LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

A cura di Marcello Menni

"Chiamati alla perfezione della carità
per rinnovare la società alla luce del Vangelo"

Card. Giovanni Saldarini

Come è possibile essere cittadini a pieno titolo del mondo e nello stesso tempo avere un principio ispiratore più ampio? Come recuperare il senso del mistero in un mondo dominato dalla tecnica e dalla razionalità scientifica? Come maturare un senso della provvidenza pur dentro la concretezza dell'agire profano e la tendenza ad auto determinare la propria condizione di vita? Come recuperare il senso della vocazione, della chiamata, in una cultura che dà grande risalto all'auto realizzazione?
Queste e molte altre domande sorgono guardando alla nostra società e al nostro paese, di fronte ad un relativismo etico imperante ed ad un diffuso abbandono dei valori tradizionali. Vi è in atto una vera e propria crisi. Quella che stiamo vivendo è una crisi grave e sconcertante. Molti pensavano che l'Italia stava uscendo da un periodo oscuro, dominato da numerosi sintomi di degenerazione, fra cui una dilagante corruzione, per entrare in tempi brevi in una fase di miglioramento politico e sociale. Finora di questo miglioramento non c'è alcuna indicazione, anzi, pare che sia in atto un grave peggioramento: aumenta giorno per giorno il numero di coloro che si vanno convincendo che siamo caduti dalla padella nella brace (con diversi elementi positivi a favore della padella).
Una risposta concreta e profonda ad una richiesta di una strada da percorrere si può rinvenire nella Dottrina sociale della Chiesa. Essa accompagna tutta la vicenda storica della comunità ecclesiale, dalle riflessioni dei Padri della Chiesa ad oggi. Ormai però con l'espressione "Dottrina sociale della Chiesa" ci si riferisce a quell'insieme di riflessioni, d'insegnamenti e d'orientamenti proposti in materia sociale dalla Chiesa nell'ultimo secolo, a partire dall'Enciclica "Rerum novarum" di Papa Leone XIII (15 maggio 1891) sulla condizione operaia dell'epoca.
In materia sociale la Chiesa, continuando ad essere "Maestra", è divenuta via via più "Madre", assumendo un ruolo educativo nei confronti dell'intera umanità.
L'insegnamento sociale della Chiesa aiuta i cristiani ad interpretare gli avvenimenti e i fenomeni sociali, che sorgono e si sviluppano sotto i suoi occhi nel corso della storia e dell'evolversi dei tempi, alla luce del messaggio evangelico.
La Dottrina sociale della Chiesa è un costitutivo dell'opera d'evangelizzazione. Non ci dice nulla il fatto che la Chiesa abbia incluso un'ampia esposizione della sua Dottrina sociale nel nuovo Catechismo (2419-2442)?
Perché non farne un'attenta lettura? Nella Dottrina sociale la Chiesa non stabilisce soluzioni strettamente pratiche per i vari problemi che considera e sui quali si esprime, tuttavia non offre soltanto opinioni e punti di vista tra gli altri.
La Chiesa indica come "la Rivelazione cristiana guida l'uomo all'approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale" ("Gaudium et Spes", 23). "Anche nel campo economico-sociale, la Chiesa, benché non abbia mai offerto un determinato sistema tecnico, non essendo questo compito suo, ha però fissato chiaramente punti e linee che, pur prestandosi a diverse applicazioni secondo le varie condizioni dei tempi, dei luoghi e dei popoli, indicano la via sicura per ottenere il felice progresso della società" (così Pio XI nella "Divini Redemptoris", 1937).

DA DOVE INCOMINCIARE?

Si può essere presi da un po' di scoraggiamento: la dottrina sociale della Chiesa appare davvero incombente nella sua monumentalità! Anche solo a partire dalla "Rerum novarum", la mole di documenti (encicliche, dichiarazioni, radiomessaggi ecc.) di varia portata ed estensione, per molteplici destinatari, è impressionante.
Vorrei cercare un modo per superare lo scoglio iniziale di qualche diffidenza, dettata, per esempio, dal timore di imbarcarsi in discorsi che possono apparire astratti e anche un po' ingrigiti dal tempo.
Vorrei rendere attraente la dottrina sociale della Chiesa, superando d'un balzo le posizioni critiche e offrendo gli aspetti più accattivanti. Proponiamo, come se lo facessimo a noi stessi, quel metodo e quei punti che, ci sembra, potrebbero motivare maggiormente chi si accosta oggi alla dottrina sociale della Chiesa, quasi rompere il guscio di obiezioni un po' stantie, quali: "ma perché la Chiesa si occupa del sociale?", "la Chiesa è lenta a capire e muoversi" eccetera.
La dottrina sociale della Chiesa è un "prodotto" della Chiesa che si coinvolge nella storia dell'uomo, come maestra sì, sempre, ma anche, e sempre più come madre. Chiesa che insegna, ma anche Chiesa che impara: impara ad essere quella che lo Spirito Santo vuole che sia, e perciò impara tra gli uomini e dagli uomini. Se il moto è talora impercettibile, e la Chiesa sembra a lungo come inanimata, vi sono colpi che imprimono le accelerazioni e non le consentono l'immobilità. Vorremmo prospettare la natura teorico-pratica della dottrina sociale della Chiesa, che con questa sua caratteristica si fa trovare vicina a tutte le realtà e di tutte le culture. E infine ci sembrerebbe importante sottolineare come la dottrina sociale della Chiesa sia diffusiva. Nel suo costante far maturare e maturare essa stessa, penetra nel tessuto dell'umanità, illumina le scienze, delle quali utilizza i contributi e alimenta più o meno direttamente i luoghi di incontro e di formulazione di documenti e Carte internazionali in materia sociale. Proviamo ora a fissare alcuni appunti intorno a ciascuno di quei connotati della dottrina sociale della Chiesa, a cui abbiamo accennato.

DENTRO LE VICENDE SOCIALI DELL'UOMO

In che senso la Chiesa con la sua dottrina sociale si coinvolge nella vicenda storica dell'uomo senza appiattirsi su di essa? La Chiesa ha da amministrare due servizio di insegnamento:

1) la Parola di Dio
2) la storia.

E' un insegnamento che viene da oltre la storia e va al di là di essa, ma si costruisce con il materiale della terra sulla quale l'uomo vive. La Chiesa non può non amare l'uomo, perché il Padre le ha affidato il suo Figlio-uomo. Perciò ha il dovere di proclamare il Vangelo stando dentro le società che nascono e vivono tra gli uomini. Si potrebbe anche dire che la Chiesa non può non avere un suo insegnamento sociale.
Le questioni sociali degli uomini toccano la Chiesa da vicino, anzi sono le sue, perché l'Uomo - Dio le ha dato in custodia l'umanità intera, donandole se stesso. "Questo convincimento è emerso con tutto il suo vigore in occasione del concilio Vaticano II, soprattutto nella 'Gaudium et spes', il documento sulla 'Chiesa nel mondo contemporaneo'.
La missione sociale della Chiesa è stata ribadita in termini solenni e universali. Con l'autorità di un concilio ecumenico, la Chiesa si è proclamata a favore della promozione sociale, culturale e spirituale di tutti i gruppi e di tutta la famiglia umana. Questa affermazione, le cui immense conseguenze si vanno lentamente mostrando, è portatrice di grandi speranze." (H. Carrier)
Un aspetto particolare del coinvolgersi della Chiesa nelle vicende del mondo si può notare anche nell'intreccio che la dottrina sociale ha con le scienze sociali e con gli apporti dell'esperienza dei cattolici sulle questioni sociali. Ciò è avvenuto fin dai tempi della "Rerum novarum", che si era avvalsa da un lato delle ricerche di studiosi cattolici di quell'epoca (sec XIX), e dall'altro dell'apporto di cattolici impegnati nel servizio delle classi operaie, dei poveri, e nella fondazione di organizzazioni sociali.
Anche allora appare l'interscambio fecondo tra dottrina sociale della Chiesa e culture. Appare chiaro che la dottrina sociale della Chiesa non nasce mai come un fungo solitario: nasce già ricca dell'esperienza dei cattolici e dà impulso e guida, dal di dentro, allo sviluppo della "scienza sociale cattolica" (Pio XI). La Chiesa, inoltre, per capire le situazioni attuali e i nuovi problemi morali che sorgono, attinge alle scienze moderne, in ogni campo.

DINAMISMO O IMMOBILITA' DELLA DOTTRINA SOCIALE

Per cogliere il centro della dottrina sociale della Chiesa, basterebbe leggere la "Centesimus annus" di Giovanni Paolo II, che è come la sintesi viva e attualizzata della dottrina sociale della Chiesa fin qui.
Occorre avvicinarsi alla dottrina sociale della Chiesa con intelligenza, e insieme con il senso della storia, per avvertire quanto è viva e quanto, in uno sviluppo talora lento, c'è in essa l'instancabile ricerca di un bene che riguarda tutti gli uomini.
Negli ultimi tempi si sta cogliendo con interesse rinnovato che la dottrina sociale della Chiesa non è un codice statico di norme sociali, ma un ampio processo in costante sviluppo. Certo, in qualcosa la Chiesa è ferma: sui principi perenni e indistruttibili della fede e della morale che affondano le radici nel Vangelo e nella tradizione viva del cristianesimo.
Ma di questi "elementi permanenti" la Chiesa fa una traduzione in campo sociale, ricavandone delle direttive pratiche, che possono riguardare determinate circostanze particolari proprie di una determinata epoca storica.
"Ad esempio, se Leone XIII era preoccupato dal crollo dei vecchi regimi europei e dallo sgretolamento della civiltà cristiana tradizionale, noi non possiamo legittimamente concludere che il modello statale illustrato nelle encicliche politiche di Leone XIII sia tuttora il tipo di società proposto dalla dottrina della Chiesa. Oggi i cattolici sono chiamati a costruire la società futura in uno spirito di cooperazione ecumenica con tutti gli altri cristiani, con tutti i credenti e con tutte le persone e i gruppi di buona volontà.
A partire da Giovanni XXIII, in modo particolare, la dottrina sociale della Chiesa ha riconosciuto che la giustizia sociale doveva diventare operante nelle società caratterizzate dal pluralismo, dalla diversità delle religioni e delle convinzioni spirituali.
I cattolici hanno la loro visione propria delle cose, ispirata al vangelo, proclamano le loro convinzioni religiose nella vita sociale, ma non sostengono alcun progetto sociale da imporre in nome del vangelo o della Chiesa. Oggi la Chiesa può affermare con maggiore chiarezza che la sua dottrina sociale riveste un valore universale e si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà." (H. Carrier).

UNA DOTTRINA TEORICO-PRATICA.

"La dottrina sociale della Chiesa, in quanto strumento per una lettura di fede della storia e per la formazione cristiana delle coscienze, si rivela veramente un sapere teorico-pratico di grande valore pastorale." (M. Operti)
Prima di tutto perché la dottrina sociale della Chiesa non perde mai di vista le realtà storiche concrete, le necessità del momento attuale; e poi perché s'impegna a indirizzare i comportamenti delle persone.
Questo però non lo fa nella forma di dettami spiccioli, ma offre solo "punti e linee", come dice Pio XI. Tocca, poi, all'uomo tenere conto di questi "punti e linee" per formulare un giudizio corretto sulle questioni concrete dell'esistenza e per fare progetti che rendano più giusti e fraterni i rapporti tra gli uomini. In questo modo la dottrina sociale della Chiesa guida all'azione, offre continue sintesi fra principi e possibili comportamenti, e propone direttive che mettono in luce la posta morale in gioco, convincendo il cristiano a risalire sempre a ciò che deve motivare le sue scelte concrete.
All'uomo moderno la dottrina sociale della Chiesa non richiede l'assenso della fede, è un insegnamento che pone interrogativi, apre alle questioni più aggiornate che si presentano, richiede buona volontà e rettitudine nella ricerca del bene. La finalità pastorale della dottrina sociale della Chiesa scaturisce dal fatto che i cristiani non devono sentirsi esecutori di un comando. Sono provocati ad agire.
"E' necessario che la dottrina sociale venga insegnata e diffusa dalla Chiesa in Italia, ed entri quindi in maniera più organica a far parte della pastorale ordinaria della comunità cristiana." ("Evangelizzare il sociale", n 27. Documento dei vescovi italiani su "Orientamenti e direttive per la pastorale sociale e del lavoro")
"Non è possibile un'autentica catechesi e formazione dei credenti a prescindere da una presentazione adeguata della dottrina sociale della Chiesa." (M. Operti, direttore Ufficio della pastorale sociale e del lavoro)
Siamo davanti a due affermazioni, la seconda di fonte autorevole, la prima addirittura "ufficiale". Quale grado di assenso esigono?
La domanda è giustificata, infatti si è appena detto che la dottrina sociale della Chiesa non è "questione di fede", cioè pur essendo espressione del magistero della Chiesa, non è obbligante come una dichiarazione dogmatica.
I contenuti della dottrina sociale della Chiesa discendono, sì, dalle verità di fede, ma si diramano in una applicabilità storica che la Chiesa stessa considera essere variegata e mutevole.
Allora dire che la dottrina sociale della Chiesa non è "dogmatica" significa che il cristiano può farne a meno perché "tanto non è obbligatorio crederla.."?
Conclusione fuori strada. Dottrina sociale della Chiesa non "dogmatica" non vuol certo dire che la Chiesa, mentre interviene nel sociale... si mette in tasca le verità di fede, come se niente fosse, come se non c'entrassero.
La Chiesa, anche con la dottrina sociale, l'abbiamo detto, continua a insegnare, camminando con l'uomo: nella sua magisterialità c'è sempre il timbro della sua voce materna.
La Chiesa sa dell'uomo più di quanto l'uomo sappia di se stesso, e può avere fiducia nell'uomo anche nei tempi amari dello smarrimento. Ha fiducia che l'uomo, percorrendo magari vie lunghe e tortuose e perfino ambigue, può essere aiutato a raggiungere almeno quei frammenti di verità che riguardano il suo essere uomo.
E la Chiesa ha anche fiducia che i suoi cristiani possano investire e far fruttare quel supplemento di umanità che attingono dalla fede.
I credenti maturi infatti hanno un titolo speciale per essere consapevoli dell'impegno personale nei confronti di tutti gli uomini cittadini della città terrena.
Ci chiediamo: il contributo che i cattolici possono dare in campo civile e politico può essere proposto "come un contributo di tipo laico" (E. Berti), cioè come un contributo che ai non credenti si presenta sulla base di argomentazioni non necessariamente derivate dalla fede?
E' un tema che deve essere bene impostato. Percorrere questa strada presuppone partire da una solida formazione dei cristiani adulti, che sappiano muoversi nella complessità della cultura attuale attrezzati e liberi della libertà dei figli di Dio.
La dottrina sociale della Chiesa ci ha aperto il varco per poter avviare qualche riflessione su questa materia.

1. "Creazione, peccato, Redenzione"

La Chiesa cattolica si vuole società sui generis, in quanto fondata direttamente da Dio e con caratteri simili a quelli di ogni società fondata attraverso la naturale socialità umana.
La visione del mondo cattolica è ritmata da una sequenza, che rende ragione di tutto l'operare della Chiesa e dei "mondi" costituiti da cattolici come esito di una impiantito non solo religioso, ma anche socio-culturale. La sequenza in questione è "Creazione, peccato, Redenzione".
Tale sequenza suppone Dio creatore di una realtà con una "ragion d'essere", che l'uomo intuisce con il senso comune attraverso la rilevazione che "res sunt" secondo la felice formula del filosofo Étienne Gilson (1884-1978), che "vi sono le cose", fra le quali ne vengono poi apprezzate di particolari: "homines sunt", "vi sono gli uomini".
Segue l'approfondimento di questa rilevazione attraverso l'operare umano, principalmente grazie a quello contemplativo che si esprime nella filosofia e coglie un diritto naturale, e attraverso la catalogazione dell'operare umano stesso e dei suoi frutti, cioè grazie all'esperienza storica, che svela l'essere dell'operatore: infatti "operari sequitur esse", "l'agire consegue all'essere".
Un atto umano il "peccato originale", il rifiuto da parte dell'uomo della propria condizione di creatura, ha ferito l'operare umano. Così s'impone una restaurazione della realtà ferita, un'integrazione dei doni collegati alla creazione, alla natura, cioè l'integrazione soprannaturale della grazia, che si manifesta attraverso la Rivelazione, con la costituzione della Chiesa.
Dell'annuncio fa parte la conferma di una regola di comportamento il cui rispetto garantisce il ritorno all'origine, al punto di partenza: da Dio, come fonte, tutto viene, e a Dio, come fine, tutto va.

2. Morale individuale e sociale, morale naturale e rivelata

La morale individuale è l'indicazione dei valori di riferimento ai quali l'uomo come singolo deve guardare nel suo agire perché, nato ferito dalla caduta originale, possa essere redento e tornare a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa è l'indicazione comportamentale, cioè morale, intesa a contrastare le difficoltà costituite per l'agire dell'uomo dalla cosiddetta "questione sociale", cioè dall'insieme delle difficoltà, derivanti dal peccato originale, dell'operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio come gruppi sociali, nella vita di convivenza fra loro e fra gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i beni sia dei singoli, che di nuovo dei gruppi umani.
Una dottrina morale sociale esiste ed è sempre esistita fra gli uomini, quale ne sia o ne sia stata l'espressione esemplare o filosofica:
1) essa ha trovato nella Sacra Scrittura un'espressione privilegiata, in quanto rivelata, quindi garantita dal Rivelatore.
2) Inoltre la sua esplicitazione è passata dall'intervento episodico all'insegnamento sociale: dalla politica sociale, dalla denuncia e dall'indicazione nel caso concreto all'educazione sociale integrale.
Ma come si può individuare una morale se non si fa riferimento al bene comune, al suo esplicarsi nella vita quotidiana? E uno dei campi che meritano più attenta attenzione è la politica.
Politica e bene comune sono termini strettamente connessi. Che ci sta a fare la politica se non si occupa del bene comune? Bene comune è proprio il senso, la ragione d'essere dell'attività politica.
Qualcuno ha definito la politica proprio l' "arte nobile e difficile per costruire il bene comune". Bene comune è un termine soggetto a eclissi e a riapparizioni. Agli albori della libertà democratica riconquistata nel dopoguerra i cattolici erano fortemente impegnati intorno a quei valori che scaturiscono dalla centralità della persona umana. Ma le radici di questa impostazione politica sono ancora più remote, contrassegnano il movimento dei cattolici "popolari" all'inizio del secolo. Via via la parola bene comune è apparsa poco più di una pia espressione sorpassata o riservata a qualche cattolico antiquato. Perché questa parola, bene comune, riemerge? Ora ciascuno cerca di farsi i propri interessi, ora abbiamo tanti beni, e chi già ne ha ne vuole sempre di più; ora l'individualismo assume forme selvagge e si incomincia ad averne paura, si avverte la minaccia dell'anti umano. In contrapposizione, forse, rinasce il gran bisogno dell'essere insieme, dell'unirsi per conseguire scopi comuni, da uomini, da cristiani, "per far sì che ciascuno trovi nella società la pienezza della sua dignità e la soddisfazione dei bisogni fondamentali" (Martini).
Quando un bisogno come questo affiora, si può essere certi che lascia intravedere un grande valore, in questo caso il bene comune, anzi lo indica, lo chiama in causa. E in tempi di così grave incertezza davvero "occorre cercare valori comuni, grandi fini per l'azione sociale e politica; occorre tenere alto l'orizzonte dei valori per orientarsi anche nello smarrimento" (Martini).

Bene comune: un'idea chiave

Il bene comune è una delle idee-chiave della Dottrina sociale della Chiesa che ci viene riproposta quasi in ogni grande enciclica sociale. Bisogna armarsi di buona volontà per fissare almeno alcuni punti essenziali. Incominciamo dalla definizione di bene comune che troviamo nella "Gaudium et Spes" sotto il titolo "Natura e fine della comunità politica":
"Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e più rapido della loro perfezione".
Questa definizione viene ripresa anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1906. Alla base dell'idea di bene comune c'è la persona umana, che è al tempo stesso limitata e capace.
E' limitata, perché non può realizzarsi completamente senza l'aiuto degli altri, ma è anche capace di cooperare con gli altri per raggiungere il bene comune.
"La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali, di cui l'uomo ha da valersi, ora dando, ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri".

Concezioni di bene comune

Il bene comune come criterio-base per regolare la vita sociale ha origini lontane. Già nel pensiero politico di antichi filosofi greci e romani la società viene presentata come un organismo, all'interno del quale ogni parte non può fare a meno dell'altra e tutte sono finalizzate a un bene, che è conseguenza del procedere ordinato e necessario di tutte le membra sotto la direzione del capo.
Questa concezione, nella sua lunga storia, conta anche degli oppositori in coloro che sostengono determinate concezioni dello Stato. Ad esempio in uno Stato totalitario (come quello nazista, fascista) per bene comune si intende il bene dello Stato stesso che sovrasta, fino a soffocarlo, il bene dei singoli.
In uno Stato collettivista (come quelli comunisti) il bene comune riduce ai minimi termini gli spazi per il raggiungimento del bene della persona. Per ciò che riguarda lo Stato liberale tutto dipende dall'idea che si ha di libertà. E' accaduto, e accade, che per Stato liberale qualcuno intenda, in teoria e in pratica, quello in cui il bene comune è ridotto al minimo ed è inteso come la somma dei singoli beni privati.

Contenuto del bene comune

C'è chi afferma che il bene comune - nel suo aspetto di concretezza storica - tende a mettere a disposizione dei cittadini una sorta di "materiale grezzo", a partire dal quale è possibile la costruzione del singolo e della società. Bene comune infatti non è tanto questo o quel bene. Quello che è bene in una data epoca storica può non esserlo più in un'altra. Due sono i nuclei che costituiscono il bene comune, e sono inscindibilmente congiunti:
1) favorire le condizioni per un vivere comune ordinato e pacifico
2) fondarsi per questo sui diritti-doveri dell'uomo.
Il bene comune della società consiste soprattutto nella tutela dei diritti e doveri della persona umana. Occorre perciò che siano rese accessibili all'uomo tutte le possibilità necessarie a condurre una vita veramente umana (v. la voce "bene comune" nel Dizionario del Concilio ecumenico Vaticano II, p 654; cf anche "Gaudium et Spes", 26).
A conclusione di questo punto possiamo dire che nella Dottrina sociale della Chiesa sul bene comune l'uomo è sempre il soggetto principale del sociale. E l'uomo, come creatura dotata di razionalità e di capacità morali, non potrà mai godere solo di beni materiali, ma deve poter soddisfare tutte le sue esigenze, anche quelle spirituali.

Chi si deve occupare del bene comune

Prima c'è una risposta generale. Dato che il bene comune riguarda tutti, dobbiamo occuparcene tutti. Ma una responsabilità particolare spetta all'autorità sia a livello centrale che a livello locale. Questo ruolo dell'autorità non deve però paralizzare le energie dal basso. L'autorità deve tendere a realizzare il bene comune valorizzando e coordinando l'apporto di tutti. Non bisogna dimenticare che nello Stato democratico i rappresentanti della maggioranza della volontà popolare devono cercare di raggiungere il bene di tutti i cittadini, anche di quelli che sono in posizione di minoranza.

3. Dalla terapia sociale all'educazione sociale integrale

Tutti i giudizi su temi sociali, necessitati dai fatti, emessi da autorità spirituali e gerarchiche dopo la fondazione della Chiesa costituiscono espressioni della dottrina sociale della Chiesa, che è sollecitata a formulazioni sempre più organizzate dallo svolgimento della vita nella società in cui si trova storicamente a vivere.
Se l'intervento morale è suggerito dallo svolgimento sociale, è letteralmente incalzato dal tralignamento dell'ultima società in questione a partire dal Rinascimento, quindi dalle premesse della Rivoluzione industriale, poi dalle modifiche delle strutture organizzative della società, con particolare rilievo per quelle politiche.
Perciò, nel tempo che si stende dall'emanazione di una delle prime lettere encicliche, la Vix pervenit del 1745, di Papa Benedetto XIV (1740-1758), fino al 1961, data di pubblicazione dell'enciclica Mater et Magistra da parte di Papa Giovanni XXIII (1958-1963), cresce un corpo dottrinale di cui - nella parte IV dell'ultimo documento citato - viene data una denominazione ormai determinata, "dottrina sociale della Chiesa", e del quale è anche indicata la portata, "parte integrante della concezione cristiana della vita". Punto nodale di questo itinerario è costituito dal 1891, anno di pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum a opera di Papa Leone XIII (1878-1903), alla quale non solo nella vulgata è ormai consuetamente collegata la nozione di dottrina sociale della Chiesa come magna charta di essa. Si tratta di un legame che necessita almeno di una precisazione: l'attenzione alla societas testimoniata dal documento di Papa Leone XIII non dev'essere ridotta alla sola dimensione socio-economica del reale sociale. L'itinerario indicato prosegue fino alla determinazione dello statuto della dottrina stessa al n. 46 dell'enciclica Sollicitudo rei socialis, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1987, dov'è qualificata come "teologia morale", e oltre, fino a un'esposizione compendiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992. Com'è nella natura della vita culturale delle società umane, la continua riesposizione della morale sociale nel caso concreto porta con sé anche un'altrettanto continua rielaborazione, quindi produce una maggior comprensione del deposito da parte della Chiesa, gerarchia e fedeli. Si tratta di una maggior comprensione che non comporta assolutamente una mutazione né del contenuto né della natura del deposito. Sollecitazioni che inducono a un costante approfondimento, quindi allo svolgersi del magistero sociale, sono prodotte anche dalle difficoltà del mondo non solo contemporaneo alla Chiesa, ma con cui essa concretamente convive. A queste complicazioni, che costituiscono altrettanti fattori di complessità, s'affiancano le problematiche presentate dal processo di secolarizzazione, cioè di maliziosa espunzione delle motivazioni e delle finalità religiose dalla vita delle società umane, nonché il recepimento, talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di comunicazione sociale.
Così si spiegano le prese di posizione del Magistero della Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e dell'ecologia.

4. La formazione della coscienza sociale

La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza sociale, in quanto tale dottrina contiene i princìpi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per la coscienza del singolo fedele. L'esplicitazione della dottrina sociale della Chiesa, derivata dalle necessità storiche evidenziate, il suo passaggio da messaggio implicito a messaggio esplicito, hanno talora prodotto un certo temporaneo disorientamento, una ricezione impropria di essa. Tale ricezione impropria si potrebbe indicare come una "ricezione ideologica", analoga a quella che trasforma l'orientamento proprio di una direzione spirituale in una legge positiva, facendo sì che il direttore surroghi il diretto subentrando in qualche modo nella di lui responsabilità. Accanto alla ricezione ideologica si situa, negli anni 1960 e 1970, cioè negli anni immediatamente seguenti il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), un tentativo intraecclesiale teso a ridurre la rilevanza della dottrina sociale attraverso artifici lessicali quale la sua definizione come "insegnamento", nella prospettiva della sua negazione, cioè della sua trasformazione in una "morale sociale della situazione", quindi tanto condizionata dalla situazione storica da perdere quasi ogni significativa portata normativa. A partire dal 1979 si è realizzata, da parte delle massime autorità della Chiesa, una rivalutazione della dottrina stessa non per questo adeguatamente compresa, studiata e, soprattutto, tenuta nella dovuta considerazione attraverso la pubblicazione di numerosi documenti da parte di Papa Giovanni Paolo II, soprattutto dell'enciclica Centesimus annus, del 1991, ricca di indicazioni sulla natura e sulla storia della dottrina sociale. Chi ha una personalità cristiana deve vivere la sua profonda unitarietà tra impegno spirituale e impegno nelle realtà temporali. Occuparsi di politica per il cristiano non vuol dire che il cristiano deve premunirsi contro "l'illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie ". A queste parole, Dossetti fa seguire un appello a coltivare la virtù della fortezza. Fortezza cristiana necessaria, e lo stiamo sperimentando, per sostenere con coraggio il "disagio sociale" nel sentirci diversi dall'ambiente che tende a sommergerci.

TRA - CON - PER

Queste tre piccole parole sono come lo schizzo dell'intero disegno, e vengono usate per tratteggiare la solidarietà. tra è condividere con gli altri, stare dentro, non estraniarsi dalla condizione comune "nella buona e nella cattiva sorte"; con è non far mancare il proprio contributo, farsi carico delle cause comuni, ricercare punti di intesa, essere corresponsabili; per è spendersi per gli altri disinteressatamente, non risparmiarsi quando c'è bisogno di noi "la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo Stato; la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale". A quel tempo parlamentari di contrapposte posizioni politiche hanno accettato la solidarietà, in questo quadro di princìpi alla base della vita sociale italiana, come un valore dai connotati umani.

Solidarietà

La solidarietà, dice il Papa, "NON è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine e lontane; AL CONTRARIO è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti". E' un'affermazione sulla quale molti possono concordare, anche quelli che non attingono ai princìpi della fede. Per questi, la solidarietà è un partecipare ai vincoli esistenti nella società, una specie di "coscienza della società". E intorno al significato di solidarietà ci si può ritrovare in molti, anche con il cosiddetto mondo laico, ora che almeno due grandi pregiudiziali sono, in larga misura, cadute. La pregiudiziale del liberalismo infatti guardava con diffidenza alla solidarietà perché il liberalismo poneva le leggi economiche al di sopra di tutto, ma ora deve fare i conti con nuove realtà. Il totalitarismo, per esempio quello comunista, rifiutava la solidarietà perché costituiva un alibi per non affrontare i nodi dei conflitti sociali e delle ingiustizie esistenti. A guardar bene dentro alla solidarietà, dentro alla sua stessa natura, ci si accorge che essa genera non una responsabilità in linea retta, per esempio da chi ha di più a chi ha di meno, dall'istituzione al cittadino ecc. La solidarietà genera una specie di responsabilità circolante, potremmo chiamarla così. Ci pare che questa sottolineatura sia utile particolarmente quando si parla di solidarietà nella politica. Si può affermare, senza sembrare "duri di cuore", che esistono dei pericoli nel campo della solidarietà? Rispondiamo di sì, che i pericoli ci sono se quella che chiamiamo solidarietà non è vera solidarietà fondata sul valore della persona e protesa a obiettivi pienamente umani. Facciamo solo qualche esempio. Non è solidarietà pretenderla dagli altri solo a proprio vantaggio o riunirsi in gruppo solo per tutelare meglio i propri interessi, senza badare ai diritti altrui. E quando in clima elettorale i candidati si dichiarano solidali con i bisogni degli elettori, è sempre genuina solidarietà? Certamente non lo è quando agli elettori si fanno facili promesse, che si sa di non poter mantenere. Non è solidarietà quando si annienta la coscienza politica di una persona, facendone un "cliente" o un parassita. Con questo genere di caccia al voto, come già scriveva Luigi Sturzo nel 1956, si trattano le persone "come se fossero pecore da mercato".

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: ALCUNI PUNTI QUALIFICANTI SULLA SOLIDARIETÀ

Indichiamo alcune connotazioni caratteristiche.

L'idea di solidarietà è tra i princìpi-base della Dottrina sociale della Chiesa e, a sua volta, si ricollega a quei valori-cardine che abbiamo già visto essere anche alla base della politica e del bene comune:
la persona è al centro e va difesa la sua dignità
l'uomo ha necessità di integrarsi con altri uomini, ha bisogno di rapporti interpersonali
l'uomo è creato solidale, è fatto per raggiungere insieme agli altri il bene comune
la solidarietà è da esercitare privilegiatamente verso i più deboli, gli "ultimi"
La solidarietà e' una "virtù eminentemente cristiana"
Il terreno comune per credenti e non credenti è molto ampio. Non a caso Pio XII parla di "legge di solidarietà umana e di carità". Ma perché nella Dottrina sociale della Chiesa si eleva quasi un inno alla solidarietà? Perché il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce la solidarietà "una virtù eminentemente cristiana" (1948)? La Dottrina sociale della Chiesa, in definitiva, ha una ragione suprema sulla quale fondare la solidarietà: Dio per primo è stato solidale con gli uomini.

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