L’ENIGMA DEL NON LOCALISMO

E IL TELETRASPORTO QUANTISTICO

 

(Articolo apparso sulla rivista scientifica "Newton")

 

di Tiziano Cantalupi

 

 

L’ENIGMA DEL NON LOCALISMO

Ci sono fatti e situazioni del micromondo -il mondo delle particelle elementari, il mondo che costituisce la struttura fine delle "cose"- che presentano aspetti straordinari a volte inquietanti e che, specie negli ultimi anni, sono diventati oggetto di studio e applicazioni pratiche. Prendiamo, ad esempio, il non localismo (ovvero la possibilità di azioni dirette a distanza) che si sperimenta in fisica quantistica e che non ha eguali o almeno non pare avere eguali alle dimensioni umane.

Nel mondo di tutti i giorni le influenze tra sistemi distanti non avvengono mai direttamente o in tempo reale. Un’epidemia d’influenza che nasce in Asia, ad esempio, non si diffonde immediatamente anche in Europa. Per arrivare nel nostro continente impiega un certo tempo ; occorrono settimane infatti perché gli individui infetti, spostandosi da un luogo all’altro della Terra, diffondano la malattia.

L’esempio (di localismo) appena fatto, non vale nel mondo della fisica quantistica dove le azioni dirette tra luoghi diversi dello spazio sono all’ordine del giorno, dove la materia manifesta proprietà impensabili per una logica umana, dove la realtà sembra divertirsi ad apparire irragionevole, quasi magica.

Le osservazioni appena fatte assumono un valore ancor più rilevante se si pensa che le più importanti scoperte scientifiche del ventesimo secolo si basano proprio sulla fisica dei quanti, proprio sulle "bizzarrie" della teoria quantistica.

La radioattività (e quindi la fisica atomica), il laser, i superconduttori, i superfluidi, i semiconduttori (e quindi la moderna tecnologia elettronica e dei computer), derivano da particolari effetti quantistici che vedono, ad esempio, significative quantità di energia scaturire (seppur per tempi brevissimi) dal nulla; oppure enti macroscopici le cui minute parti cooperano istantaneamente all’unisono per dare vita a nuovi fondamentali fenomeni.

Non localismo e ruolo dell’osservatore in fisica quantistica

Per avere un’idea chiara di non localismo quantistico si immagini di avere davanti a sé due scatole che contengono ognuna un guanto di un paio. E’ intuitivo che, ancora prima di guardare dentro le scatole, si avrà la certezza che esse conterranno un guanto con un "verso" ben definito : la scatola di destra, ad esempio, conterrà un guanto "destro", la scatola di sinistra un guanto "sinistro" e viceversa. Ora se anziché usare normali guanti, usassimo "guanti quantistici", ci renderemmo conto che il "verso" dei guanti nelle rispettive scatole, verrebbe definito solo nel momento in cui si guarda all’interno di una di esse. L’atto di guardare all’interno di una delle due scatole conferisce realtà alla coppia dei guanti, conferisce, a distanza (cioè non localmente), un "verso" al guanto non oggetto (in quel momento) di osservazione. Secondo il paradigma quantistico, prima dell’osservazione (della sperimentazione), prima che un osservatore (in fisica quantistica chi esegue un qualsiasi tipo di test viene definito "osservatore") decida di guardare dentro una delle scatole, i guanti "vivono" in uno stato indefinito, sovrapposto, entangled (intrecciato) come dicono gli inglesi; uno stato che vede i guanti "mischiati" in un unico ente : un guanto destro/sinistro.

Nell’ambito dell’interpretazione ortodossa della teoria quantistica,, l’interpretazione di Copenaghen, le caratteristiche oggettive di qualsiasi microente o coppia di microenti vengono definite solo nel momento in cui si compie un atto di osservazione, soltanto l’atto di osservare (sperimentare) risolve lo stato sovrapposto/indeterminato che caratterizza la materia.

Il quadro che emerge applicando le regole della fisica quantistica, mette in evidenza il ruolo esclusivo di colui che "osserva" (colui che sperimenta) per la definizione della realtà. Secondo il fisico tedesco Werner Heisenberg (padre del Principio di Indeterminazione) prima di qualsiasi osservazione, prima di un qualsiasi esperimento volto a determinare le caratteristiche fisiche (velocità, posizione, energia, ecc.) di una microparticella, questa "vive" soltanto in una dimensione "potenziale". E’ l’atto di osservare che "costringe" la microparticella a passare dallo "stato potenziale" allo "stato reale", a mostrarsi al mondo come ente che ha velocità, posizione, energia.

Appare evidente che la concezione quantistica della realtà, riporta (dopo secoli di dominio delle idee copernicane), l’uomo, l’osservatore, al centro della scena. Alcuni eminenti scienziati si sono spinti a ipotizzare che la teoria dei quanti abbia persino risolto l’enigma del rapporto mente-materia. Il ruolo che rivestono le scelte dell’osservatore, il quale può, ad esempio, decidere il momento di porre fine ad uno stato sovrapposto (e quindi far passare la materia dalla dimensione potenziale alla dimensione reale), mette in evidenza la funzione che i processi mentali possono avere per il "costruirsi" della realtà.

Non localismo : discussioni, conferme, problemi aperti

Si consideri il decadimento (la "disintegrazione") di un microente con la conseguente nascita di una coppia di particelle "gemelle" (nel gergo tecnico chiamate "particelle correlate") : diciamo due protoni.

Ora la logica dell'uomo della strada ci dice che se anche queste particelle venissero portate una sulla Luna e l’altra su Venere un eventuale esperimento condotto sul protone che si trova sul nostro satellite non potrebbe avere effetti sul protone che si trova su Venere.

Questo ci dice il buon senso e dicevano anche (nel 1935) i fisici Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen, quando, nell’intento di dimostrare l’incompletezza della neonata teoria quantistica, scrivevano una serie di articoli ipercritici fra i quali uno famosissimo intitolato : "Can quantum-mechanical description of physical reality be considered complete ? " (Può la descrizione quanto-meccanica della realtà fisica essere considerata completa ?).

In particolare Einstein, riguardo il non localismo insito e previsto dalla teoria quantistica, scriveva : "Un aspetto essenziale delle cose della fisica è che a un certo momento esse possono affermare la loro esistenza indipendente le une dalle altre, purché situate in parti diverse dello spazio. Se non si fa questo tipo di ipotesi circa l’indipendente esistenza degli oggetti che sono lontani l’uno dall’altro nello spazio il pensiero fisico nel senso familiare diventa impossibile ... La seguente idea caratterizza l’indipendenza relativa di oggetti lontani nello spazio (A e B); un’influenza esterna su A non ha influenza diretta su B ... Se questo assioma dovesse essere abolito la formulazione di leggi che possono essere controllate empiricamente nel senso accettato diventerebbe impossibile."

Nel passo appena citato Einstein è categorico nel ribadire l’assoluta indipendenza degli oggetti lontani nello spazio, pena il caos nella fisica.

Su posizioni diametralmente opposte si collocano gli esponenti della scuola della fisica quantistica ortodossa, i quali attraverso le parole del loro massimo esponente, N. Bohr, stigmatizzano :

"Anche se due fotoni [correlati] si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un unico ente ... e l’azione compiuta su uno di essi avrebbe effetti anche sull’altro … "

Pur con una terminologia leggermente diversa rispetto a quella di Einstein e compagni (Bohr infatti parla di "unicità della materia", di "inseparabilità della materia", non di non localismo), i quantistici ribadiscono che il destino di qualsiasi particella correlata deve essere comune all’interno dell’evoluzione spazio-temporale della coppia.

La contrapposizione tra gli esponenti della scuola di Copenaghen da una parte, e coloro che si riconoscevano nelle posizioni di Einstein dall’altra, ebbe il suo epilogo nel 1982 quando Alain Aspect dell’Università di Parigi approntò una serie di avanzatissimi esperimenti i quali dimostrarono inequivocabilmente la giustezza delle posizioni sostenute dai fisici quantistici.

"Nel 1982 venne infine la soluzione, la quale fu accettata come definitiva dal mondo dei fisici. La natura non obbediva alle leggi del Realismo Locale, la meccanica quantistica celebrò il suo trionfo, e la nostra comprensione della realtà del mondo naturale diventò più complessa."

David Lindley

Gli esperimenti condotti oltralpe da Aspect prevedevano che una coppia di fotoni correlati (nati dalla "disintegrazione" di un atomo di Calcio) venissero separati e lanciati verso rivelatori lontani, i quali a loro volta dovevano misurare il comportamento dei fotoni dopo che lungo la traiettoria di uno di essi veniva casualmente inserito un "filtro" che ne modificava la direzione.

Ora il risultato dei test di Aspect dimostrò che, allorquando uno dei due fotoni deviava in seguito all’interazione col "filtro" posto lungo il suo cammino, istantaneamente deviava anche l’altro, benché si trovasse spazialmente separato (per l’esattezza distanziato tredici metri : uno spazio enorme per particelle di dimensioni subnucleari).

Il fatto straordinario (già previsto e temuto da Einstein sin dal 1935) delle esperienze condotte all’Università di Parigi non si rivelò tanto la conferma del non localismo, delle azioni a distanza, quanto l’evidenza che queste azioni avvenivano praticamente "in tempo reale", quasi ci fosse tra le particelle correlate una trasmissione di informazioni istantanea : violando l’insuperabilità della velocità della luce.

Il non localismo (o la non separabilità per dirla con le parole dei fisici quantistici), ci presenta uno spazio-tempo agli antipodi rispetto alle concezioni classiche, rispetto a quello che si è abituati a sperimentare ogni giorno.

Alle soglie del terzo millennio, probabilmente, la rappresentazione di uno spazio (e in parte anche di un tempo) come categoria a priori non ha più senso. Scienziati e filosofi di oggi sono chiamati a "progettare" nuovi scenari entro i quali pensare l’evoluzione dei processi fisici; nuovi scenari che diano una risposta convincente alle bizzarrie di una "natura" che col progredire della scienza si dimostra sempre più complessa.

 

GLI ESPERIMENTI DI ALAIN ASPECT

Nel 1982 Alain Aspect con la collaborazione di due ricercatori, J. Dalibard e G. Roger, dell’Istituto di Ottica dell’Università di Parigi, raccolse la sfida per una rigorosa verifica delle ipotesi "non localistiche" della teoria quantistica. Egli realizzò una serie di apparecchiature sofisticatissime nel campo dell’ottica-fisica, le quali permisero di risolvere il contenzioso che ormai da mezzo secolo opponeva i fisici che si riconoscevano nelle posizioni "classiche" (Einstein, ecc.), con i fisici quantistici della "scuola di Copenaghen".

Nella figura di seguito riportata vediamo una schematizzazione delle apparecchiature utilizzate da Aspect e collaboratori nei loro esperimenti. Al centro si trova un atomo di Calcio il cui decadimento produce una coppia di fotoni correlati che si muovono lungo percorsi opposti. Lungo uno di questi percorsi (nel caso rappresentato in figura, il Percorso A), di tanto in tanto e in maniera del tutto casuale, viene inserito un "filtro" (un Cristallo Birifrangente) il quale, una volta che un fotone interagisce con esso, può, con una probabilità del 50 %, deviarlo oppure lasciarlo proseguire indisturbato per la sua strada. Agli estremi di ogni tragitto previsto per ciascun fotone è posto un rivelatore di fotoni.

Ora, la cosa straordinaria verificata da Aspect con le sue apparecchiature è che nel momento in cui lungo il Percorso A veniva inserito il Cristallo Birifrangente e si produceva una deviazione verso il rivelatore c del fotone 1, anche il fotone 2 (ovvero il fotone del Percorso B; il fotone separato e senza "ostacoli" davanti), "spontaneamente" ed istantaneamente, deviava verso il rivelatore d. Praticamente l’atto di inserire il Cristallo Birifrangente con la conseguente deviazione del fotone 1, produceva un effetto istantaneo a distanza sul fotone 2, inducendolo a deviare.

Tutto ciò può sembrare strano, ma è quello che effettivamente accade quando si eseguono esperimenti su coppie di particelle correlate. Queste bizzarrie della natura comunque, precisano i fisici quantistici ortodossi, sono tali solo se si ragiona secondo una "logica classica". In uno scenario ove si immagina che qualsiasi sistema correlato possa godere della prerogativa di non risentire della distanza spaziale, tutto risulta semplificato, "normale". Abbandonando l’idea che le particelle correlate separate rappresentino enti distinti, scompaiono -dato che si passa da contesti ove le azioni si sviluppano tra luoghi diversi dello spazio a contesti ove le azioni avvengono nel "medesimo luogo"- buona parte degli ostacoli concettuali (e di fatto) che impediscono una comunicazione o un’azione a distanza.

 

 

IL TELETRASPORTO QUANTISTICO

Le possibilità che offre la fisica quantistica di disporre di sistemi che possono agire non localmente, unitamente al bagaglio di esperienze tecniche accumulate a partire dai primi lavori di Alain Aspect, aprì le porte (all’inizio degli anni novanta) alla possibilità di "trasferire" (teletrasportare) piccoli "pezzi di materia" da una parte all’altra dello spazio.

Il teletrasporto nell’immaginario collettivo è quello che si è abituati a vedere nei film di fantascienza. Un viaggiatore entra in una delle due cabine adibite al teletrasporto, e dopo una scansione di alcuni istanti si trova smaterializzato in una e materializzato nell'altra distante qualche metro o qualche migliaio di chilometri. Tutto questo praticamente in tempo reale e senza l’ausilio di alcun mezzo di trasporto.

"Purtroppo" questo tipo di teletrasporto per le attuali conoscenze è lontanissimo dal trovare applicazione pratica, poiché per trasferire anche l’oggetto più semplice, occorre avere accesso contemporaneo alla posizione e alla velocità di ogni elemento che compone l’oggetto stesso, la qual cosa è preclusa dal Principio di Indeterminazione. Nel caso invece in cui ad essere teletrasportate siano le "caratteristiche" (gli stati quantici) che contraddistinguono un singolo ente, ad esempio un fotone (la particella fondamentale della luce), la meccanica quantistica con le sue strane leggi ci viene in aiuto.

Qualche scettico potrebbe obiettare che teletrasportare le "caratteristiche" di un singolo fotone non equivale a trasferire materialmente il fotone ; ma se noi, un giorno, partiti per un viaggio, trovassimo un cane uguale al nostro, con lo stesso tatuaggio, che scodinzola quando ci vede, saremmo costretti a pensare che è proprio il nostro cane, anche se avremmo giurato di averlo lasciato a casa.

Una delle "caratteristiche" fondamentali dei fotoni che oggi può essere teletrasportata è lo stato di polarizzazione. La polarizzazione della luce può essere compresa in termini di fenomeno ondulatorio. Le onde luminose che ci giungono dal sole o da qualsiasi fonte artificiale si propagano in tutte le maniere, orizzontalmente, verticalmente e in tutte le direzioni intermedie. Se, però, tra noi e la sorgente luminosa viene posto, ad esempio, un "filtro" con fenditure verticali, ai nostri occhi giungerà soltanto la componente verticale della luce, mentre tutte le altre componenti verranno riflesse o assorbite. Con il nostro "filtro" avremo così creato/ottenuto onde luminose con stato di polarizzazione verticale.

Un classico esempio di "filtro" che lascia passare solo onde con polarizzazione verticale, e che si incontra nella vita di tutti i giorni, è l’occhiale polaroid. Le lenti di questo "oggetto", infatti, sono state trattate in modo che tutte le molecole che le compongono sono orientate in direzione verticale, con la conseguenza che le onde luminose con polarizzazione orizzontale (cioè quelle più dannose per gli occhi) che le colpiscono vengono totalmente riflesse.

In precedenza si sottolineava come una delle "caratteristiche" dei fotoni che può essere teletrasportata è la stato di polarizzazione ; a permettere ciò è il non localismo quantistico.

Si immagini, come nella figura di seguito riportata, che si debba teletrasportare lo stato di polarizzazione di un fotone (il fotone X) dalla Cabina Alfa alla Cabina Beta.

Il primo passo per ottenere ciò, è produrre una coppia di fotoni correlati A e B diretti rispettivamente verso le Cabine Alfa e Beta. I fotoni correlati hanno la prerogativa di "nascere" sempre con polarizzazione indefinita; solo la misurazione della stessa su uno di essi produce effetti istantanei e non locali sull'altro, facendogli assumere una polarizzazione definita.

Insieme ai fotoni A e B verrà originato anche il fotone X (il fotone il cui stato di polarizzazione dovrà essere teletrasportato) il quale dopo aver attraversato un "filtro" si dirigerà verso la Cabina Alfa con una determinata polarizzazione.

 

A questo punto i fotoni A e X vengono fatti interagire, portando a compimento quello che in gergo tecnico viene chiamata una misura coniugata. La fisica quantistica ci dice che, eseguendo una misura coniugata dei fotoni A e X, si ottiene un mutamento istantaneo a distanza del fotone B, il quale assumerà, nel 25 % dei casi, la medesima polarizzazione del fotone X.

In questo modo grazie al non localismo quantistico, nella Cabina Beta, avremo una copia identica (per polarizzazione, ovviamente) del fotone X.

E’ d’obbligo precisare che con il teletrasporto quantistico non possono ottenersi due o più cloni del fotone originale, poiché l’interazione tra A e X "distrugge" queste due particelle. Occorre precisare inoltre che il dispositivo di teletrasporto appena descritto, non può essere utilizzato per inviare messaggi a velocità superluminale.

Il fatto che nella Cabina Beta si abbia un mutamento del fotone B praticamente in tempo reale rispetto all'interazione tra A e X, non garantisce però che il fotone B sia effettivamente uguale a X; questa certezza la può avere solo un "osservatore" che verifichi direttamente l'interazione A - X. Come si diceva dianzi il fotone B assume la stessa polarizzazione di X solo nel 25 % dei casi. Ora, una volta che l'osservatore nella Cabina Alfa ha verificato che l'interazione tra A e X ha dato l'esito sperato: l'esito che prevede che B sia uguale a X, comunicherà per via "convenzionale" (radio, telefono) il risultato (positivo) dell'interazione alla Cabina Beta. A questo punto e solo a questo punto nella Cabina Beta si avrà la certezza che il fotone presente in essa è una copia esatta di X.

Gli esperimenti che hanno condotto alla realizzazione del teletrasporto quantistico effettuati da Anton Zeilinger dell’Università di Vienna e da Francesco De Martini dell’Università di Roma, ben più complessi di quelli appena illustrati, hanno dimostrato che il teletrasporto è possibile.

Un’applicazione importante del teletrasporto quantistico nell’immediato potrebbe avvenire nel campo del trasferimento di dati tra elaboratori o direttamente nel calcolo quantistico. I notevoli progressi nel campo del trattamento dei sistemi correlati ottenuti dai gruppi viennese e romano fanno inoltre ritenere che la strada per arrivare al teletrasporto di entità complesse (ad esempio molecole organiche) non è poi così lontana.