LA SETTA DEGLI ASSASSINI
Milano 1992. A causa delle sinistre gesta degli "Assassini", l'estremista setta islamica attiva in alcuni paesi del Levante nei primi secoli del nostro millennio, già nel XIV secolo la parola "assassino" era diventata sinonimo di omicida in molte lingue europee. Spinta dai racconti dei crociati, di Marco Polo e di Odorico da Pordenone, la loro dubbia fama aveva raggiunto l'Europa verso la metà del Medioevo. Tanto che, sebbene nessuno di essi si fosse mai sognato di metter dito nelle beghe politiche europee (dove l'omicidio era già ampiamente praticato senza bisogno di imparare dagli orientali), agli Assassini furono attribuiti omicidi politici e attentati anche in Occidente. Un Assassino sarebbe stato al seguito di Federico Barbarossa mentre questi assediava Milano, ben quindici Assassini sarebbero stati incaricati dal re di Francia di uccidere Riccardo Cuor di Leone e così via. Tutte fantasticherie, naturalmente, anche perché obiettivo principale dei pugnali (l'unica arma da loro usata per uccidere) della setta fu sempre il potere islamico sunnita, sia arabo che turco. Se anche degli europei (i più importanti furono Raimondo II di Tripoli e Corrado di Monferrato, re di Gerusalemme) furono vittime dei loro pugnali, ciò avveniva comunque lontano dall'Europa, nel guazzabuglio delle crociate.
L'interessante storia di questa terribile setta si può ora leggere in "Gli Assassini" (Una setta radicale islamica, i primi terroristi della storia) scritto dell'islamista americano Bernard Lewis e recentemente pubblicato anche  in italiano. Un bel saggio di alto livello, conciso e scorrevole, inspiegabilmente tradotto in italiano soltanto dopo venticinque anni dalla sua pubblicazione nell'originale inglese. Quanto all'aggiunta al sottotitolo italiano di "i primi terroristi della storia" (criticata negativamente da qualcuno), ci pare legittima, e giustificata anche dalla prefazione che l'autore ha scritto appositamente per l'edizione italiana. Comunque sia, il libro dà un racconto imparziale dei dati conosciuti sulla base delle diverse fonti. Al lettore trovare le rassomiglianze (inevitabili, a partire dalla collocazione geografica e dai metodi), come anche le tante differenze, tra alcuni aspetti di quella storia lontana e certi eventi dell'attualità più o meno recente. Quanto alla dibattuta questione dell'origine del termine "Assassini", Lewis non é d'accordo con l'ipotesi che va per la maggiore, e cioé che esso derivi dalla parola araba significante "fumatori di hashish". L'impiego della droga da parte dei membri della setta non sarebbe provato, il termine arabo da cui deriva assassini indicherebbe piuttosto disprezzo per le "stravaganti usanze" della setta, l'associazione con la droga sarebbe da attribuire agli osservatori occidentali.
Fondata dal persiano Hasan-i Sabbah, una straordinaria figura di religioso, rivoluzionario e organizzatore, sul finire del primo secolo del nostro millennio, la setta (detta anche degli Ismailiti o dei Nizari) era una derivazione dell'islamismo sciita. Tra le impervie montagne dell'Elburz in Persia, il castello di Alamut, a 1800 metri sul livello del mare, fu la prima roccaforte del movimento, che s'estese man mano conquistandosi altri nidi d'aquila, pressoché imprendibili con i mezzi bellici di allora, soprattutto in Persia e poi anche in Siria. I loro nemici principali erano i sovrani islamici sunniti e i loro apparati di potere ovunque essi si trovassero e qualunque fosse la loro origine. Così, malgrado le importanti misure difensive, molte e importanti furono le loro vittime: califfi, visir, ministri, ecc. Tentarono, e per poco non ci riuscirono, persino di uccidere il grande Saladino, curdo d'origine e poi sultano d'Egitto e di Siria.
Le imprese della setta erano preparate con gran cura e i suoi sicari erano fanatici votati a morte sicura (subito dopo i loro omicidi finivano a loro volta per essere trucidati dalle guardie del corpo degli importanti personaggi trafitti dalle loro lame) in cambio delle presunte salvezza eterna e giustezza della loro causa. Tra alti e bassi, l'attività politico-omicida della setta durò circa due secoli. Il ramo siriano, che possedeva una decina di roccheforti e che fu quello che venne a contatto - in strani rapporti a volte persino di quasi allenza - con i crociati, espresse un altro importante capo: Sinan ibn Salmam (noto anche come Rashid-al Din o il Vecchio della Montagna). L'invasione mongola mise fine all'attività del ramo persiano della setta; il castello di Alamut, dove fu trovata anche una grande biblioteca, cadde nel 1256. Al ramo siriano, ci pensarano i Mamelucchi d'Egitto, che prima del 1273 avevano conquistato tutti le sue roccheforti. Il fallimento degli obiettivi della setta fu totale e definitivo. Dopo di allora, l'ismailismo rimase un'eresia religiosa minore in Persia e in Siria senza, o quasi, rilevanza politica.
Giuseppe Serpagli
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