LE GRANDI SCOPERTE GEOGRAFICHE
Milano 1991. Pressapoco negli anni in cui l'Europa stava per uscire dal Medioevo, i navigatori portoghesi si spingevano sempre più lontano nelle acque sconosciute del grande oceano. Il Portogallo era un piccolo paese molto peculiare. Da una parte, era europeo al 100 % in ogni aspetto, dalla cultura alla religione. Dall'altra parte, era sempre rimasto piuttosto marginale (senza dubbio per via della sua posizione geografica) nell'evoluzione della storia europea e, soprattutto, nelle sue tante guerre. Stretto tra i suoi grandi e spesso minacciosi vicini spagnoli e un mare immenso e misterioso come l'oceano Atlantico, da cui traeva già buona parte del suo sostentamento, era quindi logico che il Portogallo cercasse nel mare il suo futuro e il suo benessere. Così già nella prima metà del Quattrocento, i navigatori portoghesi, favoriti dalle iniziative del principe Enrico il Navigatore, si spinsero sempre più a sud lungo la costa africana e ad ovest nell'oceano, arrivando a Madera, le Azzorre e le isole del Capo Verde. Era l'inizio del periodo delle grandi scoperte geografiche, a cui presero poi parte anche altri paesi europei come Spagna, Olanda, Inghilterra e Francia. La storia di questa affascinante epopea si può ora leggere in "Le grandi scoperte geografiche" di John H. Parry, recentemente riproposto in edizione tascabile italiana. Un libro molto interessante e scorrevole che non racconta soltanto la storia vera e propria delle grandi scoperte geografiche dei secoli XV, XVI e XVII, ma offre anche un'approfondita panoramica dei presupposti e delle conseguenze di esse.
Straordinariamente, uno dei motivi che spinsero tanti uomini ad affrontare quelle rischiosissime imprese marittime non era il desiderio di scoprire nuove terre, di cui del resto ignoravano l'esistenza, ma di trovare nuove vie per raggiungere alcuni "favolosi" paesi asiatici, che già erano sommariamente conosciuti e che producevano merci di grande valore nei commerci del tempo, tra cui le famose spezie che allora arrivano in Europa per vie terrestre e mediterranea. Gli stessi portoghesi si spinsero sempre più a sud lungo le coste africane anche per cercare una loro (e quindi fonte di redditizi commerci) via completamente marittima alle Indie. Colombo, alle dipendenze della Spagna, cercava pressapoco la stessa cosa, ma in direzione opposta. La fortuna, come ben si sa, arrise ad entrambi già nell'ultimo decennio del XV secolo e i risultati, anche se nel caso di Colombo piuttosto diversi dalle aspettattive, furono clamorosi. Il Portogallo riuscì a stabilire un ricco impero, più commerciale che territoriale, nelle Indie orientali (e strada facendo e per caso anche a mettere le basi in un immenso paese come il Brasile, di cui però all'inizio si ignorava l'enorme ricchezza) tramite la via d'acqua che circumnavigava l'Africa ed attraversava l'Oceano Indiano. La Spagna si impossessò della parte allora più ricca di quell'immenso nuovo continente che fu poi chiamato America.
Ai grandi navigatori (oltre Colombo, basterà ricordare Vasco de Gama e Magellano) seguirono i conquistatori (come Cortés e Pizarro). A Spagna e Portogallo s'aggiunsero poi Olanda, Francia ed Inghilterra, che in un primo tempo sembrava dovessero accontentarsi delle briciole, ma poi riuscirono a prendersi sostanziose fette di nuove terre. Alla fine del periodo analizzato nel saggio, comunque, gli imperi coloniali di Spagna e Portogallo, entrambi già in grande declino, erano ancora tra i più grandi. Col finire del Seicento, la grande corsa alle scoperte di nuove rotte e terre durata più di due secoli sembrava esaurita, anche se rimanevano vaste zone da esplorare (come le coste dell'America settentrionale sull'oceano Pacifico) o quasi da scoprire (come l'Australia). Riprese, dopo una lunga pausa, nella seconda metà del Settecento con altri navigatori ed esploratori, come Cook, e non si concluse veramente che nel nostro secolo, se si considera l'esplorazione dei poli.
Alle grandi scoperte geografiche seguirono colonizzazioni più o meno violente, ma sempre irriguardose dei costumi e dei diritti delle popolazioni locali. Se Spagna e Portogallo imponevano la loro forma di civiltà e religione lasciando però molta libertà razziale (esempio il "melting pot" di razze del Brasile), Inghilterra e Olanda lasciavano che i locali continuassero a vivere più o meno come avevano sempre vissuto stabilendo però una specie di apartheid e, come nel caso del nord America, spingendoli sempre più verso terre meno redditizie, finché ve ne furono. Nelle Americhe poi vi fu il colossale fenomeno dell'immigrazione da Europa (in quei secoli soprattutto iberica e britannica) ed Africa. Ma mentre gli Europei emigravano generalmente di loro volontà, gli Africani vi erano costretti con la vergognosa tratta degli schiavi, una delle più feroci applicazioni del razzismo nella Storia, stranamente oggi molto rimossa dalla coscienza del'uomo bianco.
Giuseppe Serpagli
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