Milano 1994. Complici più romanzi e film d'avventura che la storia vera e propria, generalmente la parola corsaro evoca in noi tempi e mari lontani, esotiche località, galeoni carichi di tesori, avventurieri coraggiosi (crudelissimi o straordinariamente giusti e idealisti) e tante altre cose straordinarie. Quasi mai si pensa che anche il Mediterraneo fu per molti secoli infestato dai corsari e, le poche volte che lo si fa, ci si ricorda solo dei "crudeli" barbareschi (o musulmani o saraceni) che terrorizzarono le popolazioni rivierasche (specialmente in Italia, Provenza e Spagna) o parteciparono alle guerre, dichiarate o non, tra stati cristiani e impero ottomano. A rinfrescarci la memoria, ma soprattutto a darci un quadro completo della pirateria che per circa quattro secoli sconvolse il mare "nostro" ci ha pensato lo storico Salvatore Bono con il suo recente libro "Corsari nel Mediterraneo". Un resoconto di straordinaria efficacia, molto interessante e assai nitido sia per scrittura che per struttura.
La pirateria marittima ("assaltare navi e catturare uomini e merci, perfino con sbarchi a terra") , comunque, é un'attività vecchia quanto il mondo e tuttora esiste in mari a noi lontani. Il Mediterraneo non ne fu esente neanche nell'antichità (greci contro fenici, cartaginesi contro romani, ecc.), ma il libro esamina solo i secoli che vi videro la sua massima espansione, e cioé quelli che vanno dalla fine del Medioevo a circa la prima metà dell'Ottocento. Se la pirateria atlantica fu principalmente una specie di guerra minore (spesso non dichiarata) tra inglesi, francesi e spagnoli, quella mediterranea lo fu tra cristiani e musulmani. E contrariarmente a quanto generalmente si pensa in Europa, in tutto questo periodo a scorrazzare nel Mediterraneo non c'erano solo i corsari musulmani, ma anche quelli cristiani, che compivano azioni analoghe ai danni però di cose e persone musulmane. Si può quindi dire che l'apparizione di una vela cristiana vicino a una costa dell'Africa settentrionale terrorizzava la popolazione ivi residente esattamente come succedeva quando una nave con la mezzaluna s'avvicinava a qualche paese costiero tirrenico, ionico, ecc.
I più attivi e organizzati corsari musulmani furono quelli con base nelle città costiere del Maghreb, soprattutto Algeri, Tunisi e Tripoli. Con i loro entroterra, queste città costituivano degli stati corsari pressoché indipendenti dal lontano potere dei sultani di Istanbul. La pirateria contro i cristiani era una lucrosa attività (da non dimenticare il commercio o il riscatto degli schiavi catturati) perfettamente legale, spesso incoraggiata dagli stessi sultani ottomani, specialmente quando questi erano in guerra contro paesi cristiani. A guidare i corsari musulmani, vi furono talvolta uomini eccezionali, come i due fratelli soprannominati Barbarossa, uno dei quali (Khair ed-Din/1476-1546) creò non pochi problemi persino a Carlo V e ad Andrea Doria. Nonostante varie spedizioni punitive di stati europei e persino dei neonati Stati Uniti d'America (contro Tripoli), l'attività corsara delle reggenze maghrebine (talvolta con strane - ma non troppo - alleanze, come con la Francia) continuò per alcuni secoli. Il colpo di grazia le venne inferto dall'occupazione di Algeri da parte dei francesi nel 1830.
Dal lato cristiano, le principali attività corsare contro i musulmani furono gestite dai cavalieri di Malta e da quelli di Santo Stefano, i cui principali porti di appoggio erano Malta e Livorno. Ma molti erano anche i corsari cristiani privati, che a volte agivano per conto proprio (anche contro cose e persone europee) e altre nel nome della difesa della cristianità. L'attività dei corsari cristiani cessò quasi del tutto sul finire del Settecento. Un importante aspetto della pirateria mediterranea fu - sia da parte musulmana che cristiana - la cattura dei nemici (anche donne e bambini) per farne degli schiavi o dei prigionieri da liberare dopo il pagamento di un riscatto. Per merito anche delle reciproche minacce di rappresaglie tra i loro paesi d'origine, le condizioni di vita degli schiavi non sempre erano penose come si potrebbe pensare di primo acchito, né in campo musulmano né in quello cristiano. I dati sul numero degli schiavi scarseggiano, ma pare che talvolta fosse abbastanza elevato. Si valuta, ad esempio, che tra gli ultimi decenni del Cinquecento e i primi del Seicento vi fossero 50.000 (al massimo) schiavi nella zona di Algeri, 12.000 in Sicilia e ben circa 100.000 in Spagna.
Giuseppe Serpagli
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