PROSTITUZIONE IN ITALIA NEL PASSATO
(CASE DI TOLLERANZA)
Milano 1988. Trent'anni fa, il 20 settembre 1958, chiudevano definitivamente le circa cinquecento case chiuse (mi si perdoni il bisticcio) sparse per la penisola e le isole italiane. Si spalancavano così quelle persiane che erano rimaste inesorabilmente chiuse per quasi un secolo. E chiuse non solo metaforicamente, e neppure soltanto per ovvi motivi di decenza, ma anche in base a una precisa legge del 1888 che obbligava le case di tolleranza a tenere chiuse le persiane con catene interne.
Era l'apice di un tipico tormentone all'italiana che durava da un decennio. Da quando cioé la senatrice socialista Lina Merlin aveva iniziato la sua battaglia abolizionista nel 1948, sulle orme di Marthe Richard, che era riuscita a far chiudere quelle case in Francia già nel 1946, e sulla base di quanto stabilito dall'ONU del 1947: "Nessun paese membro doveva ammettere la prostituzione regolamentata e trarne profitto attraverso imposte sugli introiti di quelle case". Le polemiche proseguirono accesamente ancora per qualche tempo. I contrari alla chiusura e i catastrofici prevedevano che le strade del Bel Paese sarebbero state invase da professioniste e dilettanti del sesso a pagamento (il che effettivamente si é verificato in parte, specialmente nelle grandi città) e che - cessati i controlli medici praticati nei casini - la spirocheta pallida e i gonococchi (allora s'ignorava l'HIV e ben poco si parlava di epatiti, papilloma virus, herpes genitale, ecc.) avrebbero trionfato sulla salute fisica e mentale degli italiani. E prevedevano anche che il pudore e l'onore di tante madri di famiglia sarebbero stati messi a dura prova da orde di fauni infoiati.
Poi le polemiche piano piano si calmarono, complice anche la rivoluzione sessuale che cambiò radicalmente i costumi, ma molte nostalgie sono vive ancora oggi. E' di questi mesi l'annuncio di una prossima proposta di legge da parte del deputato socialdemocratico Antonio Bruno per far riaprire quelle case, alla storia delle quali (dall'unità d'Italia alla loro abolizione) il giornalista Guido Vergani ha dedicato un bel libro (divertente, ricco di aneddoti e di illustrazioni ed esente da moralismi o compiacimenti) dal titolo "Quando le persiane erano chiuse".
Molto spazio é dedicato anche alle "maisons" della Francia, il paese guida nel settore, e "pour cause". Innanzitutto perché l'esagono gallico é sempre stato maestro di raffinatezze, liberalità e perdizioni erotiche. Poi perché era stato proprio l'austero Piemonte di Cavour a introdurre il "meretricio di stato", anche per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra d'indipendenza italiana; sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone. All'unità d'Italia, con una legge del 1860, la pratica fu estesa a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni, come nei territori della Serenissima e in quelli del Regno delle due Sicilie (qui già nel 1432 era stata rilasciata una "reale patente" per l'apertura di un lupanare pubblico). Con la tipica mania di regolamentare tutto con leggi e leggine (che poi, come ben si sa, sono in gran disattese), lo Stato italiano fissava anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, variandoli con gli anni. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al Ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un "semplice trattenimento" in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottoufficiali. Mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che un "colloquio semplice" doveva durare 20 minuti.
In effetti, quando trent'anni fa, quelle persiane si aprirono, anche i più accaniti sostenitori dell'utilità dei casini erano più che preparati al peggio, ben sapendo che nel paese guida esse erano già state spalancate da anni. Nel 1956, Indro Montanelli aveva scritto nel suo pamphlet "Addio Wanda": "...in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosidetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia....".
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Giuseppe Serpagli                                  Mail: bard842@yahoo.com
Mitizzate per lo più, ma anche demonizzate altre volte, in una serie ben nutrita di opere d'arte (specialmente letterarie e pittoriche; basti citare Maupassant, Picasso, Degas, Toulouse-Lautrec e, per l'Italia, Mario Pratesi, Telemaco Signorini e Mino Maccari), le case chiuse avevano anche una radicata funzione iniziatica: il debutto della virilità allo scoccare dei 18 anni, una specie di bar mitzvah laico per il maschio italico, in genere in concomitanza con la visita di leva. Comunque il periodo d'oro di quelle case era già finito prima della legge Merlin. Basti pensare che a Milano alla fine della seconda guerra mondiale ne funzionavano ancora una ventina contro le quattrocento del primo Novecento. Una delle più rinomate e chic era quella di via S. Pietro all'Orto, che era stata restaurata negli anni fascisti sul modello degli inarrivabili esempi parigini.
Col senno di poi non si può parlare di crollo. Certo é che nessuno avrebbe previsto allora che le languide e femminilissime Gilde, Wande, Yvonne o Tosche sarebbero state sostituite dalla prostitute borghesi, "free lance" e "marketing oriented", di oggi e, meno che mai, da baldi giovanotti travestiti da donne o da transessuali, specialmente brasiliani, che spesso ostentano le loro procacità e i loro attributi anche nei luoghi meno adatti alla bisogna, come ben sa chiunque abiti in una grande città.
Giuseppe Serpagli
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