Milano, 1988. [messo in linea nell'agosto 2004 ] "Secondo natura" é  il titolo di un bel saggio di recente pubblicazione, scritto da Eva Cantarella, scrittrice e docente di diritto greco e romano all'università di Pavia. Questo libro, che ha il sottotitolo di  "La bisessualità nel mondo antico" ha il pregio di unire alto livello culturale e ampia leggibilità, merito anche d'una scrittura nitida e moderna e d'una sapiente catalogazione delle varie componenti del tema.
Nel corso dei suoi studi sulla condizione della donna (oggetto di un suo libro precedente) nel mondo classico, l'argomento dei rapporti omosessuali (specialmente maschili) si presentava continuamente all'attenzione dell'autrice. Da qui il suo desiderio di approfondirlo, anche per capire la sua infuenza sui rapporti uomo-donna. E la conseguente scoperta che usare il termine omosessualità é in un certo senso fuorviante, in quanto in effetti (salvo talune eccezioni) non si trattava di pratiche sessuali esclusive, bensì di pratiche che si limitavano a certi periodi della vita di un uomo (o di una donna) e coesistevano a quelle eteressuali. Quindi il suo uso del termine tecnicamente più esatto di bisessualità già nel sottotitolo del libro.
Nonostante la grande diffusione della bisessualità sia in Grecia che a Roma, con grandi  differenze sia tra le due civiltà sia all'interno di ciascuna di esse a seconda dei periodi storici, va subito chiarito che una vera libertà sessuale, nel senso più moderno dell'espressione, non esisteva né in Grecia né a Roma. Severi regolamenti sociali non scritti, ma in taluni casi anche legislativi veri e propri, limitavano la libera espressione delle pulsioni sessuali e grande importanza avevano, nella bisessualità maschile, i ruoli di attivo e di passivo. La bisessualità femminile, allora come oggi, poneva meno problemi sociali, sia per il ruolo comunque subordinato della donna (sopratutto in Grecia) sia per la discrezione con la quale era praticata.
Mentre il maschio attivo era quasi dappertutto accettato e considerato perfettamente normale  anche se rivolgeva la sua attività - non esclusivamente - verso un essere del suo stesso sesso, quello passivo non aveva problemi solo se d'una certa età (Grecia) o se apparteneva a classi sociali  inferiori (Roma).
Nella Grecia classica era pratica corrente la pederastia, in cui un adolescente (passivo), tra i dodici e i diciasette anni,  era "educato" da un adulto (attivo). La fase passiva nella vita di un uomo aveva quindi connotati, oltre che carnali veri e propri, pedagogici e simbolici  (sottomissione all'ordine costituito). Se oltrepassare questi limiti d'età verso l'alto era una questione di gusto personale, verso il basso invece era una colpa. Superata l'adolescenza, il maschio greco doveva rivolgersi all'eterosessualità nel matrimonio, ma nulla gli impediva (alla fedeltà era tenuta solo la donna) di avere rapporti sia con altre donne sia con giovinetti, purché svolgesse il ruolo di partner attivo. La passività dopo la fase dell'adolescenza era riservata ai prostituti, che non godevano di dirittti civici. Per il maschio adulto passivo vi erano sanzioni sociali e, naturalmente, molti disprezzo e derisione.
Nella Roma antica, con notevoli differenze nei vari periodi dell'ascesa e caduta della sua potenza, la bisessualità aveva invece connotati più prettamente politici. In sostanza é proprio a Roma che nasce l'archetipo dell'uomo "macho" (un termine  mio, col quale ritengo però di non tradire il pensiero della studiosa pavese), così diffuso ancora oggi nei paesi latini. Il cittadino romano era educato al ruolo di conquistatore, la sua virilità era ritenuta necessariamenete prorompente e quindi poteva scaricarla in tutte le direzioni, purché svolgesse il ruolo attivo e sottostesse a certe regole, prima quella di non rivolgere la sua attenzione verso un adolescente romano. Non era pensabile che un maschio della razza dominante assumesse, anche se transitoriamente, il ruolo passivo. Il maschio romano aveva quindi a sua disposizione - naturalmente oltre alle moglie e alle prostitute - gli schiavi, i liberti e gli uomini dei paesi conquistati. Il ruolo di passivo aveva quindi forti caratteristiche di subordinazione e come tale era fortemente disprezzato. Insomma una sessualità di stupro, dove l'essere sodomizzato e il praticare passivamente la fellatio, erano atti a cui un buon cittadino romano non doveva assolutamente dedicarsi.
Qualcosa cominciò a cambiare con Cesare, il cui ruolo passivo assunto nella sua relazione amorosa con Nicomede, re di Bitinia, fu accettato solo perché lui era un grande conquistatore, un vincitore e per giunta un provato amatore di donne, tra le quali Cleopatra e una regina di Mauritania. Con l'impero, la carica virile della bissessualità del romano andò sempre più dissolvendosi. Il "vizio greco" fuori dagli schemi accettati dilagava, fino a che gli imperatori  intrapresero una politica via via più repressiva. Dapprima furono condannati i soggetti passivi, poi s'arrivò - nel secolo VI d.C. - alla condanna a morte, decretata da Giustiniano, per tutti gli omosessuali, fossero essi attivi o passivi. Una chiara influenza del pensiero e delle dottrine giudaico-cristiane, per le quali l'atto omosessuale era condannabile in qualsiasi modo o età fosse compiuto.
"Il concetto di natura" conclude l'autrice del saggio "era cambiato: per lunghi secoli, per le donne era stato "secondo natura" essere sottomesse, per gli uomini era stato "secondo natura" sottomettere donne e uomini. Ora, la natura non concedeva scelte alternative, neppure a loro: l'unico atto "secondo natura" era quello eterosessuale.
Giuseppe Serpagli
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