Milano  1997. Trent'anni fa moriva in Bolivia Ernesto Che Guevara (1928/1967). Qualche settimana fa, é arrivata in libreria una sua biografia, intitolata "Companero" e scritta dallo studioso Jorge G. Castaneda, messicano di origini ma formatosi negli U.S.A. Basata su numerose fonti e ricerche di prima mano, anche negli archivi russi, si tratta di una biografia esauriente, scorrevole, interessante e, ci pare, imparziale. Un'imparzialità che forse é destinata a scontentare i più, sia i tanti fan che ancora lo venerano sia quelli che lo detestano. Insomma tutti quelli che vedono soltanto attraverso le lenti delle ideologie o dei partiti presi. Molto più numerosi certamente i fan, per i quali il Che é un'icona che più sacra non si può, merito anche di due celebri foto e delle tante agiografie o beatificazioni che su di lui sono state fatte. Le foto sono ovviamente quella che é diventata il poster più diffuso e sbandierato della storia (buono per tutte le stagioni e rivendicazioni purché definibili anche solo vagamente "progressiste") e quella del suo cadavere (gli occhi aperti e un'espressione di grande serenità, un vero "Cristo"laico) scattata subito dopo l'esecuzione capitale da parte dell'esercito boliviano.
Nato a Rosario, ma cresciuto prima a Cordoba o nelle sue vicinanze e poi a Buenos Aires, da una famiglia aristocratica ma non facoltosa di origini ispano-irlandesi, Ernesto Guevara, detto poi Che, ebbe una vita divisa in due fasi. Nella prima fase, la sua vita non si distinse molto da quella di tanti altri giovani argentini di buona famiglia come lui: studi, amori, buone letture e viaggi. Malgrado i genitori fossero antiperonisti, egli non s'interessò granché di politica. Laureatosi in medicina nel 1953, poco dopo abbandonò l'Argentina per una serie di motivi, tra cui pare non vi fosse l'antiperonismo che molti gli attribuirono in seguito. Attratto dal fascino di culture diverse e delle novità, viaggiò per quasi tutta l'America latina (un pò à la Jack Kerouac). Sempre più impressionato dalle miserevoli condizioni di vita dei popoli che aveva conosciuto, la sua coscienza politica era ormai quasi matura quando nel 1955 conobbe in Messico l'esule cubano Fidel Castro, diventandone in breve uno dei principali collaboratori.
Con Castro e i suoi, raggiunse clandestinamente Cuba per abbattervi il regime di Batista. Conclusasi vittoriosamente la lunga lotta contro il dittatore cubano, il Che ricoprì poi cariche importantissime nel nuovo governo dell'isola, guidato da Castro. Forte del successo iniziale ottenuto a Cuba e forse anche stanco delle difficoltà che incontrava nelle realizzazione pratica dei suoi ideali (il rapporto con Castro che fu uno di "né matrimonio né divorzio", le pesanti interferenze della CIA e degli esuli cubani a Miami, la lotta ideologica tra il comunismo sovietico e quello cinese, ecc.), il Che cercò poi inutilmente di esportare il suo tipo di rivoluzione comunista prima in Africa (in particolare nel Congo) e poi nell'America latina. Diventato il terrore di vari regimi sudamericani che temevano che egli riuscisse a farli cadere tramite la sua "guerra di guerriglia", trovò infine la "bella morte" in Bolivia. Già personaggio leggendario in vita, la sua morte e il modo in cui avvenne lo catapultarono subito nel mito. A ciò contribuirono il particolare momento storico e le utopie social-politiche che stavano per far scoppiare le rivoluzioni giovanili del 1968, nelle quali la sua effigie divenne una delle principali bandiere contro il Potere.
Eroe o terrorista a seconda dei pulpiti, visionario certamente, personaggio scomodo anche per molti partiti comunisti dell'epoca, umanamente contradditorio ma ideologicamente puro, rimane da spiegare un mistero: perché toccò proprio a un argentino la sorte di diventare il mitico Che. E qui entra in gioco un'altra mitica figura prima argentina e poi mondiale: Evita. Nella realtà non si incontrarono mai, ma per 6 anni (1946/1952) lui certamente sapeva chi era lei e cosa stava facendo per la causa dei poveri e per lottare contro l'oligarchia e quelli che ora potremmo definire i poteri forti che opprimevano il popolo. Il giovane Ernesto non poteva non provare simpatia per i "descamisados" di Evita e per le importanti riforme sociali che lei contribuiva a far varare. Figura ancor più contradditoria di lui, Evita (1919/1952), figlia illeggittima in un paese che teneva molto alla forma, un passato forse non immacolato nel mondo dello spettacolo, si assunse il compito immane di sconfiggere la povertà e di dare dignità alle tante categorie (a cominciare dalle donne e dai lavoratori) che non ne avevano mai avuto. La sorte non le diede la possibilità di portare a termine la sua missione. Tanto più che dei 6 anni che rimase a fianco di Peron presidente, gli ultimi 2 furono angustiati dalla malattia (un tumore all'utero) che la portò alla tomba a soli 33 anni.
Democratici in senso occidentale non lo furono entrambi. Ma lui almeno può essere a pieno titolo definito comunista (con tutto ciò comporta nel bene come nel male), mentre lei, che perseguiva molti degli stessi fini di lui (ancorché in un contesto nazionale e in modo spesso demagogico), viene spesso tacciata di fascismo (o peggio) ed é ancor più amata-odiata di lui. Due personaggi comunque colossali che vivono oltre la morte e che fanno parte della schiera (ultima arrivata Lady Diana) di coloro che rimarranno per sempre giovani. Se si riesce a vederli senza preconcetti, possono essere idealmente ammirati pur riconoscendo i loro limiti ed errori. Solo la "misteriosa" Argentina poteva produrre due miti del genere. Pur essendo la nazione più europea delle Americhe e potenzialmente ricchissima, non é mai riuscita veramente a decollare. Essendo l'Argentina grosso modo a parità di condizioni iniziali e generali con l'Australia, il mistero é in parte spiegabile con le sue spagnolizzazione e italianizzazione e tutto ciò che ne deriva in positivo e negativo. Al Che comunque rimane un grosso vantaggio su Evita: il simbolismo della sua effigie ha valenza mondiale. Finora usato e abusato anche per bassi scopi di politica interna o rivendicazioni elitarie, forse verrà un giorno in cui il Che diventerà idealmente una bandiera anche per quei popoli africani e sudamericani, che oggi come tre decenni fa sono "le anime morte"del mondo.
Giuseppe Serpagli
CHE GUEVARA (ed EVITA)
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