantitativa per la non punibilità così come ritenuta corretta dalla Sec negli Stati Uniti" . Ma la Sec ha sempre rigettato ogni pretesa di fissare una soglia quantitativa. La dichiarazione del governo italiano è spudoratamente falsa e non c'era alcuna necessità di far riferimento agli Stati Uniti per far passare una legge medioevale di dubbia costituzionalità. E' uno spettacolo indecente vedere il padronato italiano e qualche singolare personaggio della cosiddetta sinistra che inneggiano a queste leggi. Questa è un'imprenditoria che non ha cultura di mercato, non ha un'etica della responsabilità. Infine c'è il conflitto d'interessi: ho sempre detto che non bisogna vedere solo quello di Berlusconi perché in Italia il conflitto d'interesse è costume sociale, è una metastasi che penetra il tessuto politico ed economico. Ma non si potrà iniziare una moralizzazione se non si comincia dal caso più macroscopico. E il conflitto non è solo televisivo ma soprattutto giudiziario".

Da Chirac alla Enron: queste vicende non rischiano di dar ragione a chi dice che la corruzione c'è ovunque, ma negli altri paesi la magistratura non decapita la classe politica?
"La Francia o gli Stati Uniti non hanno i livelli di corruttela dell'Italia di Tangentopoli. In quanto al crack Enron, mi pare che il sistema americano cerchi regole più severe e controlli più efficaci. E' il contrario di quanto sta avvenendo in Italia, dove avanza la normalizzazione dell'illecito. Il caso Enron è la cartina di tornasole per controllare se la democrazia economica americana regge il colpo del più grande fallimento societario che abbia mai dovuto affrontare, che intacca le regole e la loro credibilità. La spinta a norme più efficaci ha il sostegno di una forza etica individuale del cittadino americano, che essendo diffusa diviene spinta sociale, e come aveva notato Tocqueville, sta alla base della democrazia di quel paese. Ricordo l'Ethics in Government Act che ha istituito un'agenzia indipendente per il controllo etico sui governanti. In Italia invece c'è un appiattimento generale sulla mancanza di principi e sul disprezzo delle regole. Il problema non è più chi è di destra e chi di sinistra, ma chi è convinto che le regole e le istituzioni debbono essere rispettate anche per ragioni morali".

Siamo il paese che per avere le regole minime di un capitalismo moderno ha dovuto aspettarle dall'esterno, dall'Europa o dalla globalizzazione.
"Ma ora facciamo marcia indietro, come nel caso delle rogatorie, del falso in bilancio o del mandato europeo di cattura. Sento crescere in una parte della nazione una insofferenza autarchica, ma il governo che la cavalca sta scherzando col fuoco. Roma legifera come se l'Europa non esistesse. Invece esiste eccome, e non c'è sopravvivenza per l'Italia fuori del grande mercato unico europeo. Le dinamiche di integrazione ci stritoleranno se non abbiamo mercati sicuri, aziende trasparenti. La logica della competitività, i flussi d'investimento e di innovazione ci isoleranno se non giochiamo con le stesse regole altrui. Altro che revisionismo: dieci anni dopo Mani Pulite il sistema non ha prodotto altri anticorpi, anzi sta producendo tossine. L'illegalità e l'opacità sono più che mai in mezzo a noi, e non possiamo permettercele a lungo senza subirne danni irreversibili".

(16 febbraio 2002)


Una famiglia, l'equipaggio
migliore per lo spazio


BOSTON - Ma. Parla inglese, ha un elevato livello di istruzione, è molto tollerante, ma soprattutto è una famiglia; ecco l'equipaggio ideale da imbarcare su un'astronave lanciata per un viaggio tra le stelle della durata di un secolo o due. A tracciare l'identikit dei perfetti viaggiatori interstellari è stato un gruppo di antropologi e linguisti americani che ieri ha presentato al meeting annuale dell'AAAS (American Association for the Advancement of Science) il risultato delle loro riflessioni su uno scenario improbabile ma non impossibile: che l'umanità trovi il propellente giusto per spedire qualche suo rappresentante verso una meta al di fuori del sistema solare, a distanze da coprire in non meno di sei-otto generazioni.

Ovviamente, un'impresa del genere rappresenta prima di tutto una sfida tecnologica. Ma la problematica umana non è da sottovalutare, se persino l'idea di mandare sette adulti eterosessuali verso Marte per un viaggio lungo al massimo tre anni ha fatto dire a un cosmonauta che ci sarebbero "tutte le condizioni necessarie per l'omicidio".

Chi scegliere allora per evitare che un'astronave "interstellare multigenerazionale", come la chiamano gli esperti della Nasa, si trasformi nell'anticamera del massacro? Escludendo soluzioni fantascientifiche come l'ibernazione, gli scienziati puntano sulla struttura sociale che, dicono, fino ad ora si è rivelata la più efficiente di tutte: la famiglia umana. Perfetta perché vi sono rappresentate tutte le fasce di età e perché garantisce sia la riproduzione della specie che i meccanismi di gerarchia e autorità indispensabili per la divisione dei compiti e il mantenimento della pace e dell'ordine.

Ma attenzione, non tutte le famiglie vanno bene. Un altro dei problemi di un viaggio multigenerazionale è garantire la diversità genetica e mantenere omogenea per due secoli la distribuzione dei sessi e delle età. Niente famiglie poligamiche, quindi, perché ci vorrebbero più donne che uomini e niente clan patrilineari o matrilineari, perché i rapporti di cuginanza finirebbero per confondere le carte entro pochissime generazioni. Insomma, l'unica adatta è la famiglia monogamica, possibilmente non troppo numerosa, in modo da aumentare la percentuale di persone che possono sposarsi senza essere imparentate tra loro.

L'equipaggio, circa 150-200 persone, dovrebbe quindi essere composto da più nuclei familiari, organizzati però collettivamente come una superfamiglia estesa (verrebbe voglia di parlare di tribù), con un suo sistema di parentele ed un regime di regole per i rapporti sessuali e il matrimonio. I membri della prima generazione (gli "antenati", insomma) dovrebbero avere un livello di istruzione e qualificazioni professionali molto elevati, in modo da trasmetterli ai discendenti. Poiché bisogna tutelare sia la varietà genetica che quella culturale, dovrebbero inoltre provenire da paesi e culture diverse, ma essere contemporaneamente molto tolleranti verso la diversità. Elemento comune indispensabile, invece, è la lingua. Che secondo Sarah Thomason, linguista del Michigan, è per forza l'inglese, dato che è la lingua più diffusa a livello mondiale e la parlano persone di ogni nazionalità.

(16 febbraio 2002)

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