LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
A cura di Marcello Menni
"Chiamati alla perfezione della carità
per rinnovare la società alla luce del Vangelo"
Card. Giovanni Saldarini
Come è possibile essere cittadini a pieno titolo del mondo e
nello stesso tempo avere un principio ispiratore più ampio? Come
recuperare il senso del mistero in un mondo dominato dalla
tecnica e dalla razionalità scientifica? Come maturare un senso
della provvidenza pur dentro la concretezza dell'agire profano e
la tendenza ad auto determinare la propria condizione di vita?
Come recuperare il senso della vocazione, della chiamata, in una
cultura che dà grande risalto all'auto realizzazione?
Queste e molte altre domande sorgono guardando alla nostra società
e al nostro paese, di fronte ad un relativismo etico imperante ed
ad un diffuso abbandono dei valori tradizionali. Vi è in atto
una vera e propria crisi. Quella che stiamo vivendo è una crisi
grave e sconcertante. Molti pensavano che l'Italia stava uscendo
da un periodo oscuro, dominato da numerosi sintomi di
degenerazione, fra cui una dilagante corruzione, per entrare in
tempi brevi in una fase di miglioramento politico e sociale.
Finora di questo miglioramento non c'è alcuna indicazione, anzi,
pare che sia in atto un grave peggioramento: aumenta giorno per
giorno il numero di coloro che si vanno convincendo che siamo
caduti dalla padella nella brace (con diversi elementi positivi a
favore della padella).
Una risposta concreta e profonda ad una richiesta di una strada
da percorrere si può rinvenire nella Dottrina sociale della
Chiesa. Essa accompagna tutta la vicenda storica della comunità
ecclesiale, dalle riflessioni dei Padri della Chiesa ad oggi.
Ormai però con l'espressione "Dottrina sociale della Chiesa"
ci si riferisce a quell'insieme di riflessioni, d'insegnamenti e
d'orientamenti proposti in materia sociale dalla Chiesa nell'ultimo
secolo, a partire dall'Enciclica "Rerum novarum" di
Papa Leone XIII (15 maggio 1891) sulla condizione operaia dell'epoca.
In materia sociale la Chiesa, continuando ad essere "Maestra",
è divenuta via via più "Madre", assumendo un ruolo
educativo nei confronti dell'intera umanità.
L'insegnamento sociale della Chiesa aiuta i cristiani ad
interpretare gli avvenimenti e i fenomeni sociali, che sorgono e
si sviluppano sotto i suoi occhi nel corso della storia e dell'evolversi
dei tempi, alla luce del messaggio evangelico.
La Dottrina sociale della Chiesa è un costitutivo dell'opera d'evangelizzazione.
Non ci dice nulla il fatto che la Chiesa abbia incluso un'ampia
esposizione della sua Dottrina sociale nel nuovo Catechismo (2419-2442)?
Perché non farne un'attenta lettura? Nella Dottrina sociale la
Chiesa non stabilisce soluzioni strettamente pratiche per i vari
problemi che considera e sui quali si esprime, tuttavia non offre
soltanto opinioni e punti di vista tra gli altri.
La Chiesa indica come "la Rivelazione cristiana guida l'uomo
all'approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale"
("Gaudium et Spes", 23). "Anche nel campo
economico-sociale, la Chiesa, benché non abbia mai offerto un
determinato sistema tecnico, non essendo questo compito suo, ha
però fissato chiaramente punti e linee che, pur prestandosi a
diverse applicazioni secondo le varie condizioni dei tempi, dei
luoghi e dei popoli, indicano la via sicura per ottenere il
felice progresso della società" (così Pio XI nella "Divini
Redemptoris", 1937).
DA DOVE INCOMINCIARE?
Si può essere presi da un po' di scoraggiamento: la dottrina
sociale della Chiesa appare davvero incombente nella sua
monumentalità! Anche solo a partire dalla "Rerum novarum",
la mole di documenti (encicliche, dichiarazioni, radiomessaggi
ecc.) di varia portata ed estensione, per molteplici destinatari,
è impressionante.
Vorrei cercare un modo per superare lo scoglio iniziale di
qualche diffidenza, dettata, per esempio, dal timore di
imbarcarsi in discorsi che possono apparire astratti e anche un
po' ingrigiti dal tempo.
Vorrei rendere attraente la dottrina sociale della Chiesa,
superando d'un balzo le posizioni critiche e offrendo gli aspetti
più accattivanti. Proponiamo, come se lo facessimo a noi stessi,
quel metodo e quei punti che, ci sembra, potrebbero motivare
maggiormente chi si accosta oggi alla dottrina sociale della
Chiesa, quasi rompere il guscio di obiezioni un po' stantie,
quali: "ma perché la Chiesa si occupa del sociale?",
"la Chiesa è lenta a capire e muoversi" eccetera.
La dottrina sociale della Chiesa è un "prodotto" della
Chiesa che si coinvolge nella storia dell'uomo, come maestra sì,
sempre, ma anche, e sempre più come madre. Chiesa che insegna,
ma anche Chiesa che impara: impara ad essere quella che lo
Spirito Santo vuole che sia, e perciò impara tra gli uomini e
dagli uomini. Se il moto è talora impercettibile, e la Chiesa
sembra a lungo come inanimata, vi sono colpi che imprimono le
accelerazioni e non le consentono l'immobilità. Vorremmo
prospettare la natura teorico-pratica della dottrina sociale
della Chiesa, che con questa sua caratteristica si fa trovare
vicina a tutte le realtà e di tutte le culture. E infine ci
sembrerebbe importante sottolineare come la dottrina sociale
della Chiesa sia diffusiva. Nel suo costante far maturare e
maturare essa stessa, penetra nel tessuto dell'umanità, illumina
le scienze, delle quali utilizza i contributi e alimenta più o
meno direttamente i luoghi di incontro e di formulazione di
documenti e Carte internazionali in materia sociale. Proviamo ora
a fissare alcuni appunti intorno a ciascuno di quei connotati
della dottrina sociale della Chiesa, a cui abbiamo accennato.
DENTRO LE VICENDE SOCIALI DELL'UOMO
In che senso la Chiesa con la sua dottrina sociale si coinvolge
nella vicenda storica dell'uomo senza appiattirsi su di essa? La
Chiesa ha da amministrare due servizio di insegnamento:
1) la Parola di Dio
2) la storia.
E' un insegnamento che viene da oltre la storia e va al di là di
essa, ma si costruisce con il materiale della terra sulla quale l'uomo
vive. La Chiesa non può non amare l'uomo, perché il Padre le ha
affidato il suo Figlio-uomo. Perciò ha il dovere di proclamare
il Vangelo stando dentro le società che nascono e vivono tra gli
uomini. Si potrebbe anche dire che la Chiesa non può non avere
un suo insegnamento sociale.
Le questioni sociali degli uomini toccano la Chiesa da vicino,
anzi sono le sue, perché l'Uomo - Dio le ha dato in custodia l'umanità
intera, donandole se stesso. "Questo convincimento è emerso
con tutto il suo vigore in occasione del concilio Vaticano II,
soprattutto nella 'Gaudium et spes', il documento sulla 'Chiesa
nel mondo contemporaneo'.
La missione sociale della Chiesa è stata ribadita in termini
solenni e universali. Con l'autorità di un concilio ecumenico,
la Chiesa si è proclamata a favore della promozione sociale,
culturale e spirituale di tutti i gruppi e di tutta la famiglia
umana. Questa affermazione, le cui immense conseguenze si vanno
lentamente mostrando, è portatrice di grandi speranze." (H.
Carrier)
Un aspetto particolare del coinvolgersi della Chiesa nelle
vicende del mondo si può notare anche nell'intreccio che la
dottrina sociale ha con le scienze sociali e con gli apporti dell'esperienza
dei cattolici sulle questioni sociali. Ciò è avvenuto fin dai
tempi della "Rerum novarum", che si era avvalsa da un
lato delle ricerche di studiosi cattolici di quell'epoca (sec XIX),
e dall'altro dell'apporto di cattolici impegnati nel servizio
delle classi operaie, dei poveri, e nella fondazione di
organizzazioni sociali.
Anche allora appare l'interscambio fecondo tra dottrina sociale
della Chiesa e culture. Appare chiaro che la dottrina sociale
della Chiesa non nasce mai come un fungo solitario: nasce già
ricca dell'esperienza dei cattolici e dà impulso e guida, dal di
dentro, allo sviluppo della "scienza sociale cattolica"
(Pio XI). La Chiesa, inoltre, per capire le situazioni attuali e
i nuovi problemi morali che sorgono, attinge alle scienze moderne,
in ogni campo.
DINAMISMO O IMMOBILITA' DELLA DOTTRINA SOCIALE
Per cogliere il centro della dottrina sociale della Chiesa,
basterebbe leggere la "Centesimus annus" di Giovanni
Paolo II, che è come la sintesi viva e attualizzata della
dottrina sociale della Chiesa fin qui.
Occorre avvicinarsi alla dottrina sociale della Chiesa con
intelligenza, e insieme con il senso della storia, per avvertire
quanto è viva e quanto, in uno sviluppo talora lento, c'è in
essa l'instancabile ricerca di un bene che riguarda tutti gli
uomini.
Negli ultimi tempi si sta cogliendo con interesse rinnovato che
la dottrina sociale della Chiesa non è un codice statico di
norme sociali, ma un ampio processo in costante sviluppo. Certo,
in qualcosa la Chiesa è ferma: sui principi perenni e
indistruttibili della fede e della morale che affondano le radici
nel Vangelo e nella tradizione viva del cristianesimo.
Ma di questi "elementi permanenti" la Chiesa fa una
traduzione in campo sociale, ricavandone delle direttive pratiche,
che possono riguardare determinate circostanze particolari
proprie di una determinata epoca storica.
"Ad esempio, se Leone XIII era preoccupato dal crollo dei
vecchi regimi europei e dallo sgretolamento della civiltà
cristiana tradizionale, noi non possiamo legittimamente
concludere che il modello statale illustrato nelle encicliche
politiche di Leone XIII sia tuttora il tipo di società proposto
dalla dottrina della Chiesa. Oggi i cattolici sono chiamati a
costruire la società futura in uno spirito di cooperazione
ecumenica con tutti gli altri cristiani, con tutti i credenti e
con tutte le persone e i gruppi di buona volontà.
A partire da Giovanni XXIII, in modo particolare, la dottrina
sociale della Chiesa ha riconosciuto che la giustizia sociale
doveva diventare operante nelle società caratterizzate dal
pluralismo, dalla diversità delle religioni e delle convinzioni
spirituali.
I cattolici hanno la loro visione propria delle cose, ispirata al
vangelo, proclamano le loro convinzioni religiose nella vita
sociale, ma non sostengono alcun progetto sociale da imporre in
nome del vangelo o della Chiesa. Oggi la Chiesa può affermare
con maggiore chiarezza che la sua dottrina sociale riveste un
valore universale e si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà."
(H. Carrier).
UNA DOTTRINA TEORICO-PRATICA.
"La dottrina sociale della Chiesa, in quanto strumento per
una lettura di fede della storia e per la formazione cristiana
delle coscienze, si rivela veramente un sapere teorico-pratico di
grande valore pastorale." (M. Operti)
Prima di tutto perché la dottrina sociale della Chiesa non perde
mai di vista le realtà storiche concrete, le necessità del
momento attuale; e poi perché s'impegna a indirizzare i
comportamenti delle persone.
Questo però non lo fa nella forma di dettami spiccioli, ma offre
solo "punti e linee", come dice Pio XI. Tocca, poi, all'uomo
tenere conto di questi "punti e linee" per formulare un
giudizio corretto sulle questioni concrete dell'esistenza e per
fare progetti che rendano più giusti e fraterni i rapporti tra
gli uomini. In questo modo la dottrina sociale della Chiesa guida
all'azione, offre continue sintesi fra principi e possibili
comportamenti, e propone direttive che mettono in luce la posta
morale in gioco, convincendo il cristiano a risalire sempre a ciò
che deve motivare le sue scelte concrete.
All'uomo moderno la dottrina sociale della Chiesa non richiede l'assenso
della fede, è un insegnamento che pone interrogativi, apre alle
questioni più aggiornate che si presentano, richiede buona
volontà e rettitudine nella ricerca del bene. La finalità
pastorale della dottrina sociale della Chiesa scaturisce dal
fatto che i cristiani non devono sentirsi esecutori di un comando.
Sono provocati ad agire.
"E' necessario che la dottrina sociale venga insegnata e
diffusa dalla Chiesa in Italia, ed entri quindi in maniera più
organica a far parte della pastorale ordinaria della comunità
cristiana." ("Evangelizzare il sociale", n 27.
Documento dei vescovi italiani su "Orientamenti e direttive
per la pastorale sociale e del lavoro")
"Non è possibile un'autentica catechesi e formazione dei
credenti a prescindere da una presentazione adeguata della
dottrina sociale della Chiesa." (M. Operti, direttore
Ufficio della pastorale sociale e del lavoro)
Siamo davanti a due affermazioni, la seconda di fonte autorevole,
la prima addirittura "ufficiale". Quale grado di
assenso esigono?
La domanda è giustificata, infatti si è appena detto che la
dottrina sociale della Chiesa non è "questione di fede",
cioè pur essendo espressione del magistero della Chiesa, non è
obbligante come una dichiarazione dogmatica.
I contenuti della dottrina sociale della Chiesa discendono, sì,
dalle verità di fede, ma si diramano in una applicabilità
storica che la Chiesa stessa considera essere variegata e
mutevole.
Allora dire che la dottrina sociale della Chiesa non è "dogmatica"
significa che il cristiano può farne a meno perché "tanto
non è obbligatorio crederla.."?
Conclusione fuori strada. Dottrina sociale della Chiesa non
"dogmatica" non vuol certo dire che la Chiesa, mentre
interviene nel sociale... si mette in tasca le verità di fede,
come se niente fosse, come se non c'entrassero.
La Chiesa, anche con la dottrina sociale, l'abbiamo detto,
continua a insegnare, camminando con l'uomo: nella sua
magisterialità c'è sempre il timbro della sua voce materna.
La Chiesa sa dell'uomo più di quanto l'uomo sappia di se stesso,
e può avere fiducia nell'uomo anche nei tempi amari dello
smarrimento. Ha fiducia che l'uomo, percorrendo magari vie lunghe
e tortuose e perfino ambigue, può essere aiutato a raggiungere
almeno quei frammenti di verità che riguardano il suo essere
uomo.
E la Chiesa ha anche fiducia che i suoi cristiani possano
investire e far fruttare quel supplemento di umanità che
attingono dalla fede.
I credenti maturi infatti hanno un titolo speciale per essere
consapevoli dell'impegno personale nei confronti di tutti gli
uomini cittadini della città terrena.
Ci chiediamo: il contributo che i cattolici possono dare in campo
civile e politico può essere proposto "come un contributo
di tipo laico" (E. Berti), cioè come un contributo che ai
non credenti si presenta sulla base di argomentazioni non
necessariamente derivate dalla fede?
E' un tema che deve essere bene impostato. Percorrere questa
strada presuppone partire da una solida formazione dei cristiani
adulti, che sappiano muoversi nella complessità della cultura
attuale attrezzati e liberi della libertà dei figli di Dio.
La dottrina sociale della Chiesa ci ha aperto il varco per poter
avviare qualche riflessione su questa materia.
1. "Creazione, peccato, Redenzione"
La Chiesa cattolica si vuole società sui generis, in quanto
fondata direttamente da Dio e con caratteri simili a quelli di
ogni società fondata attraverso la naturale socialità umana.
La visione del mondo cattolica è ritmata da una sequenza, che
rende ragione di tutto l'operare della Chiesa e dei "mondi"
costituiti da cattolici come esito di una impiantito non solo
religioso, ma anche socio-culturale. La sequenza in questione è
"Creazione, peccato, Redenzione".
Tale sequenza suppone Dio creatore di una realtà con una "ragion
d'essere", che l'uomo intuisce con il senso comune
attraverso la rilevazione che "res sunt" secondo la
felice formula del filosofo Étienne Gilson (1884-1978), che
"vi sono le cose", fra le quali ne vengono poi
apprezzate di particolari: "homines sunt", "vi
sono gli uomini".
Segue l'approfondimento di questa rilevazione attraverso l'operare
umano, principalmente grazie a quello contemplativo che si
esprime nella filosofia e coglie un diritto naturale, e
attraverso la catalogazione dell'operare umano stesso e dei suoi
frutti, cioè grazie all'esperienza storica, che svela l'essere
dell'operatore: infatti "operari sequitur esse", "l'agire
consegue all'essere".
Un atto umano il "peccato originale", il rifiuto da
parte dell'uomo della propria condizione di creatura, ha ferito l'operare
umano. Così s'impone una restaurazione della realtà ferita, un'integrazione
dei doni collegati alla creazione, alla natura, cioè l'integrazione
soprannaturale della grazia, che si manifesta attraverso la
Rivelazione, con la costituzione della Chiesa.
Dell'annuncio fa parte la conferma di una regola di comportamento
il cui rispetto garantisce il ritorno all'origine, al punto di
partenza: da Dio, come fonte, tutto viene, e a Dio, come fine,
tutto va.
2. Morale individuale e sociale, morale naturale e rivelata
La morale individuale è l'indicazione dei valori di riferimento
ai quali l'uomo come singolo deve guardare nel suo agire perché,
nato ferito dalla caduta originale, possa essere redento e
tornare a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa è l'indicazione comportamentale,
cioè morale, intesa a contrastare le difficoltà costituite per
l'agire dell'uomo dalla cosiddetta "questione sociale",
cioè dall'insieme delle difficoltà, derivanti dal peccato
originale, dell'operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio
come gruppi sociali, nella vita di convivenza fra loro e fra
gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i
beni sia dei singoli, che di nuovo dei gruppi umani.
Una dottrina morale sociale esiste ed è sempre esistita fra gli
uomini, quale ne sia o ne sia stata l'espressione esemplare o
filosofica:
1) essa ha trovato nella Sacra Scrittura un'espressione
privilegiata, in quanto rivelata, quindi garantita dal Rivelatore.
2) Inoltre la sua esplicitazione è passata dall'intervento
episodico all'insegnamento sociale: dalla politica sociale, dalla
denuncia e dall'indicazione nel caso concreto all'educazione
sociale integrale.
Ma come si può individuare una morale se non si fa riferimento
al bene comune, al suo esplicarsi nella vita quotidiana? E uno
dei campi che meritano più attenta attenzione è la politica.
Politica e bene comune sono termini strettamente connessi. Che ci
sta a fare la politica se non si occupa del bene comune? Bene
comune è proprio il senso, la ragione d'essere dell'attività
politica.
Qualcuno ha definito la politica proprio l' "arte nobile e
difficile per costruire il bene comune". Bene comune è un
termine soggetto a eclissi e a riapparizioni. Agli albori della
libertà democratica riconquistata nel dopoguerra i cattolici
erano fortemente impegnati intorno a quei valori che scaturiscono
dalla centralità della persona umana. Ma le radici di questa
impostazione politica sono ancora più remote, contrassegnano il
movimento dei cattolici "popolari" all'inizio del
secolo. Via via la parola bene comune è apparsa poco più di una
pia espressione sorpassata o riservata a qualche cattolico
antiquato. Perché questa parola, bene comune, riemerge? Ora
ciascuno cerca di farsi i propri interessi, ora abbiamo tanti
beni, e chi già ne ha ne vuole sempre di più; ora l'individualismo
assume forme selvagge e si incomincia ad averne paura, si avverte
la minaccia dell'anti umano. In contrapposizione, forse, rinasce
il gran bisogno dell'essere insieme, dell'unirsi per conseguire
scopi comuni, da uomini, da cristiani, "per far sì che
ciascuno trovi nella società la pienezza della sua dignità e la
soddisfazione dei bisogni fondamentali" (Martini).
Quando un bisogno come questo affiora, si può essere certi che
lascia intravedere un grande valore, in questo caso il bene
comune, anzi lo indica, lo chiama in causa. E in tempi di così
grave incertezza davvero "occorre cercare valori comuni,
grandi fini per l'azione sociale e politica; occorre tenere alto
l'orizzonte dei valori per orientarsi anche nello smarrimento"
(Martini).
Bene comune: un'idea chiave
Il bene comune è una delle idee-chiave della Dottrina sociale
della Chiesa che ci viene riproposta quasi in ogni grande
enciclica sociale. Bisogna armarsi di buona volontà per fissare
almeno alcuni punti essenziali. Incominciamo dalla definizione di
bene comune che troviamo nella "Gaudium et Spes" sotto
il titolo "Natura e fine della comunità politica":
"Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle
condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri
umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più
pieno e più rapido della loro perfezione".
Questa definizione viene ripresa anche dal Catechismo della
Chiesa Cattolica al n. 1906. Alla base dell'idea di bene comune c'è
la persona umana, che è al tempo stesso limitata e capace.
E' limitata, perché non può realizzarsi completamente senza l'aiuto
degli altri, ma è anche capace di cooperare con gli altri per
raggiungere il bene comune.
"La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno
sviluppo delle facoltà individuali e sociali, di cui l'uomo ha
da valersi, ora dando, ora ricevendo per il bene suo e quello
degli altri".
Concezioni di bene comune
Il bene comune come criterio-base per regolare la vita sociale ha
origini lontane. Già nel pensiero politico di antichi filosofi
greci e romani la società viene presentata come un organismo,
all'interno del quale ogni parte non può fare a meno dell'altra
e tutte sono finalizzate a un bene, che è conseguenza del
procedere ordinato e necessario di tutte le membra sotto la
direzione del capo.
Questa concezione, nella sua lunga storia, conta anche degli
oppositori in coloro che sostengono determinate concezioni dello
Stato. Ad esempio in uno Stato totalitario (come quello nazista,
fascista) per bene comune si intende il bene dello Stato stesso
che sovrasta, fino a soffocarlo, il bene dei singoli.
In uno Stato collettivista (come quelli comunisti) il bene comune
riduce ai minimi termini gli spazi per il raggiungimento del bene
della persona. Per ciò che riguarda lo Stato liberale tutto
dipende dall'idea che si ha di libertà. E' accaduto, e accade,
che per Stato liberale qualcuno intenda, in teoria e in pratica,
quello in cui il bene comune è ridotto al minimo ed è inteso
come la somma dei singoli beni privati.
Contenuto del bene comune
C'è chi afferma che il bene comune - nel suo aspetto di
concretezza storica - tende a mettere a disposizione dei
cittadini una sorta di "materiale grezzo", a partire
dal quale è possibile la costruzione del singolo e della società.
Bene comune infatti non è tanto questo o quel bene. Quello che
è bene in una data epoca storica può non esserlo più in un'altra.
Due sono i nuclei che costituiscono il bene comune, e sono
inscindibilmente congiunti:
1) favorire le condizioni per un vivere comune ordinato e
pacifico
2) fondarsi per questo sui diritti-doveri dell'uomo.
Il bene comune della società consiste soprattutto nella tutela
dei diritti e doveri della persona umana. Occorre perciò che
siano rese accessibili all'uomo tutte le possibilità necessarie
a condurre una vita veramente umana (v. la voce "bene comune"
nel Dizionario del Concilio ecumenico Vaticano II, p 654; cf
anche "Gaudium et Spes", 26).
A conclusione di questo punto possiamo dire che nella Dottrina
sociale della Chiesa sul bene comune l'uomo è sempre il soggetto
principale del sociale. E l'uomo, come creatura dotata di
razionalità e di capacità morali, non potrà mai godere solo di
beni materiali, ma deve poter soddisfare tutte le sue esigenze,
anche quelle spirituali.
Chi si deve occupare del bene comune
Prima c'è una risposta generale. Dato che il bene comune
riguarda tutti, dobbiamo occuparcene tutti. Ma una responsabilità
particolare spetta all'autorità sia a livello centrale che a
livello locale. Questo ruolo dell'autorità non deve però
paralizzare le energie dal basso. L'autorità deve tendere a
realizzare il bene comune valorizzando e coordinando l'apporto di
tutti. Non bisogna dimenticare che nello Stato democratico i
rappresentanti della maggioranza della volontà popolare devono
cercare di raggiungere il bene di tutti i cittadini, anche di
quelli che sono in posizione di minoranza.
3. Dalla terapia sociale all'educazione sociale integrale
Tutti i giudizi su temi sociali, necessitati dai fatti, emessi da
autorità spirituali e gerarchiche dopo la fondazione della
Chiesa costituiscono espressioni della dottrina sociale della
Chiesa, che è sollecitata a formulazioni sempre più organizzate
dallo svolgimento della vita nella società in cui si trova
storicamente a vivere.
Se l'intervento morale è suggerito dallo svolgimento sociale, è
letteralmente incalzato dal tralignamento dell'ultima società in
questione a partire dal Rinascimento, quindi dalle premesse della
Rivoluzione industriale, poi dalle modifiche delle strutture
organizzative della società, con particolare rilievo per quelle
politiche.
Perciò, nel tempo che si stende dall'emanazione di una delle
prime lettere encicliche, la Vix pervenit del 1745, di Papa
Benedetto XIV (1740-1758), fino al 1961, data di pubblicazione
dell'enciclica Mater et Magistra da parte di Papa Giovanni XXIII
(1958-1963), cresce un corpo dottrinale di cui - nella parte IV
dell'ultimo documento citato - viene data una denominazione ormai
determinata, "dottrina sociale della Chiesa", e del
quale è anche indicata la portata, "parte integrante della
concezione cristiana della vita". Punto nodale di questo
itinerario è costituito dal 1891, anno di pubblicazione dell'enciclica
Rerum novarum a opera di Papa Leone XIII (1878-1903), alla quale
non solo nella vulgata è ormai consuetamente collegata la
nozione di dottrina sociale della Chiesa come magna charta di
essa. Si tratta di un legame che necessita almeno di una
precisazione: l'attenzione alla societas testimoniata dal
documento di Papa Leone XIII non dev'essere ridotta alla sola
dimensione socio-economica del reale sociale. L'itinerario
indicato prosegue fino alla determinazione dello statuto della
dottrina stessa al n. 46 dell'enciclica Sollicitudo rei socialis,
pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1987, dov'è qualificata
come "teologia morale", e oltre, fino a un'esposizione
compendiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992. Com'è
nella natura della vita culturale delle società umane, la
continua riesposizione della morale sociale nel caso concreto
porta con sé anche un'altrettanto continua rielaborazione,
quindi produce una maggior comprensione del deposito da parte
della Chiesa, gerarchia e fedeli. Si tratta di una maggior
comprensione che non comporta assolutamente una mutazione né del
contenuto né della natura del deposito. Sollecitazioni che
inducono a un costante approfondimento, quindi allo svolgersi del
magistero sociale, sono prodotte anche dalle difficoltà del
mondo non solo contemporaneo alla Chiesa, ma con cui essa
concretamente convive. A queste complicazioni, che costituiscono
altrettanti fattori di complessità, s'affiancano le
problematiche presentate dal processo di secolarizzazione, cioè
di maliziosa espunzione delle motivazioni e delle finalità
religiose dalla vita delle società umane, nonché il recepimento,
talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni
scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni
tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di
comunicazione sociale.
Così si spiegano le prese di posizione del Magistero della
Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e
dell'ecologia.
4. La formazione della coscienza sociale
La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa
ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza
sociale, in quanto tale dottrina contiene i princìpi di
riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per
la coscienza del singolo fedele. L'esplicitazione della dottrina
sociale della Chiesa, derivata dalle necessità storiche
evidenziate, il suo passaggio da messaggio implicito a messaggio
esplicito, hanno talora prodotto un certo temporaneo
disorientamento, una ricezione impropria di essa. Tale ricezione
impropria si potrebbe indicare come una "ricezione
ideologica", analoga a quella che trasforma l'orientamento
proprio di una direzione spirituale in una legge positiva,
facendo sì che il direttore surroghi il diretto subentrando in
qualche modo nella di lui responsabilità. Accanto alla ricezione
ideologica si situa, negli anni 1960 e 1970, cioè negli anni
immediatamente seguenti il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965),
un tentativo intraecclesiale teso a ridurre la rilevanza della
dottrina sociale attraverso artifici lessicali quale la sua
definizione come "insegnamento", nella prospettiva
della sua negazione, cioè della sua trasformazione in una "morale
sociale della situazione", quindi tanto condizionata dalla
situazione storica da perdere quasi ogni significativa portata
normativa. A partire dal 1979 si è realizzata, da parte delle
massime autorità della Chiesa, una rivalutazione della dottrina
stessa non per questo adeguatamente compresa, studiata e,
soprattutto, tenuta nella dovuta considerazione attraverso la
pubblicazione di numerosi documenti da parte di Papa Giovanni
Paolo II, soprattutto dell'enciclica Centesimus annus, del 1991,
ricca di indicazioni sulla natura e sulla storia della dottrina
sociale. Chi ha una personalità cristiana deve vivere la sua
profonda unitarietà tra impegno spirituale e impegno nelle realtà
temporali. Occuparsi di politica per il cristiano non vuol dire
che il cristiano deve premunirsi contro "l'illusione dei
rimedi facili e delle scorciatoie ". A queste parole,
Dossetti fa seguire un appello a coltivare la virtù della
fortezza. Fortezza cristiana necessaria, e lo stiamo
sperimentando, per sostenere con coraggio il "disagio
sociale" nel sentirci diversi dall'ambiente che tende a
sommergerci.
TRA - CON - PER
Queste tre piccole parole sono come lo schizzo dell'intero
disegno, e vengono usate per tratteggiare la solidarietà. tra è
condividere con gli altri, stare dentro, non estraniarsi dalla
condizione comune "nella buona e nella cattiva sorte";
con è non far mancare il proprio contributo, farsi carico delle
cause comuni, ricercare punti di intesa, essere corresponsabili;
per è spendersi per gli altri disinteressatamente, non
risparmiarsi quando c'è bisogno di noi "la precedenza
sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei
suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali ma anche
spirituali) rispetto allo Stato; la necessaria socialità di
tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a
perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà
economica e spirituale". A quel tempo parlamentari di
contrapposte posizioni politiche hanno accettato la solidarietà,
in questo quadro di princìpi alla base della vita sociale
italiana, come un valore dai connotati umani.
Solidarietà
La solidarietà, dice il Papa, "NON è un sentimento di vaga
compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante
persone vicine e lontane; AL CONTRARIO è la determinazione ferma
e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il
bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti". E' un'affermazione sulla quale molti
possono concordare, anche quelli che non attingono ai princìpi
della fede. Per questi, la solidarietà è un partecipare ai
vincoli esistenti nella società, una specie di "coscienza
della società". E intorno al significato di solidarietà ci
si può ritrovare in molti, anche con il cosiddetto mondo laico,
ora che almeno due grandi pregiudiziali sono, in larga misura,
cadute. La pregiudiziale del liberalismo infatti guardava con
diffidenza alla solidarietà perché il liberalismo poneva le
leggi economiche al di sopra di tutto, ma ora deve fare i conti
con nuove realtà. Il totalitarismo, per esempio quello comunista,
rifiutava la solidarietà perché costituiva un alibi per non
affrontare i nodi dei conflitti sociali e delle ingiustizie
esistenti. A guardar bene dentro alla solidarietà, dentro alla
sua stessa natura, ci si accorge che essa genera non una
responsabilità in linea retta, per esempio da chi ha di più a
chi ha di meno, dall'istituzione al cittadino ecc. La solidarietà
genera una specie di responsabilità circolante, potremmo
chiamarla così. Ci pare che questa sottolineatura sia utile
particolarmente quando si parla di solidarietà nella politica.
Si può affermare, senza sembrare "duri di cuore", che
esistono dei pericoli nel campo della solidarietà? Rispondiamo
di sì, che i pericoli ci sono se quella che chiamiamo solidarietà
non è vera solidarietà fondata sul valore della persona e
protesa a obiettivi pienamente umani. Facciamo solo qualche
esempio. Non è solidarietà pretenderla dagli altri solo a
proprio vantaggio o riunirsi in gruppo solo per tutelare meglio i
propri interessi, senza badare ai diritti altrui. E quando in
clima elettorale i candidati si dichiarano solidali con i bisogni
degli elettori, è sempre genuina solidarietà? Certamente non lo
è quando agli elettori si fanno facili promesse, che si sa di
non poter mantenere. Non è solidarietà quando si annienta la
coscienza politica di una persona, facendone un "cliente"
o un parassita. Con questo genere di caccia al voto, come già
scriveva Luigi Sturzo nel 1956, si trattano le persone "come
se fossero pecore da mercato".
DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: ALCUNI PUNTI QUALIFICANTI SULLA
SOLIDARIETÀ
Indichiamo alcune connotazioni caratteristiche.
L'idea di solidarietà è tra i princìpi-base della Dottrina
sociale della Chiesa e, a sua volta, si ricollega a quei valori-cardine
che abbiamo già visto essere anche alla base della politica e
del bene comune:
la persona è al centro e va difesa la sua dignità
l'uomo ha necessità di integrarsi con altri uomini, ha bisogno
di rapporti interpersonali
l'uomo è creato solidale, è fatto per raggiungere insieme agli
altri il bene comune
la solidarietà è da esercitare privilegiatamente verso i più
deboli, gli "ultimi"
La solidarietà e' una "virtù eminentemente cristiana"
Il terreno comune per credenti e non credenti è molto ampio. Non
a caso Pio XII parla di "legge di solidarietà umana e di
carità". Ma perché nella Dottrina sociale della Chiesa si
eleva quasi un inno alla solidarietà? Perché il Catechismo
della Chiesa Cattolica definisce la solidarietà "una virtù
eminentemente cristiana" (1948)? La Dottrina sociale della
Chiesa, in definitiva, ha una ragione suprema sulla quale fondare
la solidarietà: Dio per primo è stato solidale con gli uomini.