Capitolo 72: La triste melodia della solitudine

 

La nave dei sei Arvenauti arrivò rapida sotto la rocca, nessuno era riuscito ad avvistarla, tanto era esile e veloce la sua figura sull’acqua e ciò permise ai sei Naviganti maledetti dagli dei di ancorarsi quietamente vicino alla scogliera.

“Pandora, ora tocca a te”, esordì dopo qualche secondo Argos, una volta costatato che tutto andava bene, “riesci a portare questa corda fino allo sbocco fognario?”, domandò il Guardiano, porgendo una lunga fune alla Signora del Nero Sciame. “I miei insetti non sono un problema, seppur una tortura, non si sono mai opposti a ciò che sono i miei pensieri e desideri, quindi porteremo la corda fin lassù”, sentenziò quietamente la donna, prendendo la fune fra le mani prima di liberare l’oscuro stormo di insetti, che veloce si sollevò in cielo con un pesante ronzio, che fortuitamente non fu sentito da nessuno.

Quando arrivò allo sbocco fognario, lo sciame si ricompose in Pandora, che subito gettò la fune ai cinque compagni, che ne presero l’estremità al volo.

“Saliremo con un ordine preciso e logico”, avvisò subito Argos, porgendo la fune ad Atanos, “Per primo tu, che con la spada potrai fare delle fessure nella roccia dove noi potremo appoggiare i piedi e le mani, se servirà. Dopo andrai tu, Acteon, che con gli artigli puoi arrampicarti abbastanza facilmente, soprattutto se puoi far uso dei medesimi buchi da lui creati ed in seguito sarò io a salire, così da avere sotto controllo sia voi che salite, sia loro che resteranno dietro e poter pensare una strategia, se necessario. Mi seguirà Iason, che con la sua agilità potrà facilmente farsi da parte, se qualcuno di noi, che guidiamo la salita cadrà ed infine Eracles, che chiuderà il gruppo, ma che avrà anche un ruolo fondamentale”, spiegò l’ex semidio, rivolgendosi al giovane compagno di viaggio, “dovrà, se mai cadremo, sostenerci con un unico braccio, poiché è l’unico che ha la forza di farlo, o prenderci al volo, nel peggiore dei casi”, concluse Argos, mentre già l’Immortale iniziava la sua scalata.

“Spero che nessuno mi debba prendere, a dirla tutta”, osservò divertito Acteon, seguendo l’amico Immortale, “Lo speriamo tutti”, replicò Iason, mentre già Argos iniziava a seguire il Cacciatore, precedendolo.

I cinque compirono velocemente la scalata, senza problema alcuno, poiché i buchi scavati dalla spada di Atanos risultavano abbastanza profondi e larghi da potervi appoggiare tranquillamente la mano o il piede, così da permettere una facile scalata anche ad i meno agili del gruppo.

“Adesso dove andiamo?”, domandò Eracles, quando anche lui, ultimo della fila, riuscì ad entrare nello sbocco fognario, “Di là”, rispose prontamente Argos, indicando la via seguita dal tunnel.

 

La corsa dei sei fu molto veloce, nessuno di loro rallentava il gruppo, malgrado il luogo in cui erano costretti a correre, circondati da rifiuti, liquami ed altri lasciti della normale vita di ogni persona, come resti di cibo o abiti strappati, tutto veniva incanalato nelle fognature e disperso nell’ampio mare sotto la città, come poterono facilmente intuire gli Arvenauti.

Il tetto di quella fognatura era in parte fatto di solida roccia, in parte dalla stessa terra di superficie, che in alcuni punti sbucava nella fogna.

Il tragitto del gruppo, però, fu ad un tratto fermato, quando Argos ed Acteon, che li conducevano, percepirono qualcosa, “Che succede?”, domandò subito Eracles, “C’è qualcuno, lo sento anch’io, ma non so chi sia, di certo un mortale”, osservò Pandora, prendendo la parola.

“Si, un uomo poco lontano, direi fra due, o tre curve lo troveremo ad attenderci”, rispose Acteon, trovando Argos concorde, ma silenzioso.

“Andiamo allora”, suggerì freddamente Atanos, facendosi avanti e seguendo subito il Guardiano ed il Cacciatore.

Pochi passi e le due curve che li separavano dal nemico furono superate, permettendo così ai sei di scoprire chi li attendeva: Orpheus.

“Sono lieto di trovarvi qui, Arvenauti, dunque le notizie che ci sono arrivate erano vere”, esordì il Musico, con in mano il suo cupo strumento di morte, “ora vi chiedo di ritirarvi, se non volete perire”, sentenziò con voce decisa.

“Avanzate”, replicò allora uno dei sei, “lasciatelo a me, come già avevamo deciso”, concluse Iason, ponendosi dinanzi al Musico. “Lo dobbiamo tutti ad Odisseus, lasciamo che sia lui ad occuparsene”, concordò Argos dopo alcuni secondi di silenzio, quindi iniziò a camminare, insieme agli altri cinque.

“Dove pensate di andare?”, domandò allora Orpheus, avvicinando le mani all’arpa, prima che una forte corrente lo gettasse a terra, dando ai cinque il tempo di oltrepassarlo ed allontanarsi.

 

Orpheus si rialzò subito dopo, osservando Iason, l’unico rimasto ad affrontarlo. “Sei stato tu a farmi cadere, vero? Con le stessa tecnica che ti ho visto usare in questi giorni. Cosa fai? Domini i venti, o che?”, domandò perplesso il Musico, senza ricevere risposta alcuna, “Qualunque cosa tu faccia, non riuscirai di certo a fermare la musica del mio strumento”, concluse, iniziando una triste requiem.

Iason non capì quale fosse l’intento del suo avversario, non vedeva cadaveri intorno a loro, quindi era impossibile che qualcuno venisse in soccorso del Musico Oscuro; perciò, senza attendere oltre, il Guerriero si lanciò all’attacco.

Con un agile salto Iason arrivò vicinissimo al nemico, colpendolo con un potente pugno al ventre, pugno che finì con disperdere l’aria intorno a se, poiché non vi era nessuno dinanzi a lui, se non un’immagine residua.

“Come ti sei spostato così velocemente?”, esclamò l’Arvenauta, voltandosi e trovando Orpheus alle sue spalle, vicino alla parete da cui lui era partito, “La mia musica è musica di morte, ma un tempo ero da tutti lodato per le mie abilità con l’arpa, abilità che inebriavano i sensi, confondendoli e permettendomi di far loro vedere ciò che desideravo”, spiegò con tono rammaricato il Musico.

“Questa è dunque una magia?”, domandò perplesso Iason, “Nessuna magia, Guerriero di Aven, semplicemente una melodia così armoniosa, seppur triste, da far rilassare persino la mente e renderti quindi più lenti i tuoi sensi nel percepirmi”, rispose prontamente Orpheus, prima che una spinta arrivasse alle spalle dell’Arvenauta, segno che il Musico si era già spostato.

“Vuoi quindi fare questo gioco? Costringermi a venirti dietro per tutta la fognatura? Cercare di ingannare i miei sensi con la musica?”, tuonò Iason, voltandosi di scatto, “Se potessi fare ciò che voglio, non sarei nemmeno qui in mezzo alla battaglia, ma sarei ancora al tempio di Porian in cui vivevo, felice di servire il mio Celeste Signore ed amare una donna. Ma purtroppo i desideri e le volontà sono spesso sottomessi al destino ed alle ironie degli potenti, quindi io devo ucciderti, per volere di chi mi comanda”, concluse la voce di Orpheus, prima che Iason sentisse sopra di se alcune decine di braccia ossute che lo trattenevano per la gola.

“Che cosa?”, riuscì appena a balbettare il Guerriero, sentendosi addirittura sollevato da terra, “La musica ha rallentato non solo i sensi, ma anche la percezione del dolore, sembrerebbe, perché non hai sentito nemmeno la forza della loro stretta”, osservò Orpheus, “La stretta di chi?”, ringhiò Iason, “Dei morti nel cimitero sopra di noi”, rispose prontamente il Musico, “siamo all’altezza del secondo muro esterno, sopra di noi c’è il cimitero cittadino e da un terreno inumidito dai corpi e dalle erbacce, non ci si può aspettare molta resistenza se utilizzo la mia musica per rianimare i morti”, concluse.

“Ho capito il tuo piano, ma c’è una cosa che non hai calcolato, Musico”, avvisò prontamente Iason, “Quale?”, domandò incuriosito Orpheus, “Il motivo per cui non ho percepito il dolore, lo stesso per cui questi cumuli di ossa non potranno abbattermi”, spiegò il Guerriero, prima che i suoi occhi brillassero di un’intensa luce azzurra, che ne circondò poi il corpo.

Il Musico Oscuro vide le mani di Iason appoggiarsi con irruenza alla pietra del terreno sovrastante, quindi, con un movimento che aveva dell’innaturale, il Guerriero roteò in verticale su se stesso, scavando con i piedi nel terreno ed aprendo una profonda voragine sopra di se, voragine che fece crollare l’intero tetto di pietra sopra di loro, permettendo alla luce della luna di illuminarli.

“Ma come è stato possibile?”, si chiese Orpheus, rialzandosi a stento dagli ammassi di pietra, circondato da cadaveri sparsi sul terreno, “Questo è uno dei doni di Odisseus, frutto di un duro addestramento a cui il grande Navigatore mi aveva iniziato, addestramento che dovrò completare da solo dopo la sua perdita”, spiegò Iason, rialzatosi in piedi, apparentemente illeso.

“Sei stato bravo, Iason, ma non immagini ancora quale vantaggio tu mi abbia dato”, avvisò Orpheus, guardandosi attorno. Decine di cadaveri erano ora al suolo, fra i due combattenti e già la musica del Generale Oscuro li iniziava ad animare, “Ben presto cadrai ed a te dedicherò tristi parole di requiem in qualche momento di notturna solitudine”, concluse, mentre già nuove schiere erano pronte ai suoi ordini.

“Prima di attaccarmi, Orpheus, rispondi ad una domanda”, replicò prontamente Iason, “Perché il tuo sguardo a Seev era così pieno d’odio, mentre adesso vedo solo tristezza, una tristezza infinita, perché?”, domandò il Guerriero di Aven, guardando con occhi cupi il suo avversario.

La musica di Orpheus si fermò, “Hai ragione”, osservò il Musico, “allora ero pieno di odio. Odio per la perdita della donna amata, odio perché con lei avevo perso la mia fede ed i miei stessi capelli, per il dolore e la disperazione, erano diventati bianchi, ma soprattutto, il mio odio proveniva dall’aver incontrato quell’essere, la creatura che ha resuscitato Pirros e suo padre, la stessa che mi aveva inondato con il suo cupo sentimento, ma ora l’odio ha lasciato il posto alla disperazione, la sofferenza per ciò che faccio e ciò che vedo intorno a me”, concluse con voce secca Orpheus.

“Allora, se soffri delle tue azioni, perché ci combatti?”, tuonò innervosito Iason, “Per placare la mia solitudine ed il dolore di aver perso la donna che amavo”, spiegò il Musico, “Che intendi dire?”, domandò l’Arvenauta.

“Come ti ho detto, ero un sacerdote di Porian, per lui suonavo la mia arpa, per lui e per la donna che stavo per sposare, Euris. La mia vita era felice, Guerriero di Aven, ma non immaginavo che la felicità persa facesse sprofondare in un tale abisso di disperazione. La mia futura sposa, Euris, era una sacerdotessa di Porian anche lei e durante un rituale con il fuoco, per una beffarda ironia del destino, scoppiò un incendio nel tempio. Io non ero lì allora, ero stato inviato ad addestrare alcuni nuovi adepti al culto di Porian, proprio qui a Passis. Quando tornai al tempio vidi il suo cadavere, un dolore tremendo il dolore che mi fece diventare i capelli bianchi, il dolore che rese empia la mia fede e le mie speranze, il dolore che diede vita al mio odio”, raccontò Orpheus.

“Per diverso tempo vagai per le vie della città in cui avevo vissuto, non ero più il primo Musico e nobile sacerdote di Porian, ma un vagabondo che stava persino perdendo l’amore per la sua musica, finché non lo incontrai. Mi apparve nero ed incappucciato e mi portò in un cimitero, dove resuscitò Pirros e suo padre, lì mi promise che se lo avessi servito con quest’arpa, lui mi avrebbe ridato la mia sposa, Euris. Ma ormai non so se, quando lei mi guarderà negli occhi, rivedrà l’uomo di cui si era innamorata. Troppi crimini ho commesso in questa guerra, troppi morti ho dissacrato, però non posso più tornare indietro, ormai”, concluse Orphues, ricominciando la sua melodia di requiem, che animò i cadaveri fra di loro.

“Hai abbandonato il tuo cuore, l’amore per la musica e tutto ciò che ad esso era legato per la speranza di rivedere chi già è morto? Musico, ti pensavo più saggio”, esclamò infuriato Iason, lanciandosi all’attacco.

Decine di scheletri si erano intanto sollevati, raggiungendo l’Arvenauta con pugni e calci, ma il corpo di Iason era nuovamente circondato da celesti bagliori, bagliori che divennero quasi dei lampi quando iniziò a muovere le braccia per difendersi.

Orpheus fu sbalordito da ciò che vide: ogni pugno del suo nemico sollevava dieci scheletri da terra, ogni calcio ne spazzava via il doppio, con forza e velocità l’Arvenauta si faceva avanti senza sosta, finché non gli fu quasi addosso; solo la musica cupa, che distoglieva i sensi, permise al Generale Oscuro di salvarsi, facendo frantumare la parete su cui si scagliò Iason.

“Come puoi non capire, Orpheus, come puoi essere così cieco da fidarti di quei guerrieri? Tu devi essere più saggio! Tu sei il discendente di Odisseus!”, tuonò infuriato il Guerriero di Aven, mentre cercava il suo nemico fra la musica.

“Discendente di Odisseus? Che cosa stai dicendo?”, domandò la voce perplessa di Orpheus, “Si, il simbolo sulla tua gamba, la voglia a forma di stella marina, è genetico, un’eredità che indica la tua discendenza da Odisseus, il nostro Navigatore”, spiegò con voce sofferente Iason.

Una risata echeggiò fra la musica, un triste segno di un animo sofferente, “Forse, oltre alla voglia sulla gamba sinistra, mi è stato lasciato anche il peso della sua maledizione. Restare solo e non avere niente in cui credere, anch’io sono ormai così”, osservò con triste certezza il Musico.

“Sei un’idiota, Orpheus, niente di più”, lo criticò allora Iason, con voce ferma, “non capisci cosa sia veramente una maledizione, ti sembra che l’unica sofferenza di Odisseus fosse la solitudine, o che forse egli non credesse in niente? Allora ti sbagli, Musico, ti sbagli del tutto”, concluse il Guerriero.

La musica divenne quindi più intensa, “Forse mi sbaglierò, ma la nostra non è una diatriba su chi ha sofferto di più fra me ed il mio possibile antenato, è uno scontro fra chi vuole far finire questa guerra con la pace e chi ha giurato di servire coloro che vogliono la distruzione di tutti, Lutibiani ed Avenui”, avvisò il Generale Oscuro, mentre i cadaveri si rialzavano, avanzando di nuovo verso Iason, i cui sensi erano ancora rallentati dal dolce e cupo suono della lira nera.

Il Guerriero sembrò non curarsi più del suo nemico e degli altri cadaveri che intorno a lui si muovevano, “Come sulla nave, come allora, seguirò i tuoi consigli, mio maestro ed amico”, sussurrò fra se l’Arvenauta, appoggiando i piedi al suolo con fermezza e guardando i diversi scheletri che gli si avvicinavano.

Orphues poté di nuovo osservare quella luce azzurra che circondava il corpo del suo avversario, una luce che stavolta era ben più intensa, tanto che, quando il primo gruppo di scheletri si gettò contro l’Arvenauta, tutto ciò che il Musico vide fu un bagliore accecante, poi le ossa disperse intorno ad Iason, come se un’arma potentissima le avesse frantumate, dividendole.

Altri cadaveri si lanciarono contro il Guerriero di Aven, ma questi con un agile salto li oltrepassò, colpendone uno alla scapola sinistra. Bastò quel semplice colpo per lanciare lontano quel nemico ed i due che gli erano vicini.

Quando fu a terra, Iason fu attaccato da altri non morti ed uno di questi affondò le proprie unghia nella sua pelle, strappandogliela all’altezza della spalla destra, ma il Guerriero di Aven non se ne curò, anzi, con la semplicità con cui si allontana un insetto, si mosse, travolgendo altri cinque nemici e poi scattò, con la medesima velocità che già aveva investito Chiron e Shura, con quella Iason passò fra gli altri cadaveri, lasciando dietro di se solo dei corpi macellati, incapaci di attaccare ancora.

“Sei stupefacente, Guerriero di Aven, lo devo ammettere, ma queste tue doti ci portano ad una fase di stallo, una situazione in cui né tu, che sembri imbattibile con le semplici doti dei miei cadaveri, né io, che da te non posso essere raggiunto, perderemo”, concluse la voce di Orpheus, confusa nella musica.

“Su questo hai ragione, ma non sai cosa mi ha trasmesso il tuo antenato”, avvisò con determinazione Iason, mentre la luce azzurra si affievoliva intorno a lui.

 

“Devi sentire l’Essenza respirare con te, devi guidare la tua presenza nell’Essenza. Tutto ciò che è in lei è completo, privo di ogni difetto, privo di distrazioni ed inganni”, questo aveva spiegato una volta Odisseus ad Iason sulla nave, quando ancora si dirigevano verso Ten-Lah, parole che allora il Guerriero non aveva ancora compreso, ignaro dei poteri dell’Essenza, ma adesso tutto ciò che gli era stato detto, era per lui un’arma da poter usare in quella battaglia.

 

Lentamente la mente di Iason sembrò svuotarsi: la musica, l’odore di cadaveri, la brezza notturna, tutto andava disperdendosi intorno a lui, non vi era più niente eccetto la sua presenza in qualcosa di più grande, una gigantesca forza che circondava tutto e che alla fine permise all’Arvenauta di vedere qualcosa, una figura che si delineò alla sua sinistra, appoggiata cupamente al muro dietro di se con l’arpa in mano.

Orpheus vedeva il suo avversario fermo, quasi addormentato, con gli occhi chiusi ed il capo chino verso il suolo, poi, d’improvviso, Iason alzò la testa, sorridente e si voltò di scatto. Ciò che accadde dopo sbalordì il Generale Oscuro: il suo nemico mosse il braccio, da lunga distanza, ma quella distanza non sembrò essere un problema, poiché Orpheus fu sollevato da terra da una forza inumana, una forza che lo travolse.

Pochi attimi dopo il Musico si ritrovò al suolo, l’arpa nelle sue mani era distrutta ed anche la corazza con il teschio, sentiva delle forti fitte di dolore l’uomo dai capelli bianchi, mentre cercava di rialzarsi, ma la presenza di Iason glielo impedì.

“I miei complimenti, non si può negare che tu mi abbia vinto, ora, forza, finiscimi”, esordì Orpheus, respirando a fatica, “Non avevo mai avuto intenzione di ucciderti, ma come lo stesso Odisseus desiderava, io volevo solo conoscerti e fare in modo che tu conoscessi lui. Il Navigatore era solo, come te, ma non per questo era caduto nel baratro in cui stavi affogando tu, quello dell’odio. Le maledizioni che gli dei, o altri uomini, infliggono alle persone non si pesano a seconda di come ti fanno soffrire, ma da quanto ti lasciano solo. Atanos, Argos, Acteon e Pandora, tutti loro, come Odisseus, avevano perso ciò a cui tenevano e tutti erano rimasti soli per tempo infinito, ma adesso hanno tutti qualcuno che gli sta vicino e tutti hanno fede, forse non negli dei, ma l’uno nell’altro, questo di certo.

Non lasciare che l’Idra Nera ti rende suo schiavo, poiché loro non ridanno la vita per aiutare, ma solo per usare coloro che resuscitano e soprattutto, perché anche se tornasse alla vita, lei non sarebbe più la tua Euris, ma una sua nuova forma, una forma senza vitalità alcuna in se, qualcosa di vuoto, che non potrebbe più darti le stesse sensazioni. I morti si piangono, restano nel cuore, ma non possono più tornare, una volta andati via, capisci questo, discendente di Odisseus, e forse ritroverai una strada da poter percorrere”, concluse Iason, voltandosi.

“Ti ringrazio”, esclamò ad un tratto Orpheus, “per queste tue parole e per tutto il resto. Ma ora fai attenzione, perché il piano di Pirros e di chi ci comanda deve avere qualcosa a che fare con oggi, altrimenti non avrebbe mobilitato entrambi”, avvisò, “Chi vi ha mobilitati?”, domandò l’Arvenauta, “Axides, colui che ci comanda qui, colui che sta aspettando di ascendere”, rispose il Musico, prima di vedere il suo avversario allontanarsi, mentre nel suo cuore e nella mente i pensieri si ricorrevano, cercando un nuovo ordine.