SENZA DIRITTI NEL LAVORO

NON C’È LIBERTÀ, NON C’È GIUSTIZIA

 

I

l 15 e il 16 giugno si vota per il referendum sull’articolo 18.

Questo referendum disturba perché è nato fuori dal quadro politico. Pochi lo sostengono (PRC, Verdi, PdCi, Di Pietro, sinistra ds), molti lo osteggiano e invitano a non votare (maggioranza ds, Margherita, SDI, tutta la maggioranza di governo). Eppure la maggioranza del paese risponde SI alla domanda che pone il referendum: è giusto restituire a una persona ciò che gli è stato tolto ingiustamente, tanto più quando questo è per lui e la sua famiglia la cosa più preziosa, cioè il suo lavoro?

Perché uno schieramento così ampio e omogeneo di politici contro un istituto voluto proprio per bilanciare il loro potere invita ad andare al mare?

A chi fa male estendere la tutela contro il licenziamento senza giusta causa?

Ai lavoratori no: li rende uguali davanti alla legge e restituisce loro sicurezza, libertà e dignità. Si estende un diritto a chi non l’ha  e lo si garantisce a chi l’ha.

Alle imprese no: sono già libere di licenziare per motivi disciplinari ed economici e quelle leali, che rispettano le leggi, non hanno ragione di temere l’articolo 18 che tutela i loro dipendenti solo da un atto arbitrario.

Alla società no: la rende più giusta e più sana (un lavoratore che non è sotto il ricatto del licenziamento arbitrario non subisce la precarietà e il lavoro nero).

Allora perché perdere l’occasione per estendere i diritti e fermare una politica che fa della precarietà e dell’insicurezza del lavoro la nuova forma delle relazioni sociali?

L’astensione favorisce l’allontanamento dei cittadini dalla politica e dà mandato all’attuale maggioranza per fare piazza pulita del sistema di diritti e tutele del lavoro. In questi giorni il comitato “governativo” per il NO ha scelto l’astensione con questa motivazione: il SI estende, il No lascia le cose come stanno, l’astensione è un mandato al Parlamento. Per cosa? La delega sul mercato del lavoro che cancella contratto di lavoro e sindacato è stata appena approvata, ora tocca a quella sull’articolo 18.

 

IL 15-16 GIUGNO NON ASTENERTI

VOTA E VOTA SI

 

 

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE

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REFERENDUM SULLA ESTENSIONE DELL’ART. 18

IL 15-16 GIUGNO: VOTIAMO SI

 

Votare SI al referendum del 15 giugno sull’estensione dell’Art.18 significa, in un momento di pericoloso restringimento degli spazi di  democrazia, salvaguardare anzitutto uno strumento prezioso ed unico di partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica che l’astensione dal voto inevitabilmente svaluterebbe.

Votare SI significa dare a tutti i lavoratori, anche a quelli delle imprese con meno di 16 dipendenti, un indispensabile strumento di tutela per rivendicare, senza tema di rappresaglia, il rispetto di eque e legali condizioni di lavoro ed assicurare loro l’effettivo esercizio dei diritti sindacali.

Significa, ancora, ricondurre il nostro ordinamento legislativo ad un criterio di coerenza perché il principio già vigente, per cui un licenziamento deve sempre fondarsi su una causa giustificativa, deve implicare la lineare conseguenza dell’annullamento del licenziamento stesso ove quella causa non sussista.

Significa rifiutare l’idea che la reintegrazione nel posto di lavoro sia considerata, nelle imprese con meno di 16 addetti, una misura sproporzionata e non, invece, un’opportunità di consolidamento e ampliamento delle garanzie del lavoratore. Infatti, l’art. 18 rappresenta un forte elemento di dissuasione nei confronti di comportamenti prevaricanti del datore (già ora la reintegra nel posto di lavoro opera anche nelle piccole aziende in caso di licenziamento dovuto a discriminazioni politiche, sindacali, sessuali, religiose o razziali). Ciò non toglie tuttavia che, se il licenziamento sia veramente dovuto a ragioni economiche o ad un comportamento illegittimo del lavoratore, la cessazione del rapporto avvenga senza alcun pregiudizio per l’impresa.

Significa negare in radice il luogo comune secondo cui l’articolo 18 costituisce una remora all’assunzione di nuovi lavoratori. Il vero è che le imprese, piccole o grandi che siano, assumono personale solo se ne hanno bisogno per la loro attività economica. Altre sono le ragioni di politica economica e industriale per le quali l’occupazione ristagna: su di esse, se mai, dovrebbe svolgersi un serio confronto scientifico e politico.

Significa respingere i rinnovati attacchi portati dal Governo di centro- destra, con la Legge n.30/2003 e con il disegno di legge n. 848 bis, alle garanzie già esistenti (non solo all’articolo 18) e così evitare la complessiva frammentazione e precarizzazione dell’intero mondo del lavoro.

Significa infine aprire la via e dare un forte impulso ai progetti di riforma, già predisposti dalle forze progressiste. Infatti, il successo del referendum renderebbe inutili i peggioramenti di istituti (quali il trasferimento d’azienda) previsti dalla legge n. 30/2003 al fine di eludere le garanzie dell’articolo 18 per le imprese con più di 15 addetti. Il successo del referendum renderebbe altresì impraticabile il progetto di manomissione contenuto nel disegno di legge n. 848-bis che prevede che non siano soggette alla tutela dell’articolo 18 le imprese di nuova costituzione o che oltrepassino con nuove assunzioni la soglia dei 15 dipendenti. Risulterebbe quindi aperta la strada affinché il Parlamento predisponga nuovi disposti legislativi per recepire il risultato referendario in un quadro complessivo che preveda una nuova ed organica regolazione di tutti i rapporti di lavoro fondata sull’universalità e l’eguaglianza dei diritti fondamentali del lavoro.

 

Giorgio Ghezzi, Università di Bologna - Piergiovanni Alleva,            Università di Ancona

Amos Andreoni, Università di Roma “La Sapienza” - Giovanni Naccari, Ufficio giuridico Cgil