Graziano Cavallini (Università di Milano)

 

LA CONOSCENZA COME COMBINAZIONE

DI EFFETTIVO E IPOTETICO

 

 

Noi abbiamo due espressioni: mondo (Welt) e natura,

che talvolta si scambiano tra loro.

La prima significa il tutto matematico di tutti i fenomeni

e la totalità della loro sintesi […] .

Ma questo stesso mondo è detto natura,

in quanto vien considerato […] nell'esistenza dei fenomeni

Kant [1963], p. 356

 

Forse si dovrebbe separare l'elemento soggettivo

da quello oggettivo nella funzione d'onda di Schrödinger,

cosa che finora non è stata affatto dimostrata impossibile

Wang [1984], p. 22

 

 

CHE COS'è LA METAFISICA

L'incapacità di chiarire la relazione tra componenti empiriche e componenti ideali della conoscenza è all'origine di difficoltà fondamentali. In particolare, ne deriva la questione della metafisica.

Il termine di "metafisica" è usato in accezioni molto varie. Bisognerebbe, invece, conseguirne una definizione rigorosa e univoca, precisando le condizioni necessarie e sufficienti perché si dia davvero metafisica. Questo chiarirebbe la natura della conoscenza.

Un riferimento utile è la critica kantiana, che definisce "metafisica" ogni asserzione interamente fondata su dati a priori (Kant [1963], p. 68). Successivamente, a parte il riconoscimento dello stesso Comte di come sia impossibile conoscere senza basarsi su idee preformate (Comte [1968-1969]), è noto che autori quali Popper ([1970]) e Bachelard ([1978]) hanno avviato la reazione al positivismo con il segnalare l'inevitabilità delle idee indimostrate, che essi ritengono per ciò steso metafisiche, nella conoscenza. Ma lo avevano già riconosciuto sia da Duhem ([1978]) all'inizio del secolo, sia Einstein ([1954]), al quale Popper si è ispirato. Popper include nella metafisica la matematica, correttamente rispetto alla sua visione della scienza.

In tutte queste concezioni la metafisica è concepita come il complesso e il piano delle affermazioni per principio inverificabili. Vi sono comprese ovviamente le componenti della conoscenza ammesse implicitamente senza controllarle perché non si è consapevoli della necessità di verificarle. Tipiche al riguardo sono le idee tradizionali indiscusse, come lo erano fino al 1905, prima dell'articolo di Einstein sulla relatività ristretta, quelle di tempo e di spazio omogenei, e di simultaneità, o fino al 1925, prima dell'articolo di Heisenberg sull'indeterminazione degli oggetti quantici, quelle di oggetto completamente definito e di proprietà permanenti. Costituiscono metafisica anche le conseguenze conoscitive incontrollate delle strutture linguistiche e degli usi linguistici abituali dei quali non è stata dimostrata la fondatezza, oppure che vengono applicati in ambiti rispetto ai quali non ne è stata dimostrata la validità.

Una ragione fondamentale della metafisica consiste dunque nel fatto che i sistemi di pensiero e i modi di pensare sono sempre storicamente e culturalmente condizionati. Manca perciò qualunque garanzia che le realtà alle quali sono ritenuti corrispondere siano state accertate in maniera completa e definitiva, tale che non potranno mai più venire modificate o addirittura smentite. Aver formulato con piena coscienza questo principio è stata la grande lezione di Popper.

Occorre, allora, rendersi conto che qualunque sistema di pensiero o teoria ha un valore soltanto relativo e stocastico, per la limitatezza delle esperienze e delle idee su cui si basa. In definitiva, la conoscenza ha natura probabilistica rispetto all'ideale di realtà completa, ed è approssimativa rispetto a quello di realtà determinata in maniera esaustiva e definitiva (Born [1962]). Generalizzando, risultano impossibili definizioni neutre e corrispondenze esaustive perfette tra esse e i loro referenti presunti come già costituiti in forme indipendenti da esse. Una simile divaricazione inevitabile riguarda qualunque tipo di fenomeni: che si pensi a oggetti, o a eventi, o a proprietà, o a relazioni.

 

VIZI DELL'IDEA DI COSTITUENTI PRIMI DELLA REALTÀ

Nelle concezioni tradizionali persiste la convinzione dell'indipendenza dal pensiero della realtà fisica e dei suoi attributi intrinseci. Quella convinzione trascura che invece è giusto il pensiero che struttura, e così costituisce, le idee che ci facciamo tanto di realtà quanto di suoi attributi.

A essere fuorviante non è l'idea di realtà indipendente, che corrisponde alla constatazione della permanenza di costanti e di vincoli dell'esperienza e della conoscenza esterni a esse. Quell'idea esprime correttamente tali costanti e vincoli. A ingannare è l'idea che una simile realtà deva essere esattamente come noi la concepiamo, che deva essere costituita necessariamente da oggetti permanenti definiti, dotati di proprietà permanenti definite.

Niente ci autorizza a pensarlo. Il riscontro di costanti e di vincoli dell'esperienza e della conoscenza, indipendenti da queste, ci autorizza e ci obbliga a ritenere che vi sia qualcosa prima, e al di là di esse. Ma circa la natura di quel qualcosa non ci dice null'altro che esso deve o esistere in modi che diano luogo a nostre interazioni costanti e vincolate dall'esterno, o prodursi in forme costanti e vincolate dall'esterno in ogni interazione compiuta in condizioni reciprocamente equivalenti.

Significativo al riguardo è che la materia compare nelle interazioni, e che nulla possiamo dire circa la sua esistenza o meno, ed eventualmente circa la sua natura, al di fuori di queste. Ora, si è sempre identificato nella materia il riferimento fondamentale della realtà, e proprio questo aveva indotto Newton a concepire i costituenti primi della materia e della realtà come corpuscoli eterni, indivisibili, indistruttibili e incorruttibili (Newton [1952]). Ma dopo la comprensione di Kant, che sono accessibili solo i fenomeni, mentre l'essenza ultima della realtà è inconoscibile, ignorare questa consapevolezza vuol dire ricadere nelle concezioni ingenue precedenti.

Effettive sono solo le interazioni, e in esse sono congiunte in maniera inscindibile sia componenti fisiche sia componenti logiche e immaginative insite nei modi di pensare tanto storici quanto personali. Inoltre, mentre Kant concepiva le strutture mentali come innate, la psicologia attuale ce le fa concepire come storiche e dovute all'interiorizzazione della cultura (Cavallini 2001b).

I contenuti di conoscenza vengono progressivamente determinati come sintesi di costanti individuate nella variabilità dell'esperienza e nelle sue trasformazioni, tanto nell'esperienza comune (Nelson [1986]) quanto in scienza (Agazzi [1969]). Tuttavia, come segnalava Duhem (([1978]), le idee che possiamo farci delle costanti sono sempre solo parziali, in quanto valgono solo entro quadri teoretici globali. Nessuna evidenza può essere stabilita di per sé indipendentemente dal sistema teoretico nei cui termini essa è determinata. Tanto le sue convalide quanto le sue smentite coinvolgono in realtà l'intero quadro teoretico applicato. Nel caso delle smentite, non si può dire quale parte di questo risulta falsa, e che sia proprio l'evidenza considerata a esserlo anziché qualche altra componente della teoria.

Una simile conclusione deve venire generalizzata a qualunque concezione storica e a qualunque ambito esperienziale, i quali sono entrambi, come le teorie, sempre culturalmente e fattualmente determinati e delimitati. Una tale interdipendenza tra concezioni e fatti accertati spiega come teorie alternative riguardo a un medesimo ambito fenomenologico abbiano potuto risultare pienamente soddisfacenti ciascuna nel proprio raggio di applicabilità, tanto da apparire, ciascuna nella propria epoca, in perfetta corrispondenza con la realtà ipotizzata, e cioè da apparire la descrizione vera della realtà ritenuta assoluta.

Un'identica situazione rende valide in fisica quantistica sia la teoria corpuscolare sia quella ondulatoria, ciascuna in riferimento a esiti sperimentali rispettivamente compatibili solo con l'una e non con l'altra. Anche in questo caso non si può separare il tipo di esperimento compiuto e di risultato ottenuto dalla teoria applicata nell'allestire e nel condurre ogni dato esperimento e nell'interpretare ogni dato risultato. Perciò non si può credere che i dati trovati siano evidenze sicure indipendenti dalle interpretazioni con le quali li si definisce.

Le teorie formalizzate sono sempre pensate come rappresentazione schematica più o meno completa di una realtà indipendente, definita o intuita in qualche modo assoluto, cioè indipendente dalla rappresentazione scelta […]. Ebbene non c'è nessuna speranza di dare una formulazione plausibile di tale idea […]: se un sistema formale è sintatticamente consistente, allora ha un modello (parte positiva del teorema), ma è anche vero, come risulta dalla dimostrazione, che tale modello non ha una realtà separata dalla teoria; è infatti costruito sui termini della teoria, tutto con materiale sintattico. Per di più, banali e inessenziali modificazioni linguistiche della teoria comportano modelli non isomorfi" (Lolli 1985b, pp. 298-299).

In specifico, nel caso della fisica quantistica i dilemmi e gli apparenti paradossi scompaiono appena si evita di includere nelle interpretazioni sia dei dati sperimentali sia del formalismo quantistico l'idea pregiudiziale di realtà indipendente dalle interazioni. Infatti, quest'idea è conforme alla fisica classica e al senso comune, ma estranea alla fisica quantistica e incompatibile con essa (Cavallini 2001a).

Quello che sfugge al senso comune e alla fisica classica è che non si è mai posti di fronte a dei dati puramente empirici. Quelli che riteniamo tali vengono in verità sempre determinati completando i contenuti fattuali che rientrano nelle sensazioni con dati virtuali forniti dalle conoscenze già possedute e da ipotesi anche inconscie che formuliamo ritenendole concordi tanto con quei contenuti fattuali quanto con quelle conoscenze. Sebbene siamo portati a credere che le conoscenze richiamate e le ipotesi suggerite o comunque immaginate nella percezione dei fenomeni coincidano con i dati di fatto, in realtà non è detto che sia così. Nei casi più fortunati non vi contrastano.

Sempre, in generale, anche nell'esperienza quotidiana e con le concezioni di senso comune, completiamo gli stimoli fisici con le idee che abbiamo e con quelle che riusciamo a concepire e che effettivamente ci vien fatto di concepire di fronte a quegli stimoli. Le teorie scientifiche sono forme specialistiche delle concezioni in genere, e servono anch'esse, come queste, a inquadrare, completare e interpretare i contenuti sensoriali: vale a dire a surrogarvi le parti mancanti, a congiungerli in unità strutturate e ad attribuire loro, così, dei significati noti o comunque compatibili con tutto il resto delle conoscenze ritenute valide, cioè con le idee che abbiamo di realtà.

Le teorie scientifiche consentono di operare inquadramenti, completamenti, strutturazioni e interpretazioni più rigorosi, coerenti, sistematici e controllati di quelli propri del senso comune. Ma ciò non toglie che siano costruzioni ipotetiche al pari delle idee di senso comune, e che, come queste, possano limitarsi a non contraddire i contenuti fattuali delle esperienze, o possano contraddirli senza che ce ne rendiamo conto. Devono "salvare i fenomeni", ma non possono mai garantirne la natura in assoluto.

Le ricerche sperimentali rivelano che mediamente in ogni atto percettivo le conoscenze precedenti e gli apporti ipotetici costituiscono circa l'80% contro circa il 20% di stimoli fisici. Altrettanto, gli studi di filosofia della scienza hanno dimostrato la presenza inevitabile, sempre, di componenti teoretiche e ipotetiche nei dati sperimentali e in quelle che ci appaiono come constatazioni di fatto. In questo senso possiamo dire che i contenuti dell'esperienza e della conoscenza sono costruiti. Verosimilmente dobbiamo dirlo. Lo stesso vale per l'idea di realtà.

LE DISCIPLINE COSTITUISCONO I PROPRI OGGETTI

Agazzi ([1969] e [1979]) precisa che ai contenuti delle sensazioni corrisponde un'idea generica di "cosa", perché essi restano indefiniti finché non sono interpretati, e cioè completati e strutturati con le nostre conoscenze, e così convertiti in dati significativi. I contenuti di conoscenza sono invece "oggetti" specifici ben determinati grazie a quelle integrazioni e strutturazioni che li collegano a interi sistemi di conoscenza pertinenti. Egli segnala inoltre, complementarmente, che le discipline costituiscono i propri oggetti nel momento stesso in cui circoscrivono degli ambiti di significato specifici (Agazzi [1969] e [1979]).

Entrambe queste puntualizzazioni indicano che gli oggetti di conoscenza sono dei costrutti teorici suscettibili di essere messi in corrispondenza con i contenuti empirici secondo la modalità tipica del rapporto tra teorie e loro modelli o interpretazioni. Di fatto, poi, le teorie vengono sempre messe in corrispondenza con i contenuti empirici pertinenti. Ma esse sono sempre generali, e sempre solo formali; mentre sono i contenuti che ne costituiscono i modelli o le interpretazioni empirici a essere fattuali.

Tuttavia, anche questo riconoscimento delle evidenze empiriche come di fatti è ambiguo se non viene precisato. Sappiamo che nelle evidenze empiriche entrano costitutivamente in misura elevata componenti ipotetiche che non sono fatti in senso proprio. Meglio allora precisare che normalmente si intendono per evidenze empiriche, o dati di fatto, dei sistemi inscindibili di stimoli fisici e di conoscenze o ipotesi circoscritti a oggetti specifici.

Non ha alcuna rilevanza che questi oggetti siano ritenuti concreti, come una massa, o astratti, come un numero. Rilevante è che si tratti di oggetti definiti che sono messi in stretta corrispondenza con osservabili, al punto da farveli coincidere. Che si prenda la massa di un corpo, o il numero di un insieme di oggetti, sia "massa" sia "numero" sono concetti astratti con i quali si unificano in unità di percezione le relative sensazioni.

Anche oggetti concreti comuni quali un tavolo, una mela, dell'acqua, si presentano in realtà nell'esperienza come insiemi incompleti di stimoli, tuttavia sufficientemente correlati entro ciascuna delle diverse modalità sensoriali coinvolte, e tra di esse, da poter essere identificati come unità strutturate. Ma, per il vero, a strutturarle sono le idee che vi corrispondono. Complementarmente, le idee astratte hanno significato perché sono messe in corrispondenza con insiemi di stimoli che ne indicano i tipi di contenuti empirici nell'atto stesso in cui questi stimoli vengono integrati e strutturati in unità significative dalle idee che vi si applicano. Ma sempre le idee sono astratte: quelle di tavolo, di mela, di acqua, non meno che quelle di giorno, di fiume, di montagna, di figura geometrica, di giustizia, di simmetria. Sempre le idee e i nomi, in quanto tali, indicano delle classi, non degli esemplari (Locke [1994], pp. 462-463; Vygotskij [1992], p. 14; Sapir [1969], pp. 12-13).

Bateson [1984] denuncia che spesso, anche nelle argomentazioni che si vorrebbero scientifiche, si fa scarso uso della distinzione russelliana dei tipi logici, che imporrebbe di distinguere sempre nettamente non solo classi e individui, generale e particolare, ipotetico ed effettivo, ma più precisamente gli ordini di astrazione dei diversi livelli ai quali possono essere collocati i contenuti di pensiero. Le teorie costituiscono sempre dei quadri generali rispetto ai fenomeni di pertinenza. In quanto tali, esse sono sempre ipotetiche ed esaustive appunto sul piano ipotetico di tutti gli eventi pertinenti possibili. Gli spazi hamiltoniano o hilbertiano, le matrici, le equazioni di Schrödinger, le trasformate di Fourier o quelle di Lorentz, le equazioni di Maxwell, e via dicendo, lo esemplificano con tutta evidenza.

Gli eventi, invece, sono sempre effettivi e particolari, degli individui rispetto alle classi delineate dalle corrispondenti teorie. Con il suo stesso verificarsi, ciascun evento annulla istantaneamente tutte le rimanenti possibilità teoriche previste in generale dalla teoria. Il famigerato abbattimento della funzione d'onda non è che un caso normalissimo di questa condizione appunto del tutto generale, e non merita certo la fama sinistra che gli è stata appioppata da chi non tiene conto della differenza di livello logico tra previsione teorica e singolo evento.

I contenuti di conoscenza sono sempre dati dalla combinazione di componenti specifiche e di componenti generali (Cassirer [1976]). Spesso le componenti specifiche sono anche empiriche, fattuali nell'accezione precisata che vi rientrano degli stimoli fisici. Invece quelle generali sono sempre solo ipotetiche. Ma non è necessario che le componenti specifiche siano empiriche, dato che comunque le idee che le esprimono sono sempre intese come sostitutive di corrispondenti dati empirici, e come equivalenti a questi sul piano del discorso. E in effetti le idee hanno significato nella misura in cui le riteniamo dei derivati di fatti, e che li sintetizzino. Idee prive di un simile collegamento non dicono nulla di reale, sono classi vuote (Hume [1974], pp. 24-25).

Essenziali, per la conoscenza, sono la specificità delle asserzioni, la generalità dei significati su cui queste si basano, e pertanto la congiunzione di specificità e generalità. La specificità precisa i contenuti di cui si tratta. La generalità dei significati con i quali si inquadrano quei contenuti li fa identificare come esemplari di classi note o compatibili con queste, e in ogni caso di classi coerenti in linea di principio con l'intera conoscenza tanto da dover essere costituite quali nuove classi necessarie nel caso quei contenuti risultino di un tipo mai incontrato prima e però indispensabili a spiegare la conoscenza accreditata.

Le formulazioni originarie dell'ipotesi dei neutrini e di quella delle antiparticelle sono degli esempi di come si perviene a formare classi di nuovo tipo. Emblematico è che, in simili casi, non si pensa mai in termini di esemplari singoli indipendenti da una classe e cioè privi di un significato generale. L'atto stesso di identificare tali oggetti, e di pensarli come reali, richiede che si costituiscano contemporaneamente delle relative classi. Perfino quando John Wheeler e Richard Feynman arrivarono a immaginare che ci potesse essere un unico elettrone nell'universo, in grado di comparire in tutte le interazioni sempre identico perché sempre lo stesso (Barrow 1992, p. 232), evidentemente il solo fatto di pensarlo come particella dotata di quelle precise caratteristiche in relazione alle proprietà della materia e delle interazioni ne faceva una classe in relazione a tutte le altre classi pertinenti. Si sarebbe trattato di una classe costituita di un solo membro, se quell'interpretazione fosse stata confermata. Ma anche allora si sarebbe comunque trattato di una classe sotto il profilo dei tipi logici, necessariamente tale perché, dal punto di vista logico, si sarebbe potuto attribuire all'elettrone un significato solo concependolo a livello di clase. Solo come classe esso poteva essere messo in relazione con le altre classi con le quali si identificano gli altri oggetti sia della teoria fisica sia delle interazioni.

IL REALE COME CONGIUNZIONE DI EFFETTIVO E POTENZIALE

Un attento esame di come si costituiscono gli oggetti della conoscenza mostra che, sotto il profilo della loro determinazione, è inessenziale distinguerli in materiali o concettuali, per quanto questa distinzione sia giustificata per altri motivi. Meno che mai è non solo essenziale ma neppure giustificato identificare "reale" con "materiale". Sono reali anche le esperienze mentali, i cui oggetti sono evidentemente solo concettuali. E, principalmente, gli oggetti concettuali, o idee, valgono solo nella misura in cui si ritiene rinviino a oggetti materiali e sintetizzino i modi di organizzare il flusso dell'esperienza che costituiscono questi ultimi (Gonseth [1992], Quine [1966]).

Più pertinente ed essenziale sembra essere la distinzione del carattere contingente e particolare dei singoli contenuti, tanto cosidetti materiali quanto cosidetti mentali, definiti in ogni singolo atto di conoscenza, rispetto al carattere generale dei quadri teorici sistematici indispensabili per costituire qualsiasi contenuto. Questa costituzione consiste appunto nel dare agli elementi effettivi esperiti o pensati la loro identità e collocazione gli uni rispetto agli altri e al tutto pertinente. In tal modo li si individua e correla, operando su di essi con le nostre conoscenze e ipotesi. Si proiettano su di essi le nostre categorie, relazioni e operazioni mentali come se fossero loro proprietà e interazioni fattuali, fino a giungere a concepire gli oggetti, le proprietà, le relazioni, le posizioni, le trasformazioni, le "leggi" e i "principi" delle scienze, come insiti nella realtà indagata anziché nei sistemi con i quali la indaghiamo e la descriviamo.

Da simili conclusioni indebite derivano le difficoltà del tipo di quelle suscitate dal principio di causalità, o dal principio di permanenza degli oggetti e delle loro proprietà, e dall'idea stessa che gli uni e le altre esistano di per sé anziché corrispondere alle costruzioni mentali con le quali organizziamo l'esperienza. Gli atomi o le particelle, ad esempio, non sono certo delle realtà nel senso di oggetti compatti, localizzati, validi indipendentemente dai nostri modi di osservare e di pensare, e dai livelli dimensionali ai quali arrestiamo o spingiamo le nostre analisi. Sono concetti che fungono da abbreviazioni delle teorie sull'energia direttamente o indirettamente congiunte con evidenze sperimentali, sulle conversioni dell'energia in materia e sulle interazioni tra energia e materia. Quello stesso di materia è un concetto astratto relativo ai modi di descrivere le interazioni e i loro esiti in corrispondenza ai livelli di energia impiegati negli esperimenti e ai gradi di "risoluzione" delle descrizioni. Fondamentalmente, queste descrizioni sono equazioni nelle quali i livelli di "risoluzione" risultano dagli ordini di grandezza o unità di misura presi, e dal numero di decimali impiegati nelle misurazioni e nei calcoli dei relativi valori.

Si vede bene anche da simili esempi che pertinente ed essenziale per stabilire la realtà contemplata è che cosa consideriamo di volta in volta oggetto specifico di attenzione, e, in complementarità reciproca con ciò, a quali livelli di analisi ci collochiamo. Tale scelta decide anche di quali parti delle teorie scientifiche o delle concezioni comuni ci serviamo per inquadrare i riferimenti empirici o mentali fatti oggetto di attenzione, così da dare a questi dei significati. Quali che siano i significati attribuiti, la loro definizione richiede sempre di collocare i riferimenti in questione in quadri teorici sistematici, di valore generale rispetto agli ambiti e alle scale fissati. Possiamo anche accontentarci di concezioni di senso comune. Queste saranno generiche fin che si vuole, ma dovranno pur sempre avere una relativa organicità, coerenza e omogeneità per determinare dei significati.

In quest'ottica, è fattuale, in quanto costituito, qualunque contenuto di pensiero comunque identificato, indipendentemente dal fatto che vi si accompagni un'esperienza percettiva con la quale lo facciamo coincidere o alla quale lo riferiamo. Vale a dire, è fattuale qualunque elemento individuato entro un qualunque sistema, si tratti di un sistema di riferimento, di un gruppo operatorio o di un qualsiasi altro "spazio" astratto, di una qualunque teoria o concezione. Per la verità, in senso proprio, che è fattuale è l'atto di pensiero o di conoscenza che costituisce il contenuto dato, e solo per brevità si indica questo come tale. L'ippogrifo è il contenuto di un atto fattuale di pensiero, sebbene si riferisca a una classe vuota in quanto rientra in un sistema ipotetico favolistico, e perciò, per definizione, privo di possibili riscontri percettivi.

Quel che conta è che un qualunque atto, e il suo contenuto, sono sempre particolari. Qualunque individuazione di un contenuto e qualunque operazione su di esso avvengono sempre da una prospettiva particolare. Al tempo stesso, queste operazioni vengono compiute quali applicazioni specifiche di visioni che sono generali a un qualunque livello, ed entro le quali assumono significati quelli che altrimenti resterebbero elementi indefiniti. Senza quadri generali è impossibile costituire, definire, relazionare, descrivere, alcunché: predicare alcunché di alcunché.

La conoscenza richiede sempre un punto di vista, un atto di pensiero e un suo contenuto fattuali, inevitabilmente particolari. L'atto di pensiero e il suo contenuto costituiscono eventi storici, culturali e probabilistici. Non solo e non tanto storici perché attuati in un preciso momento, quanto piuttosto unitariamente storici e culturali perché basati su categorie e criteri di pensiero storicamente e culturalmente determinati. Probabilistici sia per la contingenza di qualunque atto, sia più fondamentalmente per quella di qualunque sistema storico e culturale, e più in generale dell'esperienza umana, fosse pure quella complessiva.

Al tempo stesso in cui richiede un punto di vista particolare, la conoscenza richiede sempre congiuntamente anche l'applicazione di un sistema che dev'essere ipotetico per poter costituire degli oggetti, delle proprietà e delle relazioni, e per poter individuare delle posizioni e delle trasformazioni, in corrispondenza con le relative classi di oggetti, proprietà, relazioni, posizioni e trasformazioni che costituiscono dei concetti generali validi per qualunque esperienza. Se non si trattasse di classi, e se non fosse per questo, non potremmo neppure immaginare in generale oggetti, proprietà, relazioni, posizioni e trasformazioni di qualsiasi tipo.

Di fatto, spesso i sistemi ipotetici utilizzati sono alquanto disorganici e lacunosi, di scarso valore generale, consistendo di concezioni più o meno generiche che comunque non sono mai delle teorie in accezione propria. Al riguardo sono emblematiche le concezioni di senso comune. Si mira all'organicità e alla generalità complete con le teorie. Queste sono ottenute in scienza con le specializzazioni disciplinari della conoscenza caratterizzate appunto da propri specifici oggetti, linguaggi e metodi. Anche quando in una disciplina si ricorre, come accade spesso, a oggetti, linguaggi e metodi di altre, lo si fa sempre in un'ottica strettamente propria (Agazzi [1969], p. 240). Con le teorie, entro i limiti della loro applicabilità, si ottengono un'organicità e una generalità complete, che corrispondono al massimo di organicità e generalità conseguibili nelle condizioni storico-culturali-esperienziali date.

IL GENERALE È SOLO POTENZIALE

La generalità consiste nel sostitire gli esemplari con le classi di tutti quelli di un medesimo tipo sotto qualche profilo. In verità non si pensa mai per esemplari ma sempre solo per classi. Anche quando ci si riferisce a un esemplare, in realtà lo si individua come caso particolare della relativa classe. Questo è dovuto alla necessità di ridurre l'episodico a costante, per poter stabilire l'idea di oggetto, dato che quest'ultimo è caratterizzato concettualmente dalla permanenza. Gli oggetti possono subire trasformazioni e tramutarsi in altri. Ma finché qualcosa è pensata come oggetto, sia pure come contrassegno del processo tra l'inizio e la fine di una trasformazione, il suo stato logico è di contenuto non solo definito nel senso di separato da ogni altro e di dotato di una propria identità unica, ma inoltre permanente per quel tanto che lo si identifica come quel preciso oggetto.

Da questo punto di vista aveva pienamente ragione Einstein a pretendere la permanenza degli oggetti quantici e delle loro proprietà (Einstein, Podolsky e Rosen [1988]), nella misura in cui li si pensava quali oggetti. Il suo errore consisteva nel non rendersi conto che un oggetto è definito solo in relazione a una classe, e che il suo ragionamento si riferiva di fatto alle classi dei microoggetti e delle loro proprietà, mentre era inapplicabile agli esemplari. In sostanza, Einstein scambiava per sistema fisico un concetto logico, e per esprimento (non a caso necessariamente solo mentale) una teoria. Questo riferirsi unicamente a delle classi, del resto, è il significato del fatto che la teoria quantistica si occupa di insiemi di eventi, e non di eventi singoli.

Ma, a ben guardare, l'intera conoscenza è possibile solo in quanto si riferisce sempre a classi. Ciò è strettamente connesso al concetto di oggettività.

L'oggettività non è costituita dal concreto, ma dall'astratto […:] se l'"oggetto" deve essere qualcosa di universale, di valido per tutti, esso non può che essere un costrutto intellettuale (Agazzi [1969], p. 350).

Dire che l'idea di oggetto implica la conversione di esemplari in costanti equivale a riconoscere che un oggetto significa un determinato insieme di proprietà strutturate in una determinata, specifica, maniera: così che ogni volta che si danno quelle proprietà strutturate in quel determinato modo c'è quell'oggetto. L'operazione mentale compiuta è la medesima soggiacente al principio di causalità, per il quale ogni volta che si verificano certe condizioni si produce un corrispondente esito. In entrambi i casi il riferimento di fondo è quello di costante.

Le costanti fondamentali del pensiero sono i concetti, le regole logiche e i linguaggi che esprimono gli uni e le altre. Sul piano pratico, a concetti, regole e linguaggi corrispondono le proprietà dei contenuti di esperienza, o oggetti nell'accezione che si va precisando. Questi ultimi comprendono gli effetti della natura e dei modi di funzionare degli strumenti conoscitivi e operativi, inclusi gli apparati sperimentali, i quali, con tali loro caratteristiche, contribuiscono a vincolare le interazioni in maniere corrispondenti. Anche quegli effetti sono infatti delle costanti, che, per quanto riguarda gli apparati e i funzionamenti fisici, sono via via sia determinate in dipendenza delle costanti di pensiero sia all'origine di queste. Vale a dire le une coevolvono con le altre.

I contenuti fattuali, che si presentino superficialmente come percezioni o come intuizioni a un grado indefinito di precisione, vengono determinati solo nella misura in cui sono tradotti in idee note o riconoscibili entro un sistema di idee dato. Più raramente questo sistema si viene costituendo con il progressivo sviluppo della capacità stessa di identificare e di correlare reciprocamente dei contenuti fattuali pertinenti. Un esempio particolare, ma particolarmente significativo, di generalizzazione che definisce tutta una classe di contenuti specifici potenziali, è il teorema di Noether che alla base delle grandezze conservate devono esserci delle simmetrie. Le grandezze conservate conseguono quindi dai rispettivi gruppi di simmetria, e perciò qualunque grandezza conservata effettiva che si individui è definita tramite questi.

L'idea di un qualunque evento è una costruzione ipotetica, corrispondente alla classe di tutti i fenomeni potenziali di un medesimo tipo. Una simile generalizzazione consente di riconoscere come tale ogni singolo fenomeno effettivo facendo da complemento, o da controparte teorica, del fascio di stimoli fisici che identifichiamo come quel dato fenomeno. Questo fascio di stimoli, nella sua specificità, costituisce la componente che rende particolare il fenomeno nel quadro generale di quelli possibili. Ma anche ognuno di simili eventi effettivi può venire generalizzato in una corrispondente classe, e normalmente lo è. Ogni volta che prendiamo un insieme particolare di stimoli come contrassegno di un corrispondente tipo di fenomeni costruiamo una classe ipotetica di questi, o una fenomenologia particolare quali la caduta, la rifrazione, l'attrito, e via dicendo. Ogni volta che incontriamo effettivamente un tale insieme particolare di stimoli traduciamo la relativa idea di fenomenologia, o quella generale di fenomeni, in un corrispondente esemplare fattuale.

Quelli che siamo soliti chiamare "eventi", intendendoli come realtà materiali ed esclusivamente tali, non sono mai, in verità, di per sé, oggetti definiti di conoscenza, bensì solo fasci di stimoli fisici. Questi fasci di stimoli fisici hanno in genere una struttura loro propria, fisica, nel senso che i relativi stimoli non si presentano reciprocamente isolati né con un identico grado di probabilità. Vale a dire non sono completamente casuali, ma rivelano correlazioni più o meno stabili e frequenti (Rosch [1978]).

Tuttavia, anche così non costituiscono ancora, di per sé, delle percezioni. Perché i fasci di stimoli fisici diano luogo a percezioni devono venire inquadrati, integrati e interpretati con la sovrapposizione di schemi mentali o conoscenze virtuali (Eccles [1986]). Queste sono in genere molto più numerose e abbracciano ambiti di esperienza o di realtà molto più ampi dei singoli fasci di stimoli o singoli accadimenti fisici. Nella scienza si tende a rendere massimamente organiche e sistematiche le conoscenze compattandole in teorie di valore generale universale nei rispettivi ambiti di pertinenza. Ma anche nel senso comune le conoscenze virtuali con le quali si integrano, inquadrano e interpretano i fasci di stimoli, e che vi si fanno corrispondere, hanno una loro organicità. Questa è dovuta al fatto che esse sintetizzano in forme riconosciute dei complessi unitari di esperienze.

Le esperienze tradotte in senso comune non sono né definite né organizzate con il rigore della scienza, e presentano infinitamente più spesso di questa delle contraddizioni. Però sono anch'esse identificabili, cioè dotate di una propria identità per quanto vaga possa essere, e correlate, se non tutte con tutte sistematicamente, almeno in insiemi connessi a tipi di situazioni o composti con altri criteri. A loro volta anche questi criteri sono piuttosto fluttuanti, ma ciò non toglie che producano degli insiemi di idee relativamente consistenti e stabili. L'intera fenomenologia accennata è descritta in psicologia dalla teoria degli schemi (Cavallini [1995]).

L'ATTRIBUZIONE DI SIGNIFICATO

I fasci di stimoli fisici di per sé sono privi di significati, e ne assumono grazie all'integrazione conoscitiva descritta, in sintonia con la distinzione agazziana richiamata tra "cosa" generica e oggetto. Che avvenga così è evidente appena si pensi che i significati sono entità conoscitive, non fisiche, culturali e non naturali o comunque materiali e che si impongano in quanto tali. Pertanto, qualunque contenuto empirico può assumere significato solo se viene inquadrato in sistemi culturali pertinenti o adeguati a includerlo, e solo se viene integrato da conoscenze o ipotesi che lo completino surrogandone le parti non percepite e inaccessibili che sempre qualunque contenuto fattuale presenta. Questo può essere fatto solo se quel contenuto viene interpretato sovrapponendogli i significati noti, o dei nuovi significati ricavati con rielaborazioni di questi.

Ad esempio, è così che si sono ipotizzati i nuclei atomici a partire dall'osservazione delle deflessioni subite da radiazioni che li colpivano; gli elettroni a partire dalle proprietà degli atomi e delle molecole, e dagli effetti delle transizioni atomiche tra stati stazionari; i fotoni a partire dall'effetto fotoelettrico; le particelle in genere a partire dalle interazioni delle radiazioni con la materia. In modi analoghi, è così che si sono unificati i dati sparsi sulle specie viventi e sui ritrovamenti fossili relativi a quelle del passato, integrandoli, inquadrandoli e interpretandoli con la teoria dell'evoluzione. Altrettanto le osservazioni fattuali sui caratteri fenotipici dei viventi sono integrati, inquadrati e interpretati dalle teorie genetiche. A loro volta, queste sono state ideate grazie all'identificazione o all'immaginazione di regolarità nella produzione di quei carratteri, e all'identificazione o all'immaginazione di processi capaci di generarli. E sono convalidate da tutte le rimanenti conoscenze biologiche, chimiche e fisiche.

Le realtà conosciute sono in genere suggerite da fasci di stimoli fisici, ma diventano gli oggetti precisi che intendiamo con esse grazie alle componenti di pensiero che entrano in quella che chiamiamo la loro conoscenza. È a livello del pensiero che si definisce il mondo delle possibilità, e anzi i termini "pensiero" e "possibilità" si intrecciano e sono implicati nella conoscenza al punto che anche riconoscere gli oggetti reali equivale a pensarli come possibili, e soprattutto a pensare le loro proprietà non percepite come implicate dal loro riferimento alle relative classi, cioè ai relativi ambiti del possibile. Il riferimento alle tassonomie biologiche o alla tavola degli elementi chimici esemplifica con tutta evidenza simili modi di procedere.

Mondo delle possibilità vuol infatti dire quello delle relazioni astratte, che richiedono un sistema teorico, e quello altrettanto teorico delle operazioni che consentono di determinare i processi ugualmente ipotizzabili come interazioni tra gli elementi noti o immaginati, che li fanno generare gli uni dagli altri e gli uni in rapporto agli altri. La matematica è perciò l'esempio emblematico dei quadri di enti, di relazioni e di trasformazioni possibili con i quali determiniamo gli enti reali: esempio che raggiunge la massima evidenza nei gruppi operatori con le rispettive funzioni. Anche questi, come le discipline, tramite le operazioni che li caratterizzano ciascuno in maniera tipica, costituiscono i propri oggetti, definiscono sia quelli ammessi sia quelli esclusi o non pertinenti.

Gli oggetti così definiti sono sempre, anche al di fuori della matematica e in generale, i referenti, che sono prodotti di costruzioni nei processi di pensiero non meno che nelle azioni pratiche. Essi costituiscono delle sintesi di significati generali e di condizioni specifiche di esperienza e di discorso, cioè delle contestualizzazioni particolari di costanti intese come universali. L'errore che di solito si compie consiste nell'identificare la referenzialità con il realismo, concepito nell'accezione tradizionale di oggettualità indipendente dalla conoscenza, il quale non "[…] è una condizione necessaria della referenzialità" (Agazzi [1985], p. 186).

I referenti sono le nostre realtà, ma queste rientrano nella conoscenza e si riferiscono all'esperienza, ai fenomeni: il che significa che contemplano l'esistenza di corrispondenti riferimenti esterni anche quando sono puri atti di pensiero, e, complementarmente, implicano il pensiero anche quando rinviano a riferimenti esterni. Ad esempio tanto i concetti di bellezza o di giustizia, quanto quelli di numero o di simmetria, hanno significato perché si sa che esistono cose belle, atti giusti, oggetti in una data quantità, situazioni nelle quali qualcosa è disposto simmetricamente. Altrettanto di quanto si sanno identificare simili contenuti particolari rifacendosi alle corrispondenti idee astratte.

I referenti non possono essere esaustivamente determinati né con la sola lingua (Agazzi [1985], p. 177) né con la sola conoscenza, sia pure complessiva e includendovi le componenti operative. Ma questo vale solo finché si concepiscono i referenti come indipendenti ed esterni alla lingua e alla conoscenza (Frege [1973]). Non è più così appena si concepiscono i referenti quali sintesi degli stimoli esterni e del pensiero (Kant [1963]). Con quest'ultima posizione, se appena si supera l'innatismo kantiano, la lingua e la conoscenza implicano il riferimento agli stimoli esterni e sono affidabili solo nella misura in cui vi corrispondono. Ma, complementarmente, gli stimoli esterni diventano referenti solo quando sono convertiti in oggetti compatibili con le conoscenze note, e meglio ancora se sono implicati da esse. In tutti i casi devono essere oggetti precisati in un qualche linguaggio: particolarmente la lingua e i linguaggi matematici.

Il problema della referenza è dunque solo quello di accertarsi, per qualunque affermazione e convinzione, che vi corrispondano degli stimoli o effettivi o potenziali compatibili con quelli noti. In quest'ultimo caso, bisogna essere consapevoli che i referenti sono ipotetici. Ciò emerge anche riguardo alle dibattute questioni della permanenza di un referente "in sé" nei passaggi da una teoria ad un'altra, o al di fuori delle percezioni. Nel primo caso, a poter rimanere identico non è mai un referente inteso come esistente "in sé" e indipendente dall'atto di conoscenza che lo stabilisce. Invece, è quest'atto che, anche utilizzando teorie diverse, può rimanere identico perché si riferisca a un medesimo complesso di esperienze, e di loro costanti e fattori, che si intendono esprimere con l'idea di quel referente. Ciascun atto effettivo di questo tipo è un'estrapolazione di una tale idea astratta che esprime una costante o un insieme di costanti ricavabile da tutte le teorie considerate, al di là delle loro differenze.

In realtà i referenti variano da un contesto concettuale e sperimentale all'altro, quando cioè cambiano gli strumenti cognitivi e materiali e le procedure utilizzati. Ma quel che si può conservare attraverso tutti i diversi contesti è di continuare a riferirsi a un medesimo oggetto ideale preso come indice di un complesso di costanti che permangano a un qualche livello di astrazione indipendentemente dalle diversità delle esperienze compiute e dei concetti applicati nell'interpretarle. In questo senso, e solo in questo, è lecito affermare che ad esempio la luce di cui parlano tanto Newton che Huygens, che Young, che Einstein, che la meccanica quantistica o Feynman, è la stessa.

Analogamente, il suono mai udito dell'albero caduto nella foresta in assenza di qualunque osservatore è il referente ipotetico del pensiero di quell'evento come possibile, ed è il referente reale della consapevolezza che gli alberi cadono e fanno rumore per precise ragioni fisiche indipendentemente dalla presenza di qualcuno che li veda cadere e ne oda il tonfo. Che, come nota Locke per le generalizzazioni, restino indefiniti dei dati particolari quali le coordinate spaziotemporali, il tipo di albero, le sue dimensioni, e così via (Locke [1994], p. 463), non toglie realtà a eventi che tutto il nostro sistema di conoscenza indica come reali e del medesimo tipo di quelli corrispondenti osservati, e che in effetti lasciano tracce osservabili sia del medesimo tipo sia coerenti con il quadro teorico complessivo degli effetti che ne devono risultare.

SI PENSA SOLO SU POSSIBILI

A ben vedere un referente indica dunque un sistema, determinabile in maniera univoca, di costanti dell'esperienza. Questo sistema può essere determinato in maniere diverse con diversi atti e modalità di conoscenza, entro diverse teorie o concezioni, ma ciò nonostante essere reso comune a tutte. In questo senso si può dire che l'elettricità è la "medesima" per la fisica e per il senso comune. Grazie alla possibilità e all'abitudine di dire solo una parte del dicibile su qualcosa, e di dirne cose diverse in diversi ambiti di discorso, ""ciò di cui si dice" non obbliga all'identità di "ciò che se ne dice"" (Agazzi [1985], p. 186). Ma la determinazione di un qualunque referente consiste in tutto "ciò che se ne dice" e si potrebbe dirne in modo lecito: così che questo effettivamente coincide con "ciò di cui si dice", con il referente stesso.

L'"oggetto" [è] l'insieme delle determinazioni che possono essere stabilite dalla totalità dei soggetti (Agazzi [1969], p. 344).

Ora, "tutto ciò che si dice" di qualcosa nell'ambito di una teoria o di una concezione non è mai "tutto ciò che se ne può dire" nell'ambito di un'altra. I referenti non sono mai gli stessi al di fuori di una medesima teoria o concezione, e di un medesimo livello e ambito di discorso, eventualmente trasversali, come spesso accade, a diverse teorie e concezioni.

I diversi "tipi di realtà" "[…] si differenziano non già per il fatto di esistere, ma per il modo di esistere" (Agazzi [1985], p. 187), in funzione dei diversi tipi di interessi, approcci e discorsi con i quali li accostiamo. È la congiunzione di questi con gli stimoli fisici, o parte vincolante dell'esperienza (e, attraverso la traduzione dell'esperienza in conoscenza, della conoscenza stessa), a far sì che

l'oggetto altro non è che l'assieme delle proprietà che operativamente gli si possono attribuire (id., p. 188).

Sono giusto tali interessi, approcci e discorsi a determinare il quadro dei possibili concepito caso per caso o esplicitamente o più spesso implicitamente. Questo è il fondamento dell'"oggetto trascendentale" (Kant [1963], p. 412). Diversamente da Kant, non possiamo più ritenere tale oggetto come precedente a ogni esperienza, ma dobbiamo concepirlo come la sintesi ideale di tutte le esperienze pertinenti possibili. Questa sintesi si forma con il coordinamento, per le società, di tutte le esperienze storiche codificate nelle culture, e, per gli individui, di tutte quelle personali (Piaget [1973]) integrate dalla cultura interiorizzata (Cavallini [1995], [2001a], [2001b]).

Il grande potere della matematica le deriva appunto dall'esplicitazione dei quadri dei possibili costituiti nel suo ambito, che è resa piena dalla loro formalizzazione, e che certamente supera quella prodotta in qualunque altro campo. Ma simili quadri, per quanto impliciti, sottostanno, in qualunque campo, a qualunque forma di conoscenza per la quale ciascuna percezione e idea "si riconnetta con tutte le altre secondo le regole dell'unità dell'esperienza" (Kant [1963], p. 412): che è come dire che i fasci di stimoli sia fisici sia mentali devono correlarsi secondo il quadro dei possibili che sintetizza le esperienze note e le idee compatibili con esse.

Tutto questo mi fa concludere che alla base di ogni possibilità di pensare ci siano sistemi di relazioni corrispondenti a gruppi matematici. Una modalità razionale di discorso deve essere un modello di un gruppo operatorio matematico o di una combinazione di tali gruppi. Le incompletezze di pensiero, i collegamenti indebiti e i vizi di ragionamento deriverebbero allora dall'incapacità di riconoscere e di applicare con coerenza consapevole i gruppi implicati. In tali casi ci si riduce ai sistemi incompleti di relazioni che Piaget definisce "raggruppamenti" (Piaget [1952], Piaget e Inhelder [1971]).

Le costanti che si conservano trasversalmente alle diverse modalità sia rappresentative che sensomotorie consentono di unificare in una visione unitaria concezioni teoriche e azioni pratiche, rendendole entrambe delle componenti della conoscenza. Sotto il profilo logico è vero che si è spinti ad attribuire le permanenze di identità e le concordanze tra esperienze diverse a una realtà indipendente da ciascuna di queste prese singolarmente, tale da poterle spiegare come loro causa prima. Era la posizione di Kant, di Planck, di Einstein, ed è quella di Agazzi.

Ma una simile conclusione è indimostrabile, come riconoscono questi autori. Inoltre, fermarsi alla constatazione delle costanti e intendere la realtà come le loro sintesi soggette in ogni epoca alle categorie mentali e alle esperienze tipiche di essa, evita i paralogismi e i sofismi. Questi discendono, secondo la denuncia di Kant, dall'errore di proiettare la sensibilità sull'intelletto, così da scambiare i prodotti di questo per contenuti sensibili, e cioè da attribuire esistenza materiale a puri enti di pensiero (Kant [1963], p. 292).

Quell'errore è tipico della fisica classica, come di gran parte della filosofia e del senso comune. In tutti e tre i casi lo si commette con il dare per scontato che alle conoscenze corrisponda una realtà esterna, e che esse la riflettano direttamente. Con ciò, la realtà risulterebbe al tempo stesso indipendente dalla conoscenza ma determinabile da essa. L'errore consiste nel non considerare le componenti ipotetiche della conoscenza, che rendono problematica la relazione tra conoscenze e realtà indipendente, e perciò illecito il passaggio dalle une all'affermazione sia di esistenza dell'altra sia della sua corrispondenza con esse.

L'arbitrio fondamentale della fisica classica è, così, la pretesa di ricavare le proprie nozioni direttamente dalla realtà esterna, senza rendersi conto che invece è il concetto di quest'ultima a non essere altro che la sintesi di quelle nozioni (Northrop, in Heisenberg [1961], p. 18), oltre che di pregiudizi estranei alla fisica. Le nozioni costituiscono delle realtà fittizie, indipendentemente dal fatto che vi si possano far corrispondere dei fasci di stimoli, e che servano ad attribuire significati a questi. Non solo le nozioni non sono secondarie rispetto alla realtà, ma vale addirittura il contrario: la realtà è secondaria rispetto alle nozioni, perché noi perveniamo alle nostre idee di che cosa sono le singole realtà e di che cos'è la realtà in generale solo elaborando i dati o fasci di stimoli. Ma questi si presentano solo nelle interazioni, le quali sono i soli elementi reali, effettivi. Altrettanto, solo la conoscenza traduce gli stimoli in informazioni, percezioni e nozioni, la cui rielaborazione correlata produce gli oggetti definiti di conoscenza.

La realtà in senso proprio, vale a dire definita e dotata di significato, è il prodotto, per forza di cose come tale successivo, delle informazioni dalle quali si parte in ogni atto di conoscenza. Questo è il senso dell'affermazione di Bohr, di fronte ai problemi gnoseologici e ontologici posti dalla meccanica quantistica, che

non c'è un mondo quantistico, c'è soltanto una descrizione quantistica astratta (Bohr, cit. in Loinger [2001] p. 52).

Vale in generale che non c'è un mondo, ma ci sono soltanto delle interazioni, e delle descrizioni astratte di un mondo possibile e per certi versi necessario che ne consegue: ci sono soltanto dei significati possibili e necessari delle interazioni. Essenziale è capire per quali versi quel mondo e quei significati sono necessari, e non andare oltre.

Una tale affermazione non significa quindi che i vincoli fisici delle interazioni non rinviino a qualcosa che deve esistere indipendentemente da queste. Che appartenga davvero alle tesi della scuola di Copenaghen, o piuttosto a suoi fraintendimenti (Heisenberg [1961], pp. 70 e 162; Agazzi [1969], p. 332), è comunque un errore credere che la realtà fisica sia creata dagli atti di osservazione. Corretto è invece capire che, a qualunque cosa pensiamo come esistente al di fuori di questi, a rigore, sul piano empirico, vi corrisponde solo ciò che deve costituire il termine esterno degli stimoli nelle interazioni. Solo questo si può propriamente ipotizzare come esterno a esse. Esso entra comunque in esse quale contributo degli stimoli fisici congiunto con il contributo dato dall'attività sensoriale. Gli stimoli fisici vengono a loro volta tradotti in realtà, in accezione propria, solo nella conoscenza. Ma appena ci si porta sul piano della conoscenza non si ha più a che fare con puri stimoli fisici, e meno che mai con la realtà in sé del realismo.

 

CHE COS'E' LA METAFISICA

Appena si rifiuta l'apriorismo kantiano della mente, diventa evidente che non si entra nella metafisica con il semplice riconoscimento che gran parte delle idee è indimostrabile, inverificabile empiricamente e dovuta a "libere invenzioni", secondo l'espressione di Einstein. Si ha metafisica solo quando si pretende di affermare l'esistenza, o realtà, dei contenuti delle idee indimostrate, vale a dire non congiunte con fasci di stimoli fisici, o per le loro parti che non vi si congiungono.

La metafisica è dunque caratterizzata dall'abbinamento di due componenti: una determinazione puramente simbolica di un referente, e l'asserzione che esso esiste nel senso di essere un ente reale indipendente da quella determinazione. Entrambe le componenti sono essenziali per produrre metafisica. La prima, da sola, non basta. La seconda, da sola, sarebbe priva di senso o banale, perché si ridurrebbe ad affermare l'esistenza di qualcosa di indeterminato.

In effetti, nella scienza attuale l'accezione del termine "esistere" si è modificata rispetto al suo tradizionale significato ontologico. Con quel termine non si intende più affermare che la cosa "esistente" ha natura materiale o che comunque è collocata entro delle coordinate spaziotemporali. Si intende soltanto dire che, alla luce delle attuali conoscenze, essa è necessaria alla coerenza e alla completezza di un determinato quadro teorico, che può essere anche l'intero sistema delle conoscenze accreditate. Dicendo che un ente esiste non ci si pronuncia minimamente né sulla sua realtà al di fuori di quel quadro, né sulla validità in assoluto del quadro stesso e delle conoscenze attuali.

In specifico, non si intende negare la natura ipotetica dell'ente dichiarato esistente. L'unica cosa che interessa è di affermare che, per quanto esso sia ipotetico, si riescono a stabilire delle sue corrispondenze con tutte le esperienze pertinenti note o immaginabili allo stato attuale, e che esso non entra in contraddizione con alcuna conoscenza accreditata. Questo attesta anche che le "invenzioni" che Einstein poneva alla base delle teorie sono "libere" solo fino a un certo punto. Come gli obiettò Wertheimer, e come Einstein ammise subito sorridendo (Wertheimer [1965], p. 240), esse non possono essere arbitrarie in tutto e per tutto, perché devono essere pertinenti, e devono concordare sia con le osservazioni, che pure non le indicano né le impongono con costrizione logica (che è quanto intendeva sottolineare Einstein), sia con le conoscenze accreditate pertinenti, o con altre nuove che le sostituiscano.

Vale il riconoscimento kantiano

[…] che la ragione propriamente non produce nessun concetto, ma, se mai, libera solamente il concetto intellettuale dalle inevitabili limitazioni di un'esperienza possibile […] per dare alla sintesi empirica una completezza assoluta, continuando la sintesi stessa fino all'incondizionato (che non è mai nell'esperienza, ma solo nell'idea) (Kant 1963, p. 349).

Kant rileva anche l'asimmetria tra la necessità della completezza del quadro delle condizioni e l'ovvia incompletezza delle conseguenze fattuali rispetto a tali possibilità, dato che i fatti che si verificano sono sempre solo alcuni di quelli possibili, e che quelli che avvengono escludono tutti i casi alternativi del quadro ipotetico.

Le possibilità astratte non descrivono mai un universo reale. Ciò è una banale conseguenza del fatto che in una possibilità astratta sono coinvolti un'infinità di individui. Di fatto ciò che possiamo osservare è sempre e solo un numero finito di individui che possono godere di un numero finito di proprietà (una misurazione, qualunque siano le modalità con le quali viene operata, a causa della precisione [limitata] dello strumento di misurazione, darà sempre luogo ad un intervallo e quindi ad un numero finito di proprietà). Mentre una delle possibilità di un linguaggio finito, nell'eventualità che il mondo non scompaia, si realizzerà, diventerà cioè uno stato attuale, questo non potrà mai accadere per alcuna possibilità astratta (Costantini [1985], p. 63).

La relazione tra la completezza del quadro delle possibilità ipotetiche, che sono tutte quelle ammesse da una teoria, e la particolarità degli eventi effettivi si presenta con la massima evidenza in meccanica quantistica, dove la prima è espressa dalle equazioni di Schrödinger o dalle matrici di distribuzione delle probabilità, e la seconda dal cosidetto "abbattimento" o "collasso" della funzione d'onda o da uno specifico autovalore della matrice considerata. Tale collasso si spiega con il fatto che un evento è qualcosa di effettivo, che va registrato, e la registrazione coincide appunto con "il passaggio dal "possibile" all'"effettuale"" (Heisenberg [1961], p. 162). Le sovrapposizioni quantistiche sono composizioni di insiemi di eventi possibili, ciascuno indefinito nella sua singolarità, e non di singoli eventi reali completamente definiti.

La completezza assoluta dei quadri ipotetici, puramente ideale, che, con le parole di Kant, "c'è nella ragione, senza guardare alla possibilità o impossibilità di unirvi adeguati concetti empirici" (Kant 1963, p. 355), non è altro che la costruzione immaginaria del gruppo di operazioni possibili inerenti a un determinato sistema di idee, e di tutti i possibili stati conseguenti. Infatti, per rendere organiche le idee, bisogna correlarle reciprocamente fino a comporle in un sistema unitario coeso idealmente privo di lacune, dato che, per essere coeso, non deve presentarne. E si riesce a farlo nella misura in cui si riesce a inquadrare le idee in una rete di relazioni che abbia le proprietà dei gruppi operatori matematici.

Il riconoscimento che i sistemi scientifici devono la loro operatorietà a corrispondenze con gruppi matematici fa capire che, per poter correlare idee e conoscenze in un tale sistema, occorre riuscire a precisarle in modo rigoroso secondo criteri uniformi. "La matematica non ha segni per le idee confuse" (Fourier [1822], p. XXIII). Ciò comporta, reciprocamente, che ogni forma di pensiero e di conoscenza, che non realizza pienamente la definizione rigorosa dei propri contenuti e la corrispondenza a un gruppo matematico, presenta in proporzione limiti di operatorietà su tali contenuti, di coerenza e di completezza.

Il tipo di possibilità operatorie di un sistema di conoscenza dipende dal tipo di gruppo matematico al quale corrisponde la sua struttura, vale a dire coincide con le proprietà di questo. In generale, comunque, come osserva Kant (1963, p. 464), la determinazione di una cosa è subordinata alla totalità o insieme di tutte le operazioni possibili suscettibili di definirla. Complementarmente, "il concetto è possibile tutte le volte che non si contraddice" e, si deve aggiungere, che non contraddice qualcosa del sistema di conoscenze accettato: "cionondimeno, esso può essere un concetto vuoto" (id. 480). Di per sé, il concepire un'idea rinvia semplicemente ed esclusivamente al possesso di altre con le quali e a partire dalle quali quell'idea viene elaborata.

Un dominio logico comporta una completezza e una perfezione ideali che consentano di operare al suo interno per via puramente deduttiva. Ciò non comporta alcuna identificazione con un'esistenza fattuale: ammette solo corrispondenze, o interpretazioni, e applicazioni su altri domini. Lo aveva già precisato Galilei, quando sottolineava che la perfezione matematica si ottiene "diffalcando gli impedimenti" delle irregolarità presenti negli oggetti empirici. Una tale consapevolezza della natura dei domini logici è espressa anche nella contestazione di Pieri a Padoa che si possa ricorrere all'esterno di un dominio matematico per fondarlo (Lolli [1985], p. 219).

 

DALLA FISICA QUANTISTICA ALLA REALTÀ QUOTIDIANA

Tra le tradizionali difficoltà e paradossi suscitati dal realismo che identifica i vincoli esterni delle interazioni con oggetti concepiti sulla falsariga delle nostre idee di oggetto c'è il dilemma se la materia e le radiazioni siano corpuscolari o ondulatorie. Esso è cruciale per l'idea di realtà, dato che tocca il problema della natura ultima di questa.

La prospettiva indicata lo dissolve perché non richiede che le particelle o le onde, come del resto qualunque altra realtà, siano delle realtà indipendenti dalle interazioni: che esistano al di fuori di queste. Reali sono soltanto le interazioni, e la possibilità di interpretare certi risultati di certi tipi di esse in termini di particelle e altri risultati di certi altri tipi di esse in termini di onde, ma mai la totalità dei risultati di tutti i tipi di interazioni possibili solo nell'uno dei due temini ad esclusione dell'altro. Questo è diverso dal dire che solo o le particelle o le onde devono essere reali, e anzi lo esclude. Quale che sia l'interpretazione data, va comunque considerata la parte giocata dalla teoria adottata nel darla, con la consapevolezza che l'interpretazione non può ridursi alla sola presa d'atto di che cosa sarebbe di per sé l'ipotetico ente indipendente dalla conoscenza che costituirebbe in quanto tale uno dei termini dell'interazione. Quale che sia quel termine, o vincolo costante e ineludibile, esso viene costituito quale ente definito solo congiungendolo a una teoria, la quale fornisca il quadro astratto completo delle possibilità relative alle classi di interazioni e di enti del tipo considerati.

L'idea di possibile è legata indissolubilmente a quella di completezza, perché implica il quadro di tutte le possibilità e di tutte le esclusioni contemplabili in un ambito considerato. Sotto il profilo dell'espressione matematica dei fenomeni si pone allora il problema della corrispondenza tra quadri e spazi astratti che rendano computabili i singoli eventi, le loro componenti e le loro caratteristiche, e tali singoli eventi, componenti e caratteristiche. Un quadro di possibili formalizzato in simili termini computabili non solo è un costrutto ipotetico, ma anche richiede una precisa struttura che consenta una corrispondente operatorietà che lo renda un modello della teoria dei reali. Solo di conseguenza gli possono venire assegnati dei numeri, cioè può essere messo in corrispondenza con questi.

In rapporto a ciò, credo che bisognerebbe chiedersi se la ragione del successo dell'equazione di Schrödinger non derivi dalla proprietà specifica dei numeri complessi, sui quali essa è basata, di consentire, come le matrici, la necessaria corrispondenza tra la teoria dei reali e i fenomeni alle dimensioni quantiche. Nel qual caso, bisognerebbe indagare quali sono specificatamente gli aspetti della costituzione dei numeri complessi che danno loro questa proprietà distintiva rispetto agli altri numeri. Non ho la competenza per andare oltre questa semplice domanda, né so se un'analisi del tipo ipotizzato sia mai stata compiuta. Nella frase di Wang riportata in epigrafe si può interpretare, in sintonia con la posizione qui espressa, "l'elemento soggettivo" come il quadro ipotetico, e l'elemento "oggettivo" come l'evento singolo. O, rimanendo fedeli alla terminologia di Heisenberg ([1961], p. 68) si può chiamare "oggettivo" il quadro delle possibilità o "tendenza" degli eventi previsto dalla funzione di probabilità, in quanto esso esprime le costanti che valgono in generale e che sono necessarie secondo le attuali conoscenze; e intendere per "l'elemento soggettivo" la componente della conoscenza che deve surrogare l'incompletezza di quest'ultima rivelata come ineliminabile dal principio di indeterminazione. In ogni caso, resta fondamentale la distinzione tra la teoria o quadro ipotetico delle possibilità in generale, l'osservazione o presa d'atto che un qualche evento è effettivamente avvenuto e corrisponde a quella determinata possibilità ad esclusione di tutte le altre, e la conoscenza o costruzione dell'idea di che cos'è l'evento registrato. Quest'ultimo atto fonde la teoria, e le nostre idee generali, con l'osservazione: e non potrebbe determinarsi senza questa combinazione.

Se, comunque, l'indagine invocata circa la natura e la funzione dei complessi fosse sensata, compierla potrebbe contribuire a chiarire la condizione di fondo della conoscenza per la quale essa implica sempre necessariamente la collocazione di componenti effettive particolari in quadri generali di possibilità esaustive. Una tale analisi potrebbe contribuire a far capire che la convinzione che solo degli enti materiali possano essere reali è fuorivante, e che la distinzione stessa tra enti materiali e ideali pone una questione irrilevante e spuria rispetto alla determinazione di che cos'è realtà.

Il realismo tradizionale, dalla fisica newtoniana alla scienza positivistica, ha sempre indotto a concepire oggetti più che interazioni, e a immaginare tali oggetti rispetto a un ipotetico punto di vista assoluto al quale essi si presenterebbero per come sarebbero in sé e per sé. L'interpretazione oggettivistica, che mi pare prevalente, della stessa idea kantiana di "cosa in sé" suggerisce una simile visione. Invece, nell'esperienza non esistono dati oggettivi in quel senso, determinabili sulla sola base della loro natura indipendentemente dalla nostra natura e dalle interazioni.

L'errore è stato quello di attribuire le caratteristiche delle costruzioni mentali umane (come la logica e la matematica) al ragionamento umano [inteso come assoluto] e al mondo macroscopico nel quale viviamo (Edelman 1995, p. 354).

Sia l'organismo che il sistema nervoso centrale e le varie configurazioni neuronali di volta in volta attivate selezionano, nell'ambito delle stimolazioni alle quali sono rispettivamente in grado di reagire, delle costanti, corrispondenti a delle medie statistiche dei valori dei singoli stimoli o dei sistemi di stimoli, e reagiscono solo a queste. Inoltre, la banda di risposta a tali costanti dei sistemi neuronali pertinenti varia in funzione dello stato che questi hanno al momento e dell'attività che stanno svolgendo. Così, si stabilisce l'interazione solo in condizioni di corrispondenze positive.

Tali interrelazione e coevoluzione della reciproca significatività via via assunta dagli stimoli e dalle configurazioni delle risposte via via elaborate diventano tanto più complesse e dipendenti da molteplici circolarità tra più piani dell'attività organismica, quanto più ci si riferisce a oggetti che si costituiscono sul piano psicologico. I livelli dell'attività organismica vanno da quelli più elementari delle funzioni delle singole strutture neuronali a quelli superiori dell'organizzazione cognitiva.

L'individuazione dei contenuti di questi ultimi richiede sempre dei riferimenti culturali, vale a dire delle nozioni superindividuali. In specifico, questo distingue il mondo psicologico da quello fisico, e produce l'organizzazione propria del primo, basata su elementi quali le categorie, le relazioni, le variabili, che non si presentano, di per sé, nel secondo. In questa prospettiva, l'apparato psichico si è sviluppato come sistema unitariamente del cervello e della cultura che, con i suoi simboli, categorie e nozioni di ogni genere, fa convertire reciprocamente i processi neuronali e quelli psichici, e orienta e plasma questi ultimi (Cavallini [2001b]).

Le idee sono dei corrispettivi simbolici del funzionamento del cervello, integrato da quello dell'intero organismo con i suoi scambi con l'ambiente sia fisico sia sociale e culturale (Damasio [1996]). Le rappresentazioni, comprese le categorie su cui esse si basano, sono proiezioni culturali dei processi dei quali consiste tale funzionamento. Ad esse non si può attribuire alcuna esistenza o realtà sostanziale, al di fuori della realtà delle funzioni neuronali, ed eventualmente di quelle sensoriali, che esprimono. Al tempo stesso, le idee sono sotto ogni profilo dei prodotti a posteriori tanto di quelle funzioni, quanto della costituzione evoluzionistica del cervello e dell'organismo umani, quanto, ancora, della formazione storica della cultura.

Sia l'evoluzione umana sia la produzione della cultura si sono determinate sulla scorta di interazioni, e anche il funzionamento organismico e cerebrale le implicano per via diretta o indiretta.

Dipartimento di Fisica

Università di Milano

 

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Graziano Cavallini

Knowledge as matching of potentiality and effectiveness

Abstract

 

Metaphysics is often thought to be the whole of the a priori ideas which can not be confirmed by empirical evidences. Thus, such a conception implies as its crucial point the opposition between hypothetical knowledge and observable data: that is, between symbolic and actual making up of knowledge.

In fact, the term "observable" is usually understood as the very same thing as "material", or "real", in such a way that all the three are mutual.

In this paper it is maintained that posing this equivalence originates a great confusion, and that, in order to define metaphysics, the opposition of hypothetical knowledge versus observable data is misleading. More suitable is distinguishing general from particular making up of knowledge, since general knowledge always is only hypothetical, while particular knowledge can also be actual, and always must be thought as actual in ordere to give it an actual meaning.

An idea never is metaphysic only because it is hypothetical. In order to be metaphysic, it must both be thoroughly hypothetical and nevertheless be assessed as actual. It is just such an assessment without possibility of actual proof that gives rise to metaphysics.

In fact, not a single empirical knowledge ever is thoroughly actual, that is fully determined by only physical data. Knowing something always implies refering it to an abstract class and to a theoretical frame of possibilities, both which are of course purely hypothetical, and call for each other. Every knowledge is actual, as soon as it is defined in a precise way, which gives it a specific identity, and, as soon as it is supposed, by this, to correspond to an actual reference in an univocal and inescapable way. In order to assess that its reference is also material, it is not necessary that the whole knowledge in question coincides with physical stimuli. The last is never possible. It suffices for such a knowledge being in conformity, in an univocal and inescapable way within the accepted knowledge, with a set of physical stimuli which is specific in regard to a specified sphere of discourse, and to be constant through all relevant possible experiences.

So, it is the concept of "reality" what we need to state precisely. In the light of the adduced arguments, it can't signify anything knowledge-independent. Only clusters of physical stimuli deprived of the defined identity typical of the objects of knowledge are knowledge-independent. Specific constant clusters of physical stimuli are converted into known objects when they are incorporated, integrated and interpreted by means of such well-structured systems of accepted knowledge as conventional cathegories and conventional frames of possibilities.

Reality is the set of the issues of such conversions.