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Popolazione
Savoca


Si raggiunge:
Da Messina (39Km):
 (0Km) A18 in direzione Catania fino all'uscita Roccalumera,
 (30Km) SS114 in direzione Catania, attraversando gli abitati di Furci Siculo e Santa Teresa di Riva,
 (35Km) da Santa Teresa di Riva bivio per Savoca.
Da Catania (62Km):
 (0Km) A18 in direzione Messina,
 (47Km) A18 uscita Taormina,
 (58Km) SS114 in direzione Messina, da Santa Teresa di Riva bivio per Savoca.


Frazioni: S. Francesco di Paola (SS 114, bivio a Santa Teresa di Riva prima del ponte sul Torrente Agrò, poco prima dell'ingresso in Sant'Alessio Siculo), Rina (SS 114, bivio a Santa Teresa di Riva prima del ponte sul Torrente Agrò, poco prima dell'ingresso in Sant'Alessio Siculo), Contura (SS 114, bivio a Santa Teresa di Riva prima del ponte sul Torrente Agrò, poco prima dell'ingresso in Sant'Alessio Siculo).

 "Supra na rocca Sauca sta, setti facci sempri fa". Savoca poggia su una rocca (303m s.l.m.) ed ha una posizione strategica, con una visuale che spazia su tutti i territori intorno eccetto che a nord-ovest, coperta dall'altura su cui si posa il Pentefur, un castello. Di questo oggi rimangono solo ruderi.
 L'anno di fondazione del paese risale al 1072 per volere del gran Conte Ruggero il normanno, ma quei luoghi dove sorge erano già abitati al tempo della dominazione romana, come attesta Appiano Alessandrino nel suo De Bello Civili: in questa contrada e nel territorio circostante si rifugiò l'esercito di Sesto Pompeo in attesa di scontrarsi con quello di Ottaviano, nel 36 a.C. In quella battaglia l'esercito di Ottaviano distrusse la flotta pompeiana conquistando 160 vascelli e costringendo Pompeo e i suoi uomini a fuggire prima verso Messina e poi verso l'Oriente per preparare la rivincita.
 Il nome Savoca, tenendo conto dell'origine normanno-saracena della località, probabilmente deriva dall'arabo Sabak, che significa unire, in riferimento all'unione, operata dai saraceni, dei vari castelli esistenti in un unico mandamento a nome di Sabak, ossia Savoca. La cittadina di Savoca infatti fu sede di Archimandrita cui appartenevano diversi feudi nel territorio circostante. Dal XIII secolo in avanti Savoca crebbe in economia. Fino al 1855 esisteva uno stabilimento che lavorava la seta tutto l'anno e altri 8 a carattere stagionale, dalla metà di giugno alla fine di luglio.
 Il paese al giorno d'oggi è quasi deserto, la popolazione diminuita di molto negli ultimi anni soprattutto a causa dell'emigrazione, ma si stanno riscoprendo le opere antiche e le bellezze naturali della zona. Oggi i savocesi vivono di agricoltura, allevamento, turismo.
 La gente di Savoca fu sin da tempi remoti molto religiosa, lo stanno a dimostrare le ben 17 chiese che nel '500 si trovavano sul suo territorio per una popolazione di solo 5000 abitanti e tutte aperte al culto.
San Nicolò La chiesa di San Nicolò e Santa Lucia si fa risalire al '400, costruita su un massiccio spuntone di roccia, protesa sul vuoto, si sviluppa su tre piani. La chiesa ha tre navate, colonne di granito, altari in marmi pregiati. Più volte ricostruita nei tempi. La torre campanaria è merlata, con lo scopo difensivo. La chiesa è dedicata a San Nicolò, ma nei giorni della festa alla santa, ospita una piccola statua di Lucia, di autore ignoto, datata al 1666, scolpita su una lamina d'argento che per la sua preziosità viene tenuta nascosta, insieme al tesoro ex voto della santa, dai membri della Confraternita di Santa Lucia. La confraternita è una istituzione secolare che al giorno d'oggi ha un'attività legata esclusivamente alla festa della santa e i confrati si prendono cura del tesoro e della statua conservandoli in un luogo ignoto e sicuro, forse la casa di un confrate, ma probabilmente un istituto di sicurezza.
 La seconda domenica di agosto a Savoca si svolge la festa di Santa Lucia, patrona di Savoca, oltre ad essere festeggiata anche il 13 settembre, giorno in cui cade la ricorrenza della santa. Ma ad agosto i festeggiamenti mettono in scena le tentazioni subite dalla santa e il suo martirio in una processione davvero singolare che si svolge per le vie del paese.
 Lucia fu una giovane siracusana vissuta al tempo dell'impero romano, che rifiutò di sposarsi al suo pretendente dichiarandosi sposata a Cristo, avendo fatto voto di castità. Il suo pretendente non accettando tale rifiuto della ragazza la denunciò al prefetto. Erano i tempi delle persecuzioni contro le prime comunità di cristiani e il prefetto, che si chiamava Pascasio, avendo ottenuto un rifiuto dalla ragazza al suo tentativo di convincerla a sposare il suo pretendente, ordinò che venisse condotta in un luogo di prostituzione per farle perdere la verginità e renderla donna di tutti piuttosto che di un Dio il cui culto era proibito nell'impero. Si racconta che i soldati che vennero a prenderla per portarla in quel luogo di prostituzione non riuscirono nel loro compito perché la ragazza divenne talmente pesante da non poterla trascinare. Quindi si utilizzarono pure alcuni tori nell'intento di riuscire a smuoverla, ma neppure così si riuscì nell'intento. Quindi Pascasio, ostinato nella sua lotta contro il Dio cristiano, ordinò che alla ragazza fossero cavati gli occhi, ma questi, dopo che venivano cavati, miracolosamente si rifacevano subito. Santa Lucia è per questo riconosciuta santa protettrice della vista.
 La processione (vedi foto dei festeggiamenti 2002) parte dalla chiesa dedicata a San Nicolò. Una bambina dell'età di circa sei anni, che impersona la santa viene portata a spalla da un uomo. La bambina tiene lo sguardo assente o chino per non lasciarsi distrarre da tutto quello che la circonda, strige tra le mani un ramo di palma a simbolo del suo martirio e un capo di una lunga corda che all'altro capo è legata al giogo di due buoi. Le due bestie, addobbate con nastri di vari colori, sono condotte da un bovaro che siede sul giogo stesso e procedono lentamente avanti alla santa. Nella processione, la santa è anche preceduta da un folto numero di giudei, nome con cui vengono chiamati dal popolo coloro che rappresentano gli uomini del prefetto Pascasio. Questi indossano vesti sgargianti dai colori giallo o porpora e tengono un elmo in testa. Aggrappati alla corda inscenano l'atto di tirarla aiutando i buoi nel tentativo di smuovere la santa. Fingendo di tirare con tutte le loro forze, mentre camminano sbandano ora da un lato ora dall'altro, tenendo in movimento la folla degli spettatori, accalcati ai lati della strada nel tentativo di scansarli.
 Ma il personaggio che più di tutti anima la scena è 'u diavulazzu, in scena già dal sabato pomeriggio con l'apertura dei solenni festeggiamenti: una sorta di buffone vestito con un abito rosso e in viso una maschera lignea di mirabile fattura, datata del '400, di autore ignoto. Quest'uomo porta una cintura a cui sono legati dei campanacci che mentre si muove avvertono sonoramente della sua presenza; tiene in mano 'u croccu, un lungo bastone di legno con alla sommità cinque punte ricurve all'indietro. 'U diavulazzu si muove instancabilmente e senza sosta, ora correndo ora saltellando, lungo la strada della processione avanti e dietro, agitando il bastone per spaventare la folla che assiste alla manifestazione, intrufolandosi tra questa che al suo passaggio fa il vuoto per scansarlo, tornando indietro per tentare la santa con il suo fare da buffone per cercare di distrarla dal suo stato assorto, quindi raggiungendo i giudei per incitarli a tirare con più forza.
 La processione si conclude al convento dei cappuccini, quando poco prima di raggiungerlo il bovaro stimola con un pungolo i buoi alla corsa. La Lucia invece rimane ferma sulle spalle dell'uomo che la porta a spalla, perché come narra la storia, non riuscendo a tirare la santa la corda si spezzò. I giudei sorpresi dall'improvvisa rottura della corda che tiravano anch'essi cadono in terra travolti e poi si disperdono disordinatamente tra la folla.
 Questa rappresentazione ha il carattere delle feste pompose e molto movimentate proprie dello stile spagnolo, dove è richiesta anche la partecipazione del pubblico. Probabilmente risale al periodo della dominazione spagnola. Perché in qualche modo ricorda le corse dei tori condotti alla corrida.
Chiesa dell'Immacolata Della chiesa dell'Immacolata oggi restano solo i muri perimetrali senza tetto. Rimangono inoltre un grande arco che sovrasta l'altare maggiore ed è possibile scorgere diversi stemmi dell'ordine francescano scolpiti sia all'interno che all'esterno della costruzione. Infatti la chiesa ospitò i frati Conventuali di San Francesco giunti a Savoca nel XIII secolo.
 La chiesa madre, cattedrale di Savoca, è intitolata a Maria Assunta raffigurata in un grande quadro. Fu edificata attorno al 1130, riedificata nel '400, fu sede dell'archimandrita e degli antichi abati. In stile normanno, ha un portale cinquecentesco, si sviluppa su tre navate all'interno divise da colonne con capitelli in stile romanico. Pregevole l'altare maggiore in marmo lavorato e il coro ligneo. Sulle pareti vi sono affreschi, che allo stato attuale purtroppo non sono in buone condizioni. Al suo interno si trova un cripta, dove in tempi remoti veniva eseguita la mummificazione dei cadaveri dei notabili del paese, per poi venire conservate nella cripta della chiesa dei cappuccini. Dal 1910 la chiesa è monumento nazionale.
 A Savoca la morte fu oggetto di un particolare culto in cui convergevano scienza, ritualità e fanatismo. Nel convento dei cappuccini che è del 1614, mediante una botola in legno che si trova sul pavimento della chiesa dell'edificio, si accede a delle stanze sotterranee, chiamate impropriamente catacombe, dove disposte in nicchie ci sono cadaveri imbalsamati di antichi notabili del paese di Savoca, giudici, preti, baroni. 17 di questi stanno appesi in orizzontale ciascuno in una nicchia e indossano eleganti vestiti di seta e scarpe a fibbia dell'epoca. Purtroppo al giorno d'oggi questi corpi mummificati si presentano sfregiate con vernice verde a causa di un atto vandalico risalente agli anni ottanta. Altre 5 mummie sono riposte in urne di vetro, artisticamente lavorate, 12 sono riposte in bare. Tra questi corpi mummificati ci sono anche quelli di 3 bambini.
 L'imbalsamazione veniva praticata mediante una tecnica locale, che ha consentito di conservare e fare arrivare fino ai giorni nostre diverse salme in condizioni piuttosto buone. L'imbalsamazione dei morti avveniva cospargendo la salma di aceto e ricoprendola di sale, quindi il corpo veniva steso all'interno della cattedrale che era un luogo ben areato, sfruttando tutte le aperture dell'edificio. Mediante le correnti d'aria si otteneva un rapido ed uniforme essiccamento del corpo che ne garantiva la conservazione per lungo tempo.
 L'edificio del convento dei cappuccini, al piano terra ospita una biblioteca il cui patrimonio letterario che si stima fosse vasto e di grande valore è andato in larga parte perduto o distrutto, quindi un refettorio adornato da affreschi pregevoli del frate Gaetano la Rosa, cappuccino del 1608, la cucina e alcune celle; il piano superiore è tutto adibito a celle per i frati.
 La chiesa di San Michele è del XVI secolo e si presenta con un bel portale. Al suo interno rimane ben poco, ma l'ambiente di quelle mura spoglie e sgretolate dal tempo e dall'incuria hanno un fascino particolare da vederla scena di numerose mostre d'arte.
castello Pentefur Il castello Pentefur sorge in una posizione strategica, sopra uno dei poggi più belli e panoramici del colle che ospita Savoca e che si affaccia verso sud-est. Sembra che esso sia stato realizzato in tempi antecedenti alla dominazione araba, nell'epoca dei pentefur, i primi abitatori di Savoca, gli aborigeni del luogo. Il castello fu ricostruito dagli arabi stessi e poi dai normanni che lo ampliarono, trasformandolo da fortezza in residenza. Di questo oggi rimangono solo ruderi recintati da un alto muro a merli.
 Attraverso le sue mura si aprono passaggi sotterranei che dovevano consentire agli abitanti del castello di evacuarlo per fuggire molto lontano, in caso di pericolo. Il Pentefur ebbe sempre una grande importanza per la difesa di Savoca. Nel territorio circostante furono costruite a tale scopo delle torri di avvistamento che si potevano raggiungere con mezzi convenzionali. Questi avamposti avevano lo scopo di controllare la costa e di segnalare l'eventuale avvistamento di nemici, in modo che la gente di Savoca riuscisse ad organizzare la difesa della città.
 All'inizio del 1900 queste torri erano sei; oggi ne rimangono in perfetto stato solo tre. Di queste torri, cinque sorgevano sull'attuale territorio di Santa Teresa di Riva, l'antica Marina di Savoca: torre Varata, torre dei Saraceni, torre dei Bagghi e torre Avarna. La sesta venne eretta a Roccalumera, detta la torre di zia Paola, o torre Ficara.
 Nella piazza principale del paese, c'è il bar della signora Maria, che fu da sfondo ad alcune scene del film il Padrino parte II e nel film chiamato bar Vitelli.



Santa Teresa di Riva



Pagina aggiornata il 6 maggio 2000. Autore: Filippo Spadaro