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Back to Homepage Annuario 2003

 

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L’immagine degli stati italiani nella stampa romena (1829-1847).

Un nuovo approccio

 

Raluca Tomi,

Istituto di Storia “Nicolae Iorga”,

Bucarest

 

“La stampa periodica è una potenza; è anzi la sola potenza dei tempi moderni. Lo è per i mezzi di cui dispone e per la natura stessa del suo apostolato; perché parla e insiste; percorre rapidamente e ad ora fissa il paese al quale volge le sue parole; è per l’intelletto ciò che il vapore è per l’industria”, diceva Mazzini. L’apostolo genovese credeva nel potere magico della stampa nel modellare le coscienze e nel mobilitare le anime.

        Gli studi consacrati all’immagine dello spazio italiano nella stampa romena del XIX secolo sono numerosi[1]. Sulla base delle tre pubblicazioni romene caratteristiche per l’élite culturale romena dell’epoca, “Albina Românescă[2], “Curierul Românesc[3] e “Gazeta de Transilvania[4], ci siamo proposti di cogliere gli aspetti della società italiana – politici, sociali, demografici, culturali –, di valutare il peso che hanno avuto nelle pagine di ogni periodico menzionato e nelle influenze esercitate sui lettori romeni, in un periodo in cui entrambi gli spazi stavano cercando soluzioni per la costituzione degli stati nazionali. Ci siamo soffermati sulle tre pubblicazioni anche per via delle affinità che i loro redattori – Gheorghe Asachi, Ion Heliade Rădulescu, George Bariţiu – avevano con la storia e la cultura italiana.

Ai fini di un’organizzazione efficiente dell’impressionante materiale dedicato agli eventi politici – moti rivoluzionari, attività delle società segrete, tentativi di riforme ecc. – faremo una divisione secondo le sequenze temporali: i moti rivoluzionari del 1831, il periodo 1832-1845, quando le forze della restaurazione si confrontano con lo spirito riformista e con la nuova via rivoluzionaria teorizzata da Mazzini e gli anni 1846-1847, preludio della tappa rivoluzionaria 1848-1849.

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All’inizio del quarto decennio, una nuova spinta rivoluzionaria farà tremare l’Europa della Santa Alleanza in Francia, Belgio, Polonia e Italia centrale. I movimenti nei ducati di Modena e Parma, a Roma e negli Stati della Chiesa metteranno l’élite politica di fronte ad alcuni dilemmi: stato unitario o confederazione, monarchia o repubblica.

I periodici menzionati attingono informazioni, articoli da pubblicazioni prestigiose, “Times”, “Gazzetta di Milano”, “Gazzetta di Torino”, “Diario di Roma”, “Il Giornale del Regno delle Due Sicilie”, “Le Journal de Midi”. Le notizie sullo penisola sono presentate nelle rubriche intitolate Italia. Solo nella “Gazzetta di Transilvania”, il Regno Lombardo-Veneto veniva inquadrato nello spazio consacrato alla monarchia asburgica.

I moti rivoluzionari del 1831 sono ampiamente presentati su “Albina Românească”, con 18 articoli o appunti informativi. Nel numero del 15 febbraio 1831 si annunciava che a Modena erano scoppiati “eventi sconvolgenti”, che avevano come fine l’allontanamento del duca Francesco il IV. Per l’autore dell’articolo era l’occasione di presentare brevemente alcune informazioni sul ducato: “Il ducato di Modena si trova nella parte meridionale dell’Italia e ha 437.000 abitanti. Vi regna l’arciduca Francesco il IV d’Austria. Il reddito del Paese ammonta ai dieci milioni di lei; ha un esercito di 1.200 pedestri e uno squadrone di cavalleria. La capitale è Modena, con 24.000 abitanti, ha una bella corte e un’Università; vi si trova anche la cittadina di Carrara, dove si ricava il più bel marmo bianco”[5]. Il tentativo fallito del duca di prevenire il movimento con l’arresto dei principali sospettati – viene ricordato l’episodio della cattura di Ciro Menotti –, la costituzione di un governo provvisorio con a capo il dittatore Biaggio Nardi, che aveva fatto il “prete durante le rivoluzioni italiane del 1793”[6] e, non per ultimo, l’ingresso delle truppe austriache, che avevano sconfitto la resistenza degli insorti[7] nella battaglia di Novi, sono tutti episodi commentati nelle pagine del periodico.

Fin dai numeri del gennaio 1831, Asachi informava dell’esistenza di “un complotto a Roma”, che mirava a fare cadere “il governo clericale del Papa”, e che vedeva coinvolto anche uno dei figli di Luigi Bonaparte[8]. Le rivolte si estesero anche a Bologna, Ferrara, Ancona, dove i rappresentanti del Papa furono costretti a ritirarsi e dove si costituirono governi provvisori[9]. Correva la voce che Bologna e Ferrara avrebbero voluto avere come capo Napoleone II, mentre Ancona avrebbe voluto unirsi al Regno delle Due Sicilie[10].

Gli eventi di Parma vengono presentati nel numero del 26 febbraio 1831: “Nella notte del 31 gennaio si fecero vedere nella città di Parma i segni della rivoluzione. I cittadini della città di Reggio sono entrati a Parma gridando: “Evviva la

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libertà!”. Fu costituita la guardia nazionale e vennero nominati i nuovi dirigenti. Maria Luisa a stento riuscì a lasciare Parma”[11].

In base alle notizie arrivate dagli stati italiani, il redattore della pubblicazione di Iaşi cercava di spiegare le cause della sconfitta dei moti rivoluzionari. Oltre all’intervento delle truppe austriache, chiamate in aiuto da Francesco il IV di Modena e dai rappresentanti del pontefice, una delle spiegazioni di questo fallimento era la mancanza di unione tra le città italiane: “Tra le città in rivolta c’è una grande disunione... Alcune di loro vogliono fare in Italia una confederazione di piccole repubbliche, altre vogliono formare una grande monarchia”[12].

Nel “Curierul Românesc” le menzioni circa i disordini nel centro della penisola sono poche – solo 7 – e hanno un carattere puramente informativo. Vengono ricordate prevalentemente le rivolte di Modena[13] e Parma[14]: la partenza dei legittimi sovrani e la costituzione dei governi provvisori, l’ingresso delle truppe austriache e la sanguinosa sconfitta dei gruppi rivoluzionari.

Il periodo 1832-1845, tappa tumultuosa in cui le misure restrittive non riescono a limitare l’attività delle società segrete, né il bisogno di riforme della società nel suo insieme, verrà analizzato attraverso la politica interna di ciascun stato italiano.

L’attività dei gruppi mazziniani intorno alla “Giovine Italia” e della “Giovine Europa” verrà presentata a parte.

Negli Stati della Chiesa, il nuovo papa Gregorio XVI, scelto dai conservatori, cercava senza successo di fermare l’attività dei gruppi liberali. “Albina Românească” riserva ampi spazi alle rivolte del 1832 negli Stati della Chiesa. Vengono ricordate la missione del cardinale Giuseppe Albani, nominato commissario straordinario del Papa per la pacificazione delle agitazioni di Bologna, Ravenna, Forlì[15]; la vittoria delle truppe papali sugli insorti di Cesena[16]. Numerose menzioni sono dedicate all’ingresso dell’esercito austriaco del Lombardo-Veneto, chiamato in aiuto dal cardinale Albani[17]. Nei numeri del marzo 1832, Asachi informava il pubblico circa l’occupazione di Ancona da parte dei francesi, in risposta alla presenza delle truppe austriache nel centro della penisola[18]. Il comandante della città venne arrestato dalle truppe francesi, che lo dichiararono prigioniero di guerra[19]. Nella gazzetta di Iaşi vengono presentati gli sforzi diplomatici compiuti nei mesi di marzo-aprile 1832 al fine di allentare le tensioni nei rapporti tra la Francia e la Santa Sede. Se nel numero del 24 aprile venivano

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ampiamente raccontate le proposte di riconciliazione[20], in quello del 5 maggio si annunciava la firma del trattato che prevedeva lo statuto delle truppe francesi ad Ancona[21].

Nel “Curierul Românesc” del 7 febbraio 1832 compariva una menzione sulle agitazioni di Forlì e sull’iniziativa del cardinale Albani di chiamare in aiuto le truppe austriache[22]. Apparivano notizie sulla pacificazione di Bologna[23] e sull’occupazione di Ancona da parte dei francesi. Questi ultimi erano guardati con entusiasmo dagli abitanti della città. “Stamattina i liberali giravano per le strade, ornati di rose e con il simbolo nazionale: bianco, rosso, verde[24] - si diceva in una notizia presa dalla gazzetta di I. H. Rădulescu.

Le pubblicazioni di Bucarest e Iaşi presentavano gli sforzi di Gregorio  XVI  per mantenere il regime conservatorio nelle sue province. La proibizione degli scritti liberali di Lamennais[25], Lamartine[26], l’organizzazione di un Consistorio segreto[27], la riorganizzazione dei corpi di volontari del Papa[28], sono tutte misure commentate da Asachi e Heliade Rădulescu. Se nelle due pubblicazioni citate venivano accentuati i tratti conservativi del pontefice, nella “Gazeta de Transilvania” erano presentate le sue azioni benefiche: la pubblicazione dell’enciclica contro il commercio di schiavi[29], l’incontro con lo tzar Nicola I e il dibattito sullo statuto dei cattolici in Russia[30]. In parallelo, Bariţiu commenta le agitazioni del 1834 a Bologna, cercando di precisarne il carattere: “E’ molto difficile appurare il carattere delle nuove agitazioni negli stati papali. Non si possono chiamare rivoluzioni perchè non si è vista nessuna proclamazione rivoluzionaria o notizia di un grande piano, né si è lavorato con una potenza armata significativa da parte degli insorti”[31]. Circa i capi del movimento, il pubblicista di Braşov sottolineava la loro origine, “una parte dei giovani dal basso e una parte dall’alto”[32]. Le agitazioni del 1843 di Rimini[33], Ravenna, Romagna[34] sono presenti nelle cronache di “Curierul Românesc” e della “Gazeta de Transilvania”. Entrambe le pubblicazioni presentano il programma dei moderati delle province pontificali intitolato

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Manifesto degli abitanti dello stato romano ai principi e ai popoli d’Europa, in cui si menzionava: “I nostri desideri tengono davanti agli occhi sia il prestigio del trono apostolico, quanto i diritti della patria e dell’umanità; noi onoriamo la gerarchia della Chiesa e il clero intero, riconosciamo la sovranità del papa come capo della Chiesa apostolica; per quanto riguarda il suo riconoscimento come potere temporale, i nostri principi sono: amnistia politica, codice civile e penale, tribunale di giurati senza confisca e abolizione della pena di morte, tribunali ecclesiastici che non devono giudicare le cause civili, amministrazione locale eletta dai cittadini, ritiro delle truppe straniere e costituzione delle guardie comunali”[35].

L’evoluzione del Regno delle Due Sicilie viene seguita con interesse dalle tre gazzette romene. La politica estera del re Ferdinando II viene presentata nella stampa romena attraverso due momenti: il conflitto commerciale con l’Inghilterra a causa del contratto dello zolfo e la visita dello tzar Nicola I. Le menzioni più numerose sul conflitto anglo-napoletano le troviamo su “Curierul Românesc”, che annunciava l’arrivo della flotta britannica[36] e la determinazione del re Ferdinando di rispondere militarmente[37]. Nello stesso tempo, viene presentata l’azione di mediazione della Francia[38]. Invece Asachi segue, nella sua pubblicazione, l’intero percorso dello tzar e della tzarina nel sud della penisola[39]. Per quanto riguarda i moti rivoluzionari, la stampa romena ha presentato ampiamente la spedizione dei fratelli Bandiera. Su “Albina Românească” si menzionava: “Il 1 giugno ha lasciato Corfù una nave che trasportava una banda ben preparata, con soldi, armi e munizioni, il 4 sono sbarcati in una piccola città della Calabria. La guardia della città ha raggiunto la banda vicino ad un piccolo villaggio, San Giovanni in Fiore. A capo della spedizione c’erano: Ricciotti, i fratelli  Bandiera, l’ufficiale della marina Domenico Moro”[40]. Anche sulla “Gazeta de Transilvania” si annunciava il nuovo tentativo di rivolta con a capo i due figli del contrammiraglio Bandiera[41].

I ducati del centro Italia non rientravano nella sfera di interesse dei pubblicisti romeni nel periodo 1832-1845.

Per il Regno Lombardo-Veneto, l’evento più importante è stato la visita dell’imperatore e dell’imperatrice d’Austria nell’anno 1838. “Albina Românească” concesse ampi spazi a questo evento, descrivendo le celebrazioni di Milano e Venezia[42].

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L’incoronazione dell’imperatore e dell’imperatrice d’Austria come monarchi del Regno Lombardo-Veneto rappresentava la principale attrazione dell’autunno del 1838, cui la gazzetta di Brasov concedeva non meno di cinque articoli[43].

L’elezione di Pio IX ha segnato una nuova tappa nella storia dell’Italia prima della rivoluzione. Il pontefice è quello che ha inaugurato la serie delle riforme, destando l’entusiasmo degli ambienti liberali e stimolando l’attività dei gruppi radicali. L’insediamento del nuovo papa viene ricordato nella stampa romena attraverso articoli che descrivevano la sua attività fino al momento della sua elezione[44]. Intuendo lo spirito innovatore del pontefice, Heliade Rădulescu lo caratterizzava: “il nuovo Papa è più del suo tempo”[45]. Per “Albina Românească” l’evento era un’occasione di istruire il pubblico circa la storia dei conclavi[46] e di raccontare il fasto delle celebrazioni romane che inaugurarono il nuovo pontificato. E’ particolare il numero del 22 settembre, dove un testimone anonimo racconta la festa di Santa Maria: “S.S. il Papa Pio IX, continuando la tradizione dei suoi predecessori è andato festosamente dal palazzo del Quirinale alla chiesa di Santa Maria del Popolo. Tuta Roma era decorata a festa. Nella piazza grandiosa chiamata del Popolo era stato innalzato un arco di trionfo; in alto, la statua del papa e due figure allegoriche”. In seguito, l’autore presenta in italiano una canzone in onore del Papa[47]. I redattori delle pubblicazioni romene sono interessati anche alle statistiche relative al numero dei cardinali e dei cattolici di Roma[48]. Secondo questi dati, Pio IX era il 259° Papa, il collegio apostolico avendo 60 cardinali, di cui due erano stati nominati da Pio VIII, 10 da Leone XII, 30 da Gregorio XVI[49].

Particolarmente interessanti sono le informazioni sull’attività riformatrice di Pio IX. Su “Albina Românească” veniva ampiamente presentato il contenuto dell’amnistia politica concessa dal nuovo Papa, mentre “Curierul Romanesc” informava circa l’entusiasmo dei romani verso questo evento. Nella pubblicazione di Asachi si ritrovano notizie numerose sugli nuovi organi di Roma: il consiglio ministeriale, la guardia nazionale. Nel numero del 20 luglio 1847 venivano presentati i 13 articoli dell’editto per la guardia cittadina, redatto dal segretario di Stato, il cardinale Pasquale Tommaso Gizzi[50]. Generalissimo della guardia di Roma era stato nominato il conte Mastai, fratello del Papa[51]. Su “Curierul Românesc” uscivano informazioni sul Consiglio di Stato ed erano pubblicati i 7 titoli dell’ordinanza firmata dal Papa[52], mentre

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su “Albina Românească” dell’11 dicembre 1847 venivano menzionati i suoi membri[53]. Il ritmo rapido delle iniziative pontificali ha avuto come effetti rivolte, resistenze proprio nelle fila dell’élite ecclesiastica e aristocratica romana. Così si spiegavano i rapidi cambiamenti dei segretari di Stato e la scoperta di complotti antipapali organizzati da alti funzionari. Asachi scriveva: “sembra sia stata scoperta una congiura dei funzionari che non vogliono riforme e miglioramenti”, mentre Baritiu scriveva del loro arresto[54]. Lo stato di agitazione nello Stato pontificio si è intensificato nell’autunno del 1847 con gli incidenti di Ferrara tra l’esercito austriaco e gli abitanti[55].

Il duca di Toscana cercava di imitare l’esempio papale, costituendo la guardia nazionale e il consiglio di stato. Di quest’ultimo, Asachi scriveva che era diviso in “due sezioni, di cui una si sarebbe occupata dei problemi amministrativi ed economici dello stato, mentre l’altra avrebbe seguito le questioni giuridiche”[56]. La pubblicazione bucarestina descriveva invece la gioia dei toscani e le feste organizzate in occasione degli arruolamenti nella guardia nazionale[57]. Entrambe le pubblicazioni scrivevano sui conflitti scoppiati in Toscana e Modena a proposito della determinazione del confine secondo quanto previsto dal Congresso di Vienna[58].

La febbre delle riforme si era estesa anche al Regno di Sardegna. La preoccupazione dell’opposizione di Torino, che non si era ancora manifestata con accenti violenti, viene descritta su “Curierul Românesc”. Nella capitale si notava “un movimento piano. La gente si ritrova insieme, ci si chiede l’un l’altro; passano di bocca in bocca alcune parole del re; le commentano ... qualche foglio toscano circola di nascosto e ha il piacere del frutto proibito... Nei salotti, nei caffè la gente parla e l’opposizione è tutta qui”. In provincia, invece, gli spiriti si pronunciavano per i cambiamenti essenziali, “il movimento è sempre più vivo. L’aristocrazia ha idee liberali, la classe degli avvocati e dei professori costituiscono il ceto più acceso. Anche il clero ha idee liberali”[59]. Carlo Alberto è costretto a operare cambiamenti nel governo[60] e a promettere riforme liberali: abolizione della giurisdizione ecclesiastica, costituzione di una Corte di Cassazione, libertà di stampa[61]. Alla fine di novembre 1847, sulla stampa romena veniva descritto l’entusiasmo dei piemontesi verso la nuova legge della stampa[62].

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Nel settembre 1847, sulla stampa romena appaiono notizie allarmanti circa le agitazioni in Sicilia. Ecco quello che si raccontava su “Gazeta de Transilvania”: “600 persone sono insorte contro l’esercito del governo. In tutta la Sicilia c’è un gran fermento”[63]. Nei numeri di ottobre del “Curierul” e della “Albina” vengono presentati i conflitti tra l’esercito regale guidato dal generale Nunziate e i gruppi di ribelli. Le misure drastiche prese dalle autorità: arresti, esecuzioni, ultimatum per la consegna delle armi, venivano ignorate dagli abitanti dell’isola. La pubblicazione di Heliade annunciava in dicembre: “La Sicilia è tutta un fuoco; nell’isola è stata proclamata la Costituzione del 1812”[64]. Sono ricordati anche i tentativi di Ferdinando II di far entrare i riformisti nel governo: “Sono stati nominati alcuni progressisti a: commercio, agricoltura, interni, lavori pubblici”[65].

Il pubblico romeno era familiarizzato anche con la disputa ideologica intorno alla costituzione dello stato italiano moderno  e alla futura forma di governo. Fin dal 1844 “Albina Românească”, ispirata dalla stampa italiana sensibilizzata dal martirio dei fratelli Bandiera, scriveva circa il progetto di costituzione di uno stato confederale avendo come esempio il mondo germanico[66]. In questo senso sono presentate le conversazioni tra Carlo Alberto, il cardinale Corboli-Bussi, rappresentante della Santa Sede e il cardinale Marini, rappresentante della Toscana, per la costituzione di un’unione doganale[67]. Il 3 novembre 1847 il trattato veniva firmato, l’evento essendo commentato anche dalla “Gazeta de Transilvania”, come “l’azione più importante di Pio IX”[68].

Nelle tre pubblicazioni prese in esame si distinguono le soluzioni politiche teorizzate da Vincenzo Gioberti, Massimo d’Azeglio e Giuseppe Mazzini. Nella pubblicazione di Baritiu appariva la notizia secondo la quale il prete piemontese si era riconciliato con il potere pontificio[69], mentre Asachi pubblicava un brano della lettera da lui indirizzata a Pio IX, in cui si diceva che “in questa nuova e pacifica crociata nazionale ... l’Italia non può rinascere senza Roma”[70].

Degno di nota è il commento di Bariţiu del 22 settembre 1847, in cui cerca di cogliere i tratti della politica italiana. La causa delle dispute politiche risiedeva, secondo lui, nel particolarismo: “fino a poco tempo fa in tutta l’Italia regnava l’assolutismo; non è stato un Paese libero, bensì teatro di conflitti e interessi particolari, come i Principati danubiani. Da qui... si formò in Italia quello spirito pericoloso del particolarismo... e ogni italiano credette che solo la città da dove veniva era la sua patria e che tutto il resto dell’Italia era per lui terra straniera; da qui tante rivalità sanguinose tra i figli della

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stessa nazione”. Il leader transilvano era contro le manifestazioni violente e si schierava con l’opinione di D’Azeglio, il quale sosteneva la realizzazione del programma nazionale attraverso le riforme: “oggi il partito chiamato dei moderati, a contatto con quello rivoluzionario diventa partito nazionale; chi avrebbe mai creduto, due anni addietro, che un papa sarebbe stato riformista?”[71].

In due numeri della “Gazeta de Transilvania” vengono presentate ampie citazioni dall’opuscolo del marchese D’Azeglio, che argomentavano il principio dello stato unitario, in cui il senso nazionale doveva unirsi a quello morale[72].

L’attività della “Giovine Italia” si rifletteva nella stampa romena a partire dalla spedizione del 1834 in Savoia, guidata dal generale Gerolamo Ramorino. “Albina Românească” del 27 febbraio 1834 racconta dell’ingresso delle truppe rivoluzionarie composte da italiani e polacchi e del “famoso Mazzini e altri membri della Giovine Italia, che diffondono dappertutto proclamazioni firmate dal governo rivoluzionario”[73]. Secondo la percezione della stampa occidentale, riprodotta anche dalla gazzetta di Iaşi, “la spedizione di Ramorino era la prima azione che la Giovine Italia voleva intraprendere coraggiosamente. Era il primo segnale dell’emancipazione dei popoli”[74]. Le agitazioni del 1844 sono attribuite nuovamente all’emigrazione organizzata a Londra intorno al leader genovese. L’opinione pubblica europea attribuiva qualsiasi tentativo insurrezionale al nome di Mazzini, anche se quest’ultimo non era stato coinvolto nella spedizione dei fratelli Bandiera[75]. Bariţiu non si accontentava della mera riproduzione di informazioni provenienti dalla stampa italiana e da quella francese. Nel numero del 13 aprile 1844 della “Gazeta de Transilvania”, faceva un ampio commento sull’attività dell’emigrazione rivoluzionaria della penisola. Dichiarandosi a favore della politica riformistica, il leader transilvano diceva: “il loro patriottismo – degli emigranti italiani a Londra (n.n.) – assomiglia più ad una passione rivoluzionaria, che ad un saggio zelo per l’avanzamento del bene”. Continuava, informando sull’organizzazione delle società segrete, che riempivano lo spazio italiano e che avevano legami con quelle di Parigi. Il loro scopo sarebbe stato quello “di avviare una spedizione verso Roma, città in cui si sarebbe proclamata la repubblica”. L’inutilità dei movimenti rivoluzionari era evidente per Bariţiu: “Tale impresa non avrebbe per l’Italia il risultato desiderato; si arriverebbe ad un bagno di sangue”[76]. La stessa idea  si ritrova in un suo articolo del 1847, quando affermava: “teniamoci lontani da qualsiasi spunto rivoluzionario; solo  riforme pratiche e non di fantasia o giovanili”[77].

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La presentazione dei problemi politici italiani nei più importanti organi di stampa romeni nel periodo 1829 – 1847, imponeva alcune conclusioni. Abbiamo cercato di redigere una statistica delle informazioni e dei commenti dedicati agli stati italiani. Roma e le province pontificie occupavano il primo posto negli interessi dei redattori romeni con 58 menzioni su “Albina Romaneasca”, 34 su “Gazeta de Transilvania” e 23 su “Curierul Românesc”, per un totale di 115 menzioni. È seguita dal Regno delle Due Sicilie con 25 informazioni su “Curierul Românesc”, 17 su “Albina Românească” e 12 su “Gazeta de Transilvania”, per un totale di 54 informazioni; i ducati del centro Italia – Toscana, Modena, Lucca, Parma – con 21 menzioni su “Albina Românească”, 18 su “Curierul Românesc”, 8 su “Gazeta de Transilvania” – in totale 47; il Regno del Piemonte con 8 informazioni nelle pubblicazioni di Bucarest e Iaşi e solo 2 su “Gazeta de Transilvania”; il Regno Lombardo-Veneto con 7 menzioni su “Albina Românească”, 4 su “Gazeta de Transilvania”, 2 su “Curierul Românesc”. Se consideriamo lo spazio concesso da ciascuna pubblicazione alla politica interna degli stati italiani, notiamo che “Albina Românească” vi dedica 118 articoli e menzioni, “Curierul Românesc” – 78 e “Gazeta de Transilvania” – 64. Quest’ultima pubblicazione, benché apparsa dieci anni più tardi, dedica numerosi articoli allo spazio italiano, in cui Bariţiu si distingue attraverso le sue analisi originali sull’evoluzione politica della penisola. Circa gli eventi particolari che hanno segnato lo spazio italiano, possiamo affermare quanto segue: i movimenti rivoluzionari del 1831 nel centro della penisola appaiono 18 volte su “Albina Românească” e 7 volte su “Curierul Românesc”; alle riforme di Pio IX sono dedicate 10 articoli da “Albina Românească” e da “Curierul Românesc” e 9 da “Gazeta de Transilvania”; alle riforme iniziate dal re Carlo Alberto – 5 menzioni su “Curierul Românesc” e 2 nelle altre pubblicazioni; la spedizione guidata dai fratelli Bandiera è presente in 3 articoli su “Curierul Românesc”, 2 su “Albina Românească” e uno su “Gazeta de Transilvania”; l’attività di Mazzini e della “Giovine Italia” è presente con 3 articoli su “Gazeta de Transilvania” e 2 nelle altre pubblicazioni; gli articoli in cui vengono discussi i progetti politici sull’organizzazione dello stato sotto forma di confederazione o di organismo unitario sono così ripartiti: 4 su “Gazeta de Transilvania”, 3 su “Curierul Românesc”, uno su “Albina Românească”.

Strutture sociali e demografiche. Le realtà sociali italiane traspaiono poco dalla stampa romena. Le spiegazioni sono numerose: assenza di informazioni concrete, gli articoli riprodotti dalla stampa occidentale trattando specialmente gli eventi politici; congiuntura in cui apparivano le pubblicazioni romene – il regime regolamentare nei Principati, che obbligava i redattori a mantenere qualche prudenza nel trattare argomenti considerati “rivoluzionari”. Un’eccezione è costituita da “Gazeta de Transilvania” la quale, nel numero del 1 dicembre 1847 pubblicava l’articolo Italia. Lo stato del popolo contadino. “Noi leggiamo tanto sulle riforme iniziate in Italia. Ci sorprende perché queste fossero così desiderate, se l’Italia è considerata “il giardino d’Europa”... E’ benedetta dalla natura, ma ha leggi cattive”. In seguito vengono presentate le impressioni di un viaggiatore anonimo sullo stato del contadino italiano, senza menzionare in modo esplicito la regione descritta”. Le condizioni in cui vive erano miserevoli: “le loro case non sono case, ma delle brutte capanne divise in tre parti, di cui

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una è per gli animali, quella di mezzo è la cucina, dove giacciono i maiali e le galline, la terza è la stanza abitata”. L’agricoltura veniva praticata con attrezzi rudimentali, e i prodotti di base erano l’uva, la seta e il granoturco. Gli animali erano pochi, e il cibo giornaliero del contadino italiano si riduceva alla polenta e all’acqua. Erano pochi i villaggi che si potevano permettere di pagare gli insegnanti, quindi le scuole non erano numerose. Quanto alla religiosità dei preti, l’opinione del viaggiatore era sfavorevole: “succede anche qui che i preti non compiano il cerimoniale finché non vengano pagati. L’estate scorsa, un contadino delle campagne veneziane era rimasto non sepolto per cinque giorni, perché non c’erano soldi per il funerale”. In conclusione del suo racconto l’autore, in sintonia con le idee espresse da Bariţiu, affermava che le uniche soluzioni erano le riforme “iniziate da conservatori avanzati, come anche dai liberali moderati”[78].

Interessanti sono le informazioni statistiche sulla popolazione delle varie città e stati italiani. Sia “Albina Românească[79], sia “Curierul Românesc[80] informavano che il numero degli abitanti di Roma ammontava, all’inizio del quarto decennio, a 150.000. Secondo l’ultimo censimento, la Sicilia aveva una popolazione di 1.780.000 abitanti, e Palermo, la capitale dell’isola, ne aveva 150.000. Il numero degli aristocratici era: 60 duchi, 217 principi, 217 marchesi, 2000 baroni; c’erano 1111 monasteri con 30.000 monaci e monache[81]. Asachi pubblicava una notizia presa dalla “Gazzetta di Milano”, che annunciava alla fine del 1843 una popolazione di 2.588.526 abitanti per Milano e le zone circostanti[82]; nel numero del 17 maggio 1843, la pubblicazione di Bariţiu dava informazioni circa l’intero spazio italiano e anche per le regioni che appartenevano alla Francia (Corsica) e all’Inghilterra (Malta), e per il litorale adriatico della costa dalmata, dove vivevano gruppi compatti di italiani[83]. Secondo le stesse statistiche, l’Italia era al settimo posto in Europa per quanto riguardava il numero dei poveri, con 750.000 abitanti sotto la soglia di povertà[84].

Le catastrofi naturali nella penisola - terremoti[85], eruzioni dei vulcani Etna[86] e Vesuvio[87], inondazioni a Venezia e in Toscana[88], la devastante epidemia di colera nel

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Regno delle Due Sicilie e nello stato romano negli anni 1836-1837, sono presentate al pubblico romeno, inducendo un sentimento di solidarietà umana specifica ai grandi disastri. “Albina Românească” del 20 agosto 1837 descriveva la disperazione degli abitanti di Palermo i quali, se scampavano al colera – il 10 luglio sono morte 1803 persone – finivano per essere vittime dei briganti[89].

 

Cultura. Mentalità. L’effervescenza della vita scientifica e artistica della penisola si ritrova nelle pagine delle pubblicazioni di Bucarest e Iasi, i cui redattori sono letterati, professori, pubblicisti, animatori della cultura nazionale.

Su “Albina Românească” si parla dei congressi degli scienziati italiani, momenti di coagulazione intorno all’élite culturale di un movimento nazionale. Viene ricordato il congresso dei naturalisti di Firenze, nel 1841[90], quello degli studiosi italiani di Milano nel 1844, aperto alla presenza del principe Carlo Luciano di Canino[91]. Nel 1845 Napoli ha ospitato l’incontro dei 1500 scienziati italiani[92], mentre l’anno successivo è toccato a Genova, dove presidente è stato il marchese Brignole Sole, l’ambasciatore sardo a Parigi[93].

Numerose informazioni si riferiscono alle scoperte archeologiche fatte a Roma nel 1829, quando furono portate alla luce nuove costruzioni del periodo etrusco[94]; a quelle spettacolari di Pompei, che stupivano i contemporanei per la freschezza e la bellezza degli affreschi e delle statue[95]. Impressionato dai risultati delle scoperte, il Papa ha ricompensato il marchese Melchiori, un famoso archeologo, nel 1846[96]. L’attività scientifica italiana poteva essere conosciuta anche attraverso le opere pubblicate. Per l’anno 1836, “Albina Românească” presenta una statistica interessante. In quell’anno sono apparsi 651 titoli di teologia; 180 legislativi; 380 di geografia, istoria, archeologia, mitologia; 112 biografie; 75 di filosofia; 72 di politica; 61 di matematica; 113 di fisica e chimica; 290 di medicina; 30 storie letterarie; 71 di filologia; 435 di poesia; 112 di teatro; 182 romanzi; 550 sulla situazione degli stati italiani in quel periodo[97]. Sotto il titolo Diffusione della stampa in Sicilia, “Curierul Românesc” presentava la situazione della stampa nel Regno delle Due Sicilie e si commentava la proposta di fondare un’accademia giornalistica a Napoli[98].

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Il mondo scientifico italiano fu impressionato dal gesto di Pio IX il quale, nel 1847, aveva rifondato l’Accademia dei Lincei, che era stata chiusa dal suo predecessore[99].

L’architettura del Rinascimento era presente nelle pagine della pubblicazione di Asachi attraverso l’ampio articolo Dal non pubblicato viaggio di un moldavo in Italia, dedicato alla Cattedrale di San Pietro in Roma. L’autore, buon conoscitore della storia italiana, fa trasparire la sua formazione artistica attraverso la descrizione minuziosa del grandioso edificio[100]. Nello stesso anno appariva anche la presentazione della Colonna traiana, corredata da una litografia[101].

La musica italiana era presente attraverso gli appunti biografici dedicati a Donizetti[102], Rossini[103], Paganini[104], Bellini[105], Pergolese[106], mentre la pittura veniva illustrata nei supplementi che presentavano brevi frammenti della vita e dell’attività di Giotto, Leonardo, Michelangelo, Perugino, Raffaello[107]. Traduzioni di opere di Tasso[108], Alfieri[109], l’interesse per gli studi linguistici di Giuseppe Gaspare Mezzofanti[110], erano presenti nella pubblicazione di Iaşi la quale, nella sezione dedicata alla letteratura comprendeva racconti brevi o romanzi che portavano davanti al pubblico romeno scene del tumultuoso Medioevo italiano. Su “Curierul Românesc”, Heliade Rădulescu completava la sua argomentazione scientifica degli articoli dedicati al parallelismo linguistico tra il romeno e l’italiano[111] con gli energici Discorsi per la lingua italiana[112]. Proponeva a Petrache Poenaru, direttore del Collegio Sfântu Sava, di creare una cattedra di lingua italiana, e a M. Ghica, presidente della Commissione per le Scuole, aveva suggerito di introdurre nelle prime classi lo studio giornaliero della lingua italiana e poi di quella francese. Sempre nella pubblicazione bucarestina venivano pubblicate le poesie in italiano di Cezar Bolliac[113], Ioan Catina[114], Al. L. Marsini[115].

Un capitolo a parte è rappresentato dalle menzioni relative alla vita mondana delle teste coronate della penisola: il matrimonio del principe di Siracusa, fratello del re

p. 391

Ferdinando II[116]; il 13 novembre 1843 c’era la ricorrenza dei 35 anni di matrimonio del re di Francia Ludovico Filippo di Orlèans con Maria Amelia, figlia del re delle Due Sicilie[117]; nel mese di ottobre 1846, il duca di Bordeaux sposava la principessa Teresa di Modena. Sono piene di fascino le descrizioni dei carnevali di Palermo – quello del 1834 aveva impressionato il pubblico con i carri allegorici, che illustravano ogni periodo della storia siciliana[118] – o i modi in cui i romani satireggiavano il regime del Papa Gregorio XVI. A Roma era apparsa una vignetta in cui il Papa era sfidato al duello dal capo dei riformisti. Testimoni del santo Padre erano Don Miguel e Don Carlos, mentre quelli del suo rivale erano Thiers e Palmerston[119].

La presenza italiana nelle pagine delle gazzette romene era integrata dalle menzioni relative agli spettacoli di Iaşi e Bucarest, tenuti da artisti italiani in tournée nei Principati. I tenori Ricciardi e Castilio avevano tenuto concerti con musiche di Verdi, Bellini e Donizetti, il primo nella capitale della Moldavia[120], l’ultimo nelle case del ministro Filip Lenş a Bucarest[121]. Erano molto pittoreschi gli annunci sull’arrivo di Luzzato, “primo modello dell’Accademia di Roma e di quella di Napoli, soprannominato l’Ercole italiano, che ... imita le statue dell’Antichità”[122] o sulla tournée che “il famoso mago nato a Torino”, Bosco, iniziava in Moldavia, alla fine del 1846[123].

L’interesse dei tre redattori delle principali pubblicazioni romene nel periodo precedente il Quarantotto per lo spazio italiano è notevole. Apprese dai periodici occidentali o dalle corrispondenze particolari o resoconti di viaggio, le informazioni sullo spazio italiano coprono una sfera diversa: da semplici notizie sulle apparizioni mondane dei monarchi fino ad analisi approfondite sulla vita politica nella penisola; dalle statistiche demografiche fino alla presentazione dei principali gruppi politici e delle riforme; dagli appunti biografici sulle principali personalità politiche e culturali fino alle gioie e ai divertimenti quotidiani della gente comune nelle belle città italiane. Niente di quello che era italiano era estraneo ad Asachi, che dava all’Italia un posto particolare nello spazio editoriale della sua pubblicazione. Heliade Rădulescu era attratto specialmente dagli aspetti linguistici, essendo un costante sostenitore dell’introduzione della lingua italiana fin dalla scuola elementare. George Bariţiu, erede spirituale della Scuola Transilvana, si dimostrerà un vero analista politico, commentando da posizioni illuministe moderate, le trasformazioni politiche negli stati italiani.

 

                                         Traduzione di Nicoleta Panait

 

 

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[1] Claudio Isopescu, La stampa periodica romeno-italiana in Romania e in Italia, Roma, 1937; Dan Berindei, “La lutte pour l’unité de l’Italie refletée dans la presse des Principautés Unies (1859-1860)”, Revue Roumaine d’Histoire 2 (1963), 1: 101-114; idem, “Rapports italo-roumains dans le domaine du journalisme pendant la période du Risorgimento”, Revue Roumaine d’Histoire 10 (1971), 2: 313-329; Ştefan Delureanu, “Il Risorgimento italiano nella stampa romena”, Quaderni dell’Istituto mazziniano 1982, 2: 319-329 ecc.

[2] “Albina Românească, gazetă politico-literară”, Iaşi, esce dal 1 giugno 1929 al 24 novembre 1858, con un’interruzione di 18 mesi nel periodo 1835-gennaio 1837; venivano pubblicati due numeri a settimana, si veda Nerva Hodoş e Al. Sadi Ionescu, Le pubblicazioni periodiche romene, Bucarest, 1915: 18-19.

[3] “Curierul Românesc”, Bucarest, esce dall’8 aprile 1829 al 19 aprile 1848 e dal 29 novembre al 13 dicembre 1959, si veda Hodoş e Sadi Ionescu, op. cit.: 174-175.

[4] “Gazeta de Transilvania”, Braşov, esce dal 12 marzo 1838.

[5] “Albina Românească”, 15 febbraio 1831, n. 15: 509.

[6] Ibidem, 22 febbraio 1831, n. 117: 520.

[7] Ibidem, 15 marzo 1831, n. 123: 548.

[8] Si trattava di entrambi i figli di Luigi Bonaparte: Napoleone-Luigi e Luigi Napoleone, futuro imperatore di  Francia; Ibidem, 18 gennaio 1831, n. 107: 473.

[9] Ibidem, 19 febbraio 1831, n. 116: 514; 22 febbraio 1831, n. 117: 520.

[10] Ibidem, 1 marzo 1831, n. 119: 330.

[11] Ibidem, 26 febbraio 1831, n. 118: 523.

[12] Ibidem, 5 marzo 1831, n. 120: 334.

[13] “Curierul Românesc”, 22 febbraio 1831, n. 12: 45; 12 marzo 1831, n. 15: 56; 29 marzo 1831, n. 19: 78.

[14] Ibidem, 26 febbraio 1831, n. 12: 45; 15 marzo 1831, n. 16: 59.

[15] “Albina Românescă”, 28 gennaio 1832, n. 8: 30-31.

[16] Ibidem, 31 gennaio 1832, n. 9: 36; 4 febbraio 1832, n. 10: 39.

[17] Ibidem, 7 febbraio 1832 n. 11: 42.

[18] Ibidem, 20 marzo 1832 n. 23: 90-91; 24 marzo 1832, n. 24: 96; 3 aprile 1832, n. 27: 106-107.

[19] Ibidem, 27 marzo 1832, n. 25: 100; 31 marzo 1832, n. 26: 103-104.

[20] Queste riguardavano: l’allontanamento  delle ultime truppe francesi arrivate ad Ancona; l’esercito francese doveva essere mantenuto dal governo di Parigi; il ritiro totale delle truppe francesi dagli stati papali, 14 giorni prima di quelle austriache. Si veda ibidem, n. 32: 127.

[21] Ibidem, n. 35: 145.

[22] “Curierul Românesc”, n. 4: 14-15.

[23] Ibidem, 7 aprile, n. 21: 83.

[24] Ibidem, 26 giugno 1831, n. 42: 66.

[25] “Albina Românească”, 21 agosto 1834, n. 69: 304.

[26] “Curierul Românescă”, 9 febbraio 1838, n. 21: 12.

[27] “Albina Românească”, 11 febbraio 1843, n. 12: 47.

[28] “Curierul Românesc”, 7 agosto 1836, n. 50: 199.

[29] “Gazeta de Transilvania”, 1 gennaio 1840, n. 1: 2.

[30] Ibidem, 31 gennaio 1846, n. 10: 39.

[31] Ibidem, 11 ottobre 1834, n. 81: 324.

[32] Ibidem, 25 ottobre 1843, n. 85: 342-343.

[33] Ibidem, 11 ottobre 1845, n. 32: 325-326; “Curierul Românesc”, 19 ottobre 1845, n. 75: 302

[34] “Curierul Românesc”, 5 novembre 1845, n. 78: 310.

[35] “Gazeta de Transilvania”, 22 ottobre 1845, n. 89: 329-330; “Curierul Românesc”, 23 novembre 1845, n. 85: 338-339.

[36] “Curierul Românesc”, 6 maggio 1840, n. 40: 160.

[37] Ibidem, 15 maggio 1840, n. 44: 170-171.

[38] Ibidem, 8 giugno 1840, n. 51: 197.

[39] “Albina Românească”, 8 novembre 1845, n. 88: 350; 25 novembre 1845, n. 93: 370-371; 29 novembre 1845, n. 94: 374; 3 febbraio 1845, n. 10: 38.

[40] Ibidem, 9 luglio 1844, n. 54: 215.

[41] “Gazeta de Transilvania”, 17 luglio 1844, n. 57: 227.

[42] “Albina Românească”, 16 settembre 1838, n. 70: 297; 20 settembre 1838, n. 71: 302; 22 settembre 1838, n. 75: 318 ecc.

[43] “Gazeta de Transilvania”, i numeri del 17 settembre, 1 ottobre, 12 e 19 novembre, 24 dicembre 1838

[44] “Albina Românească”, 20 giugno 1846, n. 48: 191; “Gazeta de Transilvania”, 27 giugno 1847, n. 52: 206-207.

[45] “Curierul Românesc”, 20 luglio 1846, n. 60: 237-238.

[46] “Albina Românească”, 30 giugno 1846, n. 51: 201.

[47] Ibidem, 22 settembre 1846, n. 75: 277-278.

[48] A Roma esistevano 54 parrocchie, 39 vescovi, 1514 preti, 2471 monaci, 1574 monache; si veda “Gazeta de Transilvania”, 14 agosto 1847, n. 65: 259.

[49] “Albina Românească”, 13 febbraio 1846, n. 13: 51.

[50] Ibidem, n. 57: 231.

[51] Ibidem, 27 luglio 1847, n. 59: 238.

[52] “Curierul Românesc”, 3 novembre 1847, n. 37: 145-146.

[53] “Albina Românească”, n. 98: 406.

[54] “Gazeta de Transilvania”, 15 settembre 1847, n. 74: 296.

[55] Ibidem, 11 settembre 1847, n. 73: 192.

[56] “Albina Românească”, 7 settembre 1847, n. 7: 296-297.

[57] “Curierul Românesc”, 16 ottobre 1847, n. 32: 127.

[58] Nel trattato di Vienna, alcune località della Toscana dovevano essere cedute a Modena. In due località, Fivizzano e Pontremoli, gli abitanti hanno risposto con le armi a questa decisione. Si veda “Albina Românească”, 2 novembre 1847, n. 87: 374; “Curierul Românesc”, 6 novembre 1847, n. 38: 149; 8 dicembre 1847: 187.

[59] “Curierul Românesc”, 6 novembre 1847, n. 38: 149.

[60] “Albina Românească”, 26 ottobre 1847, n. 85: 354.

[61] Ibidem, 13 novembre 1847, n. 90: 374.

[62] “Curierul Românesc”, 14 dicembre 1847, n. 49: 194-195.

[63] “Gazeta de Transilvania”, 18 settembre 1847, n. 75: 300.

[64] “Curierul Românesc”, 18 dicembre 1847, n. 50: 197.

[65] Ibidem, 14 dicembre 1847, n. 49: 194-195.

[66] “Gli ultimi tentativi... hanno rinfrescato tra i governi d’Italia il piano di una confederazione tra di loro, secondo il modello tedesco” – “Albina Românească”, 30 luglio 1844, n. 60: 251.

[67] “Curierul Românesc”, 16 ottobre 1847, n. 32: 127.

[68] “Gazeta de Transilvania”, 13 novembre 1847, n. 91: 364.

[69] Ibidem, 29 settembre 1847, n. 78: 310.

[70] “Albina Românească”, 2 ottobre 1847, n. 78: 310.

[71] “Gazeta de Transilvania”, 22 settembre 1847, n. 76: 302-304.

[72] Ibidem, 29 settembre 1847, n. 78: 310; 2 ottobre 1847, n. 79: 316; gli articoli sono riprodotti da “Curierul Românesc” del 6 e del 9 ottobre, n. 29 e 30: 113-114; 117-118.

[73] “Albina Românească”, n. 20: 83-84.

[74] Ibidem, 2 marzo 1834, n. 21: 88.

[75] La stampa parlava delle “tendenze degli italiani che vivono all’estero ... che miravano ad una spedizione rivoluzionaria verso Roma, dove un governo democratico sarebbe stato proclamato dai partigiani della Giovine Italia”, si veda “Albina Românească”, 17  aprile 1844, n. 32: 126.

[76] “Gazeta de Transilvania”, n. 30: 117-118.

[77] Ibidem, 22 settembre 1847, n. 76: 302-304.

[78] “Gazeta de Transilvania”, 1 dicembre 1847, n. 96: 383-384.

[79] “Albina Românească”, 24 gennaio 1832, n. 7: 27.

[80] “Curierul Românesc”, 14 gennaio 1830, n. 82: 345-346.

[81] Ibidem, 11 febbraio 1830, n. 94: 394-395.

[82] “Albina Românească”, 20 aprile 1844, n. 31: 124.

[83] Nel 1843, la popolazione italiana ammontava a 23.988.312 abitanti, di cui: nel Tirolo 46.000; sul litorale dalmata 494.000; nel Regno Lombardo-Veneto 4.575.695; nella Sardegna, Genova e Piemonte 4.650.368; a Monaco 6.000; a Parma, Piacenza, Guastalla 465.673; a Modena, Massa, Carrara 474.525; a Lucca 168.198; nello Stato pontificio 2.732.436; a San Marino 600; in Toscana 1.481.079; nel Regno delle Due Sicilie 7.975.850; in Corsica 207.889; a Malta 153.000, vedi “Gazeta de Transilvania”, 17 maggio 1843, n. 39: 250; 22 settembre 1847, n. 76: 302.

[84] Al primo posto c’era l’Inghilterra; seguivano la Germania, l’Austria, la Danimarca, la Spagna, la Francia; si veda “Curierul Românesc”, 16 marzo 1840, n. 24: 93.

[85] “Albina Românească”, 20 giugno 1829, n. 29, p. 28; 31 gennaio 1832, n. 9: 36

[86] “Curierul Românesc”, 31 luglio 1847, n. 11: 42-44; 4 agosto 1847, n. 12: 45-48; 7 agosto 1847, n. 13: 49-52.

[87] “Albina Românească”, 5 febbraio 1839, n. 11: 43; 9 febbraio 1839, n. 12: 47.

[88] Ibidem, 26 novembre 1846, n. 94: 386.

[89] Ibidem, 20 agosto 1837, n. 62; 31 agosto 1837, n. 65: 278; 5 settembre 1837, n. 66: 281.

[90] Ibidem, 27 giugno 1841, n. 59: 245.

[91] Ibidem, 28 settembre 1844, n. 76: 317-320.

[92] Ibidem, 7 ottobre 1845, n. 79: 315; si veda anche „Curierul Românesc”, 15 ottobre 1845, n. 74: 297.

[93] “Albina Românească”, 3 ottobre 1846, n. 78: 290-291.

[94] Ibidem, 7 novembre 1829: 188.

[95] Ibidem, 19 febbraio 1835, n. 11: 46 e 7 maggio 1839, n. 36: 147.

[96] Ibidem, 3 febbraio 1846, n. 10: 39.

[97] Ibidem, 21 gennaio 1838, n. 3: 12.

[98] “Curierul Românesc”, 15 giugno 1839, n. 99: 326.

[99] “Albina Românească”, 20 luglio 1847, n. 57: 231.

[100] Pensiamo che si tratti di Asachi il quale, nel suo periplo italiano aveva studiato l’arte del Rinascimento, sotto l’influenza di Bianca Milesi; Ibidem, 27 agosto 1837, n. 64: 271-274.

[101] Ibidem, 29 gennaio 1837, n. 14: 25-26.

[102] Ibidem, 28 ottobre 1838, n. 82: 350.

[103] Ibidem, 19 novembre 1844, n. 92: 379.

[104] Ibidem, 27 aprile 1838, n. 33: 135; “Curierul Românesc”, 7 dicembre 1836, n. 82: 328.

[105] “Albina Românească”, 31 gennaio 1843, n. 9: 33.

[106] Ibidem, 17 febbraio 1844, n. 14: 53-55; 20 febbraio 1844, n. 16: 61-62.

[107] Ibidem, 13, 16, 19 marzo 1847.

[108] Ibidem, 29 gennaio 1842, n. 9: 33-36.

[109] Ibidem, 19 marzo 1844, n. 23: 89.

[110] Ibidem, 22 maggio 1832, n. 40: 162; 12 ottobre 1837, n. 77: 132.

[111] “Curierul Românesc”, 29 dicembre 1841, n. 38: 145.

[112] Ibidem, 20 aprile 1840, n. 34: 138-141; 29 aprile 1840, n. 38: 147-149.

[113] Ibidem, 23 febbraio 1845, n. 16: 64.

[114] Ibidem, 17agosto 1845, n. 59: 236.

[115] Ibidem, 17 settembre 1845, n. 67: 274.

[116] “Albina Românească”, 16 luglio 1837, n. 52: 228.

[117] Ibidem, 14 dicembre 1844, n. 99: 406.

[118] Ibidem, 11 maggio 1834, n. 40: 156.

[119] Ibidem, 23 marzo 1837, n. 20: 91.

[120] Ibidem, 2 dicembre 1843, n. 95: 380.

[121] “Curierul Românesc”, 5 aprile 1834, n. 90: 368.

[122] “Albina Româneasca”, 5 marzo 1834, n. 22: 96.

[123] Ibidem, 3 novembre 1846, n. 87: 329-330.