GASTRONOMIA EUROPEA
Milano  1993. Il saggio "L'Europa a tavola" di Léo Moulin - storico, sociologo e gastronomo belga - é un breve viaggio, affascinante e strano, nel mondo della gastronomia europea. Mescolando le materie in cui é specializzato, traendone conclusioni talvolta assai personali, soffermandosi un pò di più su un argomento e toccandone appena un altro, l'autore ci offre, comunque, un buon quadro d'insieme dell'attualità della gastronomia europea e della sua evoluzione attraverso secoli di storia, condizionamenti, scoperte, apporti, ecc. Opera di un intellettuale sì, ma anche e soprattutto di un buongustaio, concreto e pragmatico, e forse anche per questo mai noiosa, seppur ricca di spiegazioni, aneddotti, dati, commenti, curiosità semantiche e culinarie, ricordi personali e altro.
"In generale, mangiamo ciò che nostra madre ci ha insegnato a mangiare, o ciò che la madre di nostra moglie le ha insegnato a mangiare" é una della prime constatazioni di Moulin. Ed é anche una delle spiegazioni alle radicate preferenze o avversioni che, in genere, ci accompagnano tutta la vita, come il dolce o il salato, il té o il caffé, la prima colazione ricca di proteine tipica dei popoli del centro e nord Europa o quella leggerissima dei latini e mediterranei. Quello che é una leccornia presso alcuni popoli o persone (p.e., le frattaglie, l'agrodolce) può risultare stomachevole per altri. I gusti si formano nella prima infanzia e difficilmente (ma sempre più spesso - e per una serie di motivi, tra cui i viaggi e le blandizie della pubblicità - negli ultimi decenni) possono essere modificati. In certi casi, la grande varietà di abitudini alimentari europee potrebbe essere spiegata in base al clima e al tenore di vita. Ma allora perché paesi così simili come Belgio e Olanda mostrano così marcate differenze, la più eclatante delle quali é che nel primo si consuma quattro volte più burro che nella seconda? E perché i popoli protestanti consumano circa un terzo in più di zucchero di quelli cattolici? Alla seconda domanda almeno, si potrebbe rispondere perché i primi sono più ricchi (da ricordare che un tempo lo zucchero era un alimento caro), ma allora come si spiega che l'Irlanda, paese povero e cattolico, si situa ai primi posti nel consumo pro capite di zucchero? Nel campo alimentare in verità, sostiene Moulin, più che di spiegare sarebbe oppurtuno parlare d'intravvedere relazioni tra le realtà socioculturali e le abitudini (comunque forgiatesi attraverso i secoli) secondo le quali ogni individuo ingoia mediamente più di 5.000 quintali di cibo nel corso della sua vita!
Se le spiegazioni delle abitudini alimentari non sempre sono facili o possibili - o comunque valide per tutte le realtà -, é sicuro invece che i maggiori contributi alla gastronomia europea quale essa é oggi le sono venuti dalle istituzioni religiose e dalle grandi scoperte geografiche. Alle prime si devono una serie impressionante di bevande (tra cui spiccano lo champagne, vari liquori e, sembra, anche il whisky), formaggi e dolci nonché le metodiche tecniche di preparazione di molti piatti semplici ma "autentici". Le grandi scoperte geografiche hanno portato in Europa un numero cospicuo di alimenti, soprattutto vegetali, che si può ben dire hanno cambiato la sua cucina. E talvolta anche la sua storia sociale, basti pensare per esempio al gran ruolo svolto dall'umile patata. Adottata in Europa molto lentamente e con molte diffidenze, essa poi servì egregiamente a placare la fame di molti popoli, ma in anni di cattivo raccolto provocò terribili carestie nei paesi dove l'alimentazione era troppo esclusivamente basata su di essa, come in Irlanda tra il 1846 e il 1848.
Quanto al presente e al futuro, Moulin non é d'accordo con il "pessimismo alimentare" che va per la maggiore e che é diventato un tormentone per molti occidentali. Pur riconoscendo certi difetti della moderna alimentazione, egli enumera una serie di osservazioni e motivi per cui non bisogna lasciarsi vincere dal pessimismo. Nel campo alimentare, il buon tempo antico é più che spesso una favola e quand'anche sia mai stato una realtà, lo era per una ristretta cerchia di privilegiati. Tra questi non vi erano certo i contadini, che non solo mangiavano male, ma talvolta morivano di fame. Mentre importantissimo e troppo spesso dimenticato é il fatto che oggi buona parte dell'umanità non muore più di fame e che nell'Europa occidentale (come nel Nord America e in Giappone) persino "il figlio di un disoccupato può gustare più frutti esotici di quanti non ne avesse sulla tavola Luigi XIV". Giusto, ma la polemica potrebbe continuare e allargarsi: e chi raccoglie le banane può mai permettersi qualche esotismo alimentare europeo?
Giuseppe Serpagli
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