Grazia Deledda a Stoccolma

Maria Giacobbe

 

"Adoro l'arte e il mio ideale è di sollevare in alto il nome del mio paese, così mal conosciuto e denigrato al di là dei nostri malinconici mari, ne le terre civili. E lavoro, lavoro tanto, come un uomo, per la mia Idea, e riuscirò, benché sia una piccola personcina pallida ed umile, che ha però lo spirito grande e ardente come gli oscuri occhi andalusi". Aveva scritto Grazia Deledda in una lettera datata Nuoro, ottobre 1891, al critico Luigi Falchi.

Ci si può domandare se trentasei anni dopo, il pomeriggio dell'8 dicembre del 1927, mentre il treno "continentale" o "treno dei Nobel", come lo si chiamava in Svezia, si avvicinava a Stoccolma, Grazia Deledda ripensava a quei suoi propositi giovanili, e a quanto si fossero realizzati.

Ma forse erano, come spesso accade, cose meno solenni, più legate al suo stato fisico attuale, che le occupavano la mente.

La sera, la precocissima sera invernale del Nord, calava rapida con le sue ombre azzurrine sul paesaggio nevoso sottolineato dal nero degli abeti e dalle macchie quasi aeree delle betulle. Ma erano i laghi gelati e soprattutto le fattorie dalle grandi finestre scintillanti di luci, che attiravano l'attenzione della scrittrice la quale, quando ad una stazioncina intermedia un giornalista entrò nel suo scompartimento per chiedere un'intervista, cercò prima di schernirsi e poi si gettò appunto a parlare del paesaggio e dell'impressione che le faceva.

Mi permetterò di riportare parzialmente ciò che di quest'incontro si poteva leggere nella prima pagina del grande quotidiano di Stoccolma Dagens Nyheter del 9 dicembre 1927, che io ebbi la fortuna di poter consultare, insieme ad altri giornali svedesi di quei giorni, negli archivi della Biblioteca Reale di Stoccolma.

Sotto due fotografie di un quarto di pagina di Grazia Deledda e del prof. Wagner von Jauregg, premio Nobel per la medicina, al loro arrivo alla Stazione Centrale di Stoccolma, il titolo su tre colonne, in caratteri vistosi, suona: Le colline ammantate di neve della Sormland ricordano a Grazia Deledda le pallide distese della Sardegna. E il sottotitolo: Il prof. Wagner von Jauregg abbrevia il viaggio con i fiori sardi della signora Deledda. (Allusione al fatto, raccontato nell'articolo che il prof. von Jauregg, che riceveva il premio per le sue scoperte nel campo della terapia della malaria e della paralisi generale d'origine sifilitica, aveva raccontato d'aver letto, durante un lungo viaggio d'Austria, Fior di Sardegna di Grazia Deledda. Romanzo che termina proprio con la descrizione di un caso di malaria. (Descrizione "fortunatamente non scientifica", come il prof. von Jauregg si espresse).

"Aspettiamo in una stazioncina della Sormland, dove finalmente il treno dei premi Nobel arriva rombando. - Scrisse l'inviato di Dagens Nyheter, e continua - Troviamo Madame Grazia Deledda nel vagone di coda, scrupolosamente custodita dal marito, il signor Madesani.

"In fondo allo scompartimento, vicino alla finestra, siede una donna minuta, dolce, bianca di capelli, la quale, vedendoci, sembra impaurirsi.

- Sono così stanca, dice in un misto di italiano e francese. E Lei mi chiede un'intervista. Ho un terribile mal di testa, dopo questo viaggio che dura da tre giorni e durante il quale mio marito ed io siamo stati sempre seduti. Con le mie esperienze di traversate, avevo temuto il tratto di mare Sassnitz - Trelleborg, ma non è stato questo il peggio"

Il giornalista che per il pudore nordico di fronte a confessioni di stanchezze o mali fisici, non è abituato a questo genere di preamboli, non nasconde, riferendone, una certa sottile ironia.

Però, anche senza voler tener conto del fatto che, solo tre mesi dopo, Grazia Deledda avrebbe dovuto affrontare una gravissima operazione e che, con molta probabilità, qualche sintomo del male doveva già essersi manifestato, non è difficile immaginare quanta verità e sincerità ci fosse in quella confessione di stanchezza.

Un viaggio di tre giorni, senza vagone letto, per una donna non giovane e tutt'altro che abituata agli spostamenti, deve essere stato una prova. E che a conclusione di esso ci fosse la celebrazione ufficiale e mondiale di quella Gloria, Con la maiuscola, che aveva sognato sin da giovinetta, non poteva renderlo meno fisicamente penoso. Al contrario, forse proprio la prospettiva degli incontri, delle cerimonie e interviste che avrebbe dovuto affrontare dopo l'arrivo, per una donna come Grazia Deledda, non abituata alla vita mondana, doveva essere causa di preoccupazione e di maggiore stanchezza.

Ma, con lo stoicismo che fu di molti suoi personaggi, e con quella forza di volontà che la distinse tutta la vita, Grazia Deledda vince la stanchezza e il malessere fisico, e sormonta le difficoltà linguistiche - " mon mari peut compléter" (mio marito può completare), dice modestamente - e concede l'intervista.

- Capisco il Suo desiderio di parlare di letteratura - esordisce-, ma prima vorrei esprimere la mia grande ammirazione per l'immagine che oggi, percorrendolo, ho avuto del Suo paese. Mi è stato detto che queste grandi, eleganti fattorie che abbiamo visto dal treno, sono case di contadini. Non credo che vi sia un altro paese al mondo che possa vantarsi di qualcosa di simile. Le vostre case di contadini sono le più belle che abbia mai visto, e somigliano piuttosto a delle ville padronali. A giudicare dall'esterno, la Svezia deve essere un paese molto felice!

- E' stato detto che io mi sarei spaventata della neve e del freddo quassù - continua Grazia Deledda -, ma se non sarà peggio di come è stato sinora, non mi preoccupo. Anche in Sardegna abbiamo delle notti di neve come questa. Ne ho scritto in una mia poesia che inizia così: Oh, pallide notti delle solitudini sarde! -.

Poi il discorso passa, come il giornalista evidentemente desiderava, alla letteratura, e la scrittrice dimostra di conoscere e apprezzare quasi tutto ciò che di letteratura scandinava contemporanea in quel momento era stato tradotto in italiano. Ama Selma Lagerlòf e ha letto Strindberg e Karlfeldt, in quel momento segretario dell'Accademia Svedese, e apprezza i norvegesi Iknuth Hamsun, Karin Bojer e Sigrid Undset. Se questi scrittori abbiano influenzato la sua opera, non sta a lei giudicare, dichiara.

Riguardo ai suoi piani per il prossimo futuro, annunzia la pubblicazione del romanzo Il vecchio e i fanciulli il marito, il signor Madesani, interloquisce:

- E' il nostro romanzo. Un documento d'epoca, lo scontro tra i vecchi e i nuovi tempi.

- E Mussolini ? - domanda il giornalista.

- E' una questione a parte; - risponde Grazia Deledda -.

Ho un saluto da porgere ai fascisti di Stoccolma. Cioè ai fascisti italiani residenti a Stoccolma.

Quest'incarico, che non Mussolini personalmente ma il presidente della Federazione Fascista di Roma le aveva dato e che lei, con l'agnosticismo politico che era stato uno dei suoi limiti non solo come persona umana ma anche come scrittrice, non aveva rifiutato, venne ricordato nei giorni che seguirono senza commenti ma con un rilievo che era di per se un commento, da tutti i giornali svedesi.

Come venne messo in rilievo il saluto che un certo signor Conte, rappresentante dei fascisti di Stoccolma, le porse già al suo arrivo alla stazione Centrale e, il giorno dopo, durante una manifestazione di benvenuto organizzata dalla colonia italiana insieme a una scuola italo - svedese e a persone e gruppi filo - italiani.

Ma è come se subito o quasi subito, la stampa svedese smetta di aspettarsi un rapporto intellettuale con Grazia Deledda. Nei giorni che seguiranno sarà la sua modestia, la sua assoluta mancanza di pose, la sua laconicità - dovuta forse anche alla sua difficoltà con le lingue straniere - che verranno messe in rilievo.

Addirittura, dopo il ricevimento della colonia italiana dove, alla presenza di circa 300 persone, il reverendo Lorenzini, un sacerdote torinese, che per caso si trovava a Stoccolma, "durante un suo lungo discorso tra il patetico e lo scherzoso", come scrisse un giornalista, "aveva lodato le qualità di Grazia Deledda come scrittrice e rappresentante della cultura italiana, come sposa, madre e massaia, nonché eccellente ortolana, esperta in carciofi e lattughe", tutti i giornali del sabato 10 dicembre hanno grandi titoli che, più o meno maliziosamente riferiscono queste lodi.

"Grazia Deledda lodata - ma il verbo, priset, in svedese ha la radice pris, e cioè premio, premiata - per le sue buone qualità di massaia e per le sue verdure di prima scelta", suona un vistoso titolo su tre colonne, mentre il sottotitolo, in caratteri molto più modesti, dice: Fibiger e Wilson (che erano i premi Nobel per la medicina e per la fisica) parlano delle loro ricerche".

D'ora in poi si parlerà della scrittrice premiata quasi esclusivamente come della "buona signora" (signora quasi sempre in italiano, o in francese, madame), della "piccola signora", della "donna prudente e modesta".

Pregiudizi sessisti che Grazia Deledda non rilevò o che non considerò importante combattere?

O forse un certo campanilismo di parte scandinava? Non bisogna infatti dimenticare che, quello stesso anno, insieme a quello di Grazia Deledda era stato fatto il nome della scrittrice norvegese Sigrid Undset come possibile Nobel per la letteratura e che, comprensibilmente era per Sigrid Undset che il pubblico nordico aveva parteggiato.

Grazia Deledda era, tra l'altro, sebbene tradotta in svedese con sei libri sino alla sua nomina al Nobel, e con un'altra quindicina negli anni che seguirono, quasi sconosciuta negli altri paesi scandinavi, dove ancora sono pochissimi specialisti di letteratura italiana che la ricordano e le traduzioni possono contarsi sulla dita di una mano.

Nel quotidiano stoccolmese della sera, Aftonbladet, dell'11 dicembre 1927, lo scrittore Erik Axel Karlfeldt, segretario dell'Accademia Svedese, alla domanda se nella scelta si tenesse conto del sesso e della nazionalità dei candidati, rispondeva:

- "Della nazionalità si, in un certo qual modo. Ed è, secondo me, giusto e naturale che si tenga conto di quali paesi siano stati o non siano stati premiati ultimamente. Ne abbiamo tenuto conto anche nel caso di Grazia Deledda e di Sigrid Undset, ricordando le critiche che talvolta ci sono state mosse, per il fatto che siano ad ora i paesi nordici hanno avuto troppi premi in proporzione agli altri paesi del mondo. E d'altra parte Grazia Deledda era stata proposta al Nobel già da diversi anni. In quanto al sesso dei candidati, naturalmente non ne teniamo nessun conto".

Il giornalista si accontenta di questa affermazione e non insiste, come si sarebbe fatto in tempi come il nostro, più attenti alla problematica femminista, domandando per esempio come mai la percentuale delle premiate sia così piccola in proporzione alla percentuale dei premiati. E ancora più piccola lo era quando Grazia Deledda, nel 1927, ricevette il Nobel.

In ogni caso, per il bene e per il male, durante quei suoi giorni di Stoccolma, né la stampa né il pubblico dimenticano che Grazia Deledda è una donna. E il suo essere donna mette quasi in ombra il fatto che non è in quanto tale, ma in quanto scrittrice, che in quel momento si trova al centro dell'attenzione mondiale.

Come già risulta dai titoli che ho citato - ma potrei continuare - mentre, e giustamente si dava il massimo rilievo alle dichiarazioni che gli scienziati, tutti uomini, facevano riguardo al loro lavoro, alla situazione politica mondiale, alla situazione della ricerca e della lotta a certe malattie sociali molto temute a quei tempi (come la sifilide, per esempio, che per la paura che allora se ne aveva, per le reazioni che suscitava e per i drastici rimedi che alcuni proponevano, fa pensare alla paura che oggi si ha e alle reazioni che oggi suscita l'AIDS), a Grazia Deledda si domandava come era stato il suo viaggio, che cosa pensava della Svezia e di Stoccolma, se contava ritornarci e in quale stagione, quanti giorni sarebbe durato il suo soggiorno, quanti figli aveva e che cosa facevano e, come massimo sforzo, quali scrittori nordici conosceva e quali preferiva.

Però, a parte il fastidio che queste più o meno sottili, più o meno consce manifestazioni di discriminazione possono suscitare in noi, e che probabilmente Grazia Deledda non mosse un dito per far cessare, e di cui parzialmente può essere fatta responsabile la sua prima infelice intervista sul treno per Stoccolma, il ripercorrere quei vecchi giornali di sessant'anni fa, e leggere le risposte sagge e pacate che essa dava, e le descrizioni che di lei, del suo aspetto, della sua espressione vi hanno lasciato i giornalisti che l'incontrarono, è un'occupazione più che gratificante.

Ma da quei giornali, oltre che un'immagine per noi inedita della scrittrice vista da occhi scandinavi, è tutta un'epoca, tutto un mondo ormai sommerso che vengono incontro.

Non è questa la sede per farlo, ma non resisto alla tentazione di almeno nominare alcuni degli avvenimenti minori di cui la stampa s'occupava quei giorni e che, oggi dimenticati dai più, avevano pure il loro rilievo. Per esempio, lo stesso giorno in cui Grazia Deledda nella sontuosa Sala dei Concerti di Stoccolma riceveva il Nobel dalle mani del re svedese, nel Circo, o Palasport come si direbbe oggi, della stessa città, durante un incontro internazionale di pugilato gli italiani Cavagnoli, Montefiore, Salmaso, Orlandi, Carena, Toscani, Ceccavelli, Sanella trionfavano in tutte le categorie su tutti i concorrenti. Mentre il giorno prima, nell'aeroporto di Le Bourget a Parigi si sfracellava al suolo un aereo guidato dal giovane pilota francese Corbu (o Corbu?) che moriva sul colpo. Corbu, dice il giornale, voleva tentare il volo Parigi-Colonia-Berlino, come anni prima, senza riuscirci, aveva tentato insieme a Gibon la trasvolata atlantica. Corbu (o Corbu) che era una delle giovani promesse dell'aviazione, si era distinto trasvolando la Siria durante la rivolta drusa... O ancora, fra le curiosità, l'arrivo a Stoccolma - qualche tempo prima - dell'attrice Cecile Sorel con 130 valige e un letto definito storico, nonché diversi chili di cipria e di belletti vari e ben sette parrucche.

Grazia Deledda, vincitrice di un premio che quell'anno ammontava a 116.950 corone svedesi, uno dei più grossi per quegli anni, aveva viaggiato seduta per tre giorni in un vagone di seconda classe. Del suo bagaglio, i giornali non dicono molto ma, da ciò che si vede nelle fotografie e dalle descrizioni del suo abbigliamento, doveva essere più che modesto. Come, a parte il momento in cui si lasciò trasportare dalla sua fierezza materna descrivendo il talento letterario di uno dei figli e quello scientifico dell'altro, tutto ciò fece e disse a Stoccolma fu improntato a una modestia quasi autodistruttiva.

Ma, c'è da domandarsi, era davvero modestia o era invece l'orgogliosa e forse irriflessa fedeltà alla tradizione tutta barbaricina al riserbo, al rifiuto, anche nelle situazioni più eccezionali, delle manifestazioni esteriori dei sentimenti di soddisfazione e di allegria?

In ogni caso, i sorrisi di Grazia Deledda a Stoccolma, almeno a stare alle descrizioni che si leggono di lei e alle immagini che ce ne danno le fotografie, sono rari.

Non sorride nella fotografia storica dell'arrivo alla Stazione Centrale. Il mantello un po' fuori moda a metà polpaccio, col bavero di pelliccia rialzato, il cappello a falde strette calcato sino alle sopracciglia, sciarpa, borsa e calze chiare, e solide scarpe con stringhe. In mano un mazzo di fiori che, secondo la didascalia, sono astri bianchi e garofani rossi. Intorno a lei, in cilindro o bombetta, il segretario dell'Accademia Svedese, Carl Axel Karlfeldt, l'ambasciatore italiano principe Ascanio Colonna e signora, il signor Raimondo Longo, presidente dell'Associazione dei fascisti italiani in Svezia, e il marito Palmiro Madesani. Tutti impettiti, tutti elegantissimi e tutti, anche la signora Colonna, di almeno una testa più alti di lei che se ne sta lì, modesta e tranquilla col suo mazzo di fiori e forse, ancora, il suo mal di testa.

Secondo le cronache di tutti i giornali dell'indomani, ad accogliere lei e il prof. von Jauregg che, l'uno all'insaputa dell'altro, avevano viaggiato sullo stesso treno, alla stazione c'era una grandissima folla festosa che sventolava fiori e fazzoletti, e decine e decine di giornalisti e fotografi. Ma Grazia Deledda non si lascia cogliere in un sorriso.

Il giornalista di Svenska Dagbladet scrive: "Come era naturale, (si sarebbe tentati di dire), l'attenzione del pubblico meno ufficiale era concentrato soprattutto sulla scrittrice italiana e il marito, il signor Madesani, che furono coperti di fiori e fatti oggetto dell'attenzione rispettosa e gentile dei fotografi, ai quali essi altrettanto gentilmente rispondevano con un'infinita pazienza.

"Per il poco che ci è riuscito di vedere della signora Deledda, continua il giornalista, imbacuccata com'era per la visita nel paese degli orsi, risultava che le fotografie che di lei sinora sono state divulgate non le hanno fatto giustizia. Era in ogni caso una figura molto più giovanile quella che giovedì pomeriggio, mezzo intimidita e mezzo spavalda, accolse gli omaggi spontanei della folla alla Stazione Centrale di Stoccolma".

Un mezzo sorriso forse. Un altro, breve ma vero sorriso viene descritto dall'inviato di Aftonbladet che, la mattina del 9 dicembre, cioè il giorno dopo l'arrivo, poté incontrarla nella residenza dell'Ambasciatore italiano di cui era ospite.

"La mattina era splendida, e la vista delle grandi finestre era affascinante. - Si legge in apertura d'articolo -. Si poteva credere che gli dei del tempo si fossero coalizzati per offrire alla vincitrice del Nobel la più bella impressione possibile della capitale svedese".

"Subito dopo l'ora stabilita, uno smilzo signore svestito di scuro scendeva l'ampia scalinata che porta al piano superiore e prendeva discretamente posto nel salone vicino. Era il marito della scrittrice, il signor Madesani".

"Pochi minuti più tardi, una piccola, modesta signora, vestita d'un semplice abito viola da mattino, scese le scale. Grazia Deledda, esattamente come l'abbiamo vista in numerose fotografie, con grandi occhiali che mitigano il caldo splendore dei suoi occhi castani. I capelli sono grigi, con la morbida lucentezza argentata dei capelli che sono stati neri, e nei lineamenti robusti c'è un'espressione quasi scontrosa che durante la conversazione scompare".

Segue l'intervista, che qui sarebbe troppo lungo riferire, e l'articolo termina, quasi come è iniziato: "Intanto il sole è diventato sempre più limpido, facendo apparire la bellezza del paesaggio dietro le grandi finestre e gli alti profili di Sòder in tutto il loro splendore. "Ho portato il sole con me", dice la scrittrice con un sorriso un po' serio che però le illumina il viso, proprio come il sole nel limpido cielo invernale".

Ma Grazia Deledda non sorride nelle fotografie che la ritraggono durante la cerimonia ufficiale del Nobel, nella grande Sala dei Concerti illuminata a festa.

I giornalisti hanno quasi tutti toni lirici e mitologici nelle descrizione della sala, del pubblico di invitati, e persino della strada di accesso, affollata d'automobili e illuminata anche da un altissimo abete natalizio splendente di centinaia di lampadine.

E un'impressione di luminosità, sia detto quasi tra parentesi, fu quella che Grazia Deledda riportò di Stoccolma e della Svezia le quali, proprio verso la metà e la fine di dicembre, cioè quando lei le visitò, attraversano invece la loro stagione più buia, quasi costantemente notturna. Una notte che gli Svedesi, e i Nordici in generale, combattono con profusione di luci artificiali ovunque sia possibile collocarle.

E, ancora tra parentesi, mi piace a questo punto ricordare che, proprio mentre il treno dei premi Nobel entrava nella Stazione Centrale di Stoccolma, il venerdì 8 dicembre 1927, alle 18,45, avveniva un'eclisse totale di luna. Un'eclisse che passò inosservata ai più, perché uno spessissimo strato di nuvole chiudeva la città come dentro un guscio, o come dentro la volta d'una sala immensa e illuminatissima.

Ma torniamo alla sera della premiazione, e alla cronaca che se ne può leggere nei giornali svedesi di quei giorni, e all'immagine che questi ci hanno lasciato di Grazia Deledda.

La sala era dunque splendente, e gremita sino all'ultimo posto di persone vestite a festa, in maggioranza donne. Presenti quasi tutti i ministri svedesi, tutto il corpo diplomatico e le autorità civili e religiose. Scintillio di medaglie e di decorazioni varie sul petto di molti dei presenti. Grazia Deledda, "la brava signora", come i giornalisti ormai la chiamavano in un semplice abito scuro con una specie di coccarda nei colori italiani e svedesi sul petto", sedeva alla destra dell'americano prof. Compton premiato per le sue ricerche sui raggi Roentgen.

Dopo l'arrivo del re, accompagnato dagli altri membri della famiglia reale fra cui il principe e la principessa ereditari, l'orchestra suona l'inno nazionale svedese e, in continuazione, l'ouverture dell'Egmont di Beethoven. Segue il saluto ai convenuti e ai premiati del prof. Sòderbaum, presidente dell'Accademia Svedese. Poi, di nuovo, è il turno dell'orchestra con Atmosfera Mattutina di Grieg, terminata la quale il prof. Siegbaum motiva la scelta dell'americano Compton e dell'inglese Wilson che dividono il premio per la fisica. Un altro intervento musicale, questa volta un'Aria di Handel, seguito dal discorso del prof. Wernestedt del Karolinska Instituttet per i due premi Nobel per la medicina : il danese prof. Fibinger, che si è distinto per le sue ricerche sul cancro, e l'austriaco prof. Wagner von Jauregg, per i suoi risultati nella cura della malaria e della paralisi generale di origine sifilitica.

I discorsi sono stati tenuti in svedese, con alcune frasi di chiusura dei conferenzieri, e di augurio del re al momento della consegna delle medaglie, nella lingua dei premiati.

Grazia Deledda ha ascoltato, composta e immobile, seduta in una poltrona troppo grande per lei, tanto che un caricaturista di Svenska Dagbladet la ritrae seduta, con le mani intrecciate sul grembo rotondetto e le gambe penzoloni a metà altezza tra il pavimento e il sedile. Che cosa ha potuto capire di ciò che in svedese, in inglese, in tedesco è stato detto? Probabilmente così poco che la sua mente può aver vagato tra fantasie, memorie e preoccupazioni delle quali non sappiamo nulla e che perciò possiamo, se vogliamo, provare a immaginare quasi liberamente.

Ma, che lei se ne sia accorta o no, a detta della maggior parte dei giornalisti, è lei che è stata costantemente al centro dell'attenzione del pubblico. E l'attenzione sulla sua persona si fa ancora e comprensibilmente più concentrata quando, dopo la Marcia dell'Incoronazione da Il Profeta di Meyerbeer, il presidente della Fondazione Nobel, prof. Henrik Schuck sale sul podio per parlare dell'opera della scrittrice sarda, in una bella e approfondita conferenza, di cui i giornalisti riportarono lunghi passi, ma che si può leggere nella sua interezza nel volume del 1927 degli archivi del Nobel.

Anche questo discorso viene tenuto in svedese, e Grazia Deledda si sforza palesemente di seguire, o immaginare - come scrive un giornalista - "ciò che l'uomo dall'aspetto patriarcale che è salito sul pulpito stia dicendo. Quando nomi e parole che riconosce vengono pronunziati, fa dei calmi cenni di assenso. Ed è un peccato che non capisca - commenta il giornalista -, perché il discorso è un saggio veramente profondo e brillante della sua opera".

"Nei romanzi di Grazia Deledda - dice il prof. Schuck - più che nella maggior parte di quelli di altri autori, uomini in natura formano come un tutto. Si direbbe quasi che i suoi personaggi siano piante germogliate dal suolo stesso della Sardegna. In maggioranza sono popolani, semplici, primitivi nel loro modo di pensare e di sentire, ma con qualcosa in sé della grandiosità della natura sarda. Parecchi di loro hanno quasi l'impronta di figure monumentali del Vecchio Testamento e, quantunque molto diversi dai tipi umani che ci sono consueti, ci danno l'impressione d'essere incontestabilmente veri e reali. Non burattini da teatro".

"Grazia Deledda conosce l'arte di congiungere nel modo migliore realismo e idealismo, e non appartiene a quella schiera di scrittori i quali, come si diceva un tempo, lavorano a tesi e discutono problemi. Essa si è sempre tenuta lontana dalle battaglie della sua epoca e, quando Ellen Key una volta cercò di interessarla di questi argomenti, rispose: "Io sono del passato". Forse questa sua confessione non è del tutto veritiera. Grazia Deledda si sente certo legata da forti vincoli al passato, alla vita del suo popolo e della sua razza nei tempi che furono. Ma ha anche saputo vivere e sentire col suo tempo. Solo che non prova interesse per le teorie ma per tutto ciò che è vita umana. In una sua lettera scrive." Il nostro grande affanno è la lenta morte della vita. Perciò dobbiamo cercare di trattenere la vita, di intensificarla, dandole il contenuto più ricco possibile. Bisogna cercar di vivere o avere la propria vita, come la nube sopra il mare." "Appunto perché questa vita le appare così ricca e ammirabile - continua il professor Schuck - essa non ha mai preso partito nelle lotte politiche, sociali o letterarie del giorno. Ha amato gli uomini più che le teorie, ed ha vissuto la sua propria vita tranquilla, lontana dal frastuono del mondo. " Il destino - scrive in un'altra sua lettera Grazia Deledda - mi ha fatto nascere nel cuore della solitaria Sardegna. Ma anche se fossi nata a Roma o Stoccolma, credo che non avrei cambiato natura e sarei sempre stata quella che sono: un'anima che si appassiona ai problemi della vita e che lucidamente vede gli uomini tali quali sono, pur credendo che potrebbero essere migliori, e che nessun altro, all'infuori di essi medesimi, mette ostacolo all'avvento del regno di Dio sulla terra. Tutto invece è odio, sangue e dolore. Ma tutto forse potrà essere vinto per mezzo dell'amore e della sua buona volontà".

"Giudicare delle qualità artistiche del suo stile - continua modestamente il prof. Schuck - è difficile per uno straniero. Perciò a questo proposito preferisco citare uno dei più noti critici italiani: " Il suo stile è quello dei grandi maestri dell'arte di narrare e ha quei tratti caratteristici che sono comuni a tutti i grandi romanzieri. Nessuno oggi scrive romanzi che per vigore di stile, potenza d'arte, struttura e importanza siano paragonabili ad alcuni lavori di Grazia Deledda, anche fra gli ultimi, come La madre e Il segreto dell'uomo solitario". Si potrebbe solo notare - aggiunge il prof. Schuck abbassando quasi involontariamente la voce - che in Grazia Deledda la composizione non ha tutta quella salda fermezza che sarebbe desiderabile: i repentini passaggi danno spesso l'impressione di un salto brusco. Ma questo difetto viene più che compensato da molti suoi meriti. Pochi sono nella letteratura europea gli scrittori che le siano pari nel descrivere la natura. Senza inutile spreco di colori scintillanti, la natura che essa descrive ha le semplici grandi linee del paesaggio antico, come ne ha la casta purezza e la maestà. Una natura meravigliosamente animata, che armonizza in modo perfetto con la psicologia dei personaggi che la scrittrice inserisce nel quadro. Da vera grande artista Grazia Deledda sa incorporare alle scene della natura le rappresentazioni dei sentimenti e delle costumanze del suo popolo".

Concludendo il suo discorso, il prof. Schuck cita un passaggio di Cenere, come esempio del pensiero deleddiano che è triste ma non pessimista: "Si, tutto era cenere: la vita, la morte, l'uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell'ora suprema, davanti alla spoglia della più misera delle creature umane, che dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni era morta per il bene altrui, egli ricordò che fra la cenere cova spesso la scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita".

"Alfred Nobel - termina il prof. Schuck - volle che il premio letteratura venisse attribuito a chi con le sue opere letterarie avesse dato all'umanità quel nettare che infonde salute e energia di vita morale. Conformemente a questa volontà del testatore, l'Accademia Svedese ha aggiudicato a Grazia Deledda il premio: "Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano".

Le ultime parole vennero pronunziate dal prof. Schuck anche in italiano, come forse in italiano, o in francese, nessuno udì chiaramente furono quelle che il re svedese scambiò con Grazia Deledda al momento della consegna del premio. Accanto a lui, che anche per un nordico era eccezionalmente alto, la scrittrice che, con apparente calma e prudente lentezza aveva sceso la breve scalinata che separava i premiati dalla zona dove si svolgeva la cerimonia, appariva ancora più piccola e, come scrissero i cronisti, a mala pena arrivava al gomito del re. Qualcuno credette di sentirla mormorare "Viva la Svezia. Viva l'Italia.", ma questo è tutt'altro che confermato.

"Poi, dopo un breve inchino e senza alcun sorriso profondamente emozionata - scrive il corrispondente di Aftonbladet - risaliva a passi molto cauti la scalinata e riprendeva posto accanto agli altri premiati, mentre le veniva tributato l'applauso più lungo e più intenso di tutti. La sua personalità semplice e simpatica aveva chiaramente e completamente conquistato tutti i cuori".

E il corrispondente di Dagens Nyheter scrive: "L'espressione seria non ha un momento abbandonato il viso di Grazia Deledda. Fa un inchino breve e un po' distratto dal re, poi con la stessa serietà di prima risale al suo posto. In un'intervista ha dichiarato d'aver atteso il Nobel da molti anni. Ora che ce l'ha in mano non sembra particolarmente emozionata. Quella che ne abbiamo in questo momento è esattamente l'immagine che ci eravamo fatti di lei: una piccola donna semplice, sicura nella sua saggezza, senza ombra di pose." E quando riprende il suo posto nel podio e gli applausi del pubblico si spengono, è come se tutto ciò che è appena accaduto le sia alla fin dei conti completamente indifferente e il suo sguardo cerca di nuovo nella sala un certo signore vestito di scuro. Il signor Madesani, sussurrano gli iniziati. Con l'inno nazionale svedese "Du gamla, du fria" (Tu, antica e libera), termina la serata in un affrettarsi dei convenuti verso le proprie galosce nel guardaroba. Il dott. Karlfeldt e l'ambasciatore italiano si prendono cura di Grazia Deledda e la conducono verso l'uscita e la macchina in attesa.

Fuori scintillano le cento luci e la stella del grande albero di natale, lottando in luminosità con i fari delle automobili della polizia che cerca di contenere il pubblico accorso a vedere le celebrità".

Ricevimenti, tè più o meno benefici organizzati da signore della colonia italiana, o filoitaliana di Stoccolma, attendevano Grazia Deledda nei giorni che seguirono. Poco tempo per curare la propria stanchezza e il proprio mal di testa. Paziente, laconica e più che mai irraggiungibile, non si sottrasse a niente. Sempre però accompagnata dal marito, gentile, premuroso, discreto e, come osserva un giornalista, "qualche volta chiaramente imbarazzato e nostalgico dei carciofi domestici, poiché non può sempre essere divertente essere il marito d'una donna celebre".

Ma l'apoteosi del breve soggiorno di Grazia Deledda a Stoccolma, fu naturalmente il banchetto offerto dal re, che, con i suoi 250 partecipanti, fu il più numeroso e splendido di quegli anni, in Svezia.

Fra i presenti, c'era anche l'altra grande scrittrice dell'epoca, la svedese Selma Lagerlòf che Grazia Deledda ammirava. Ma i cronisti non dicono se fra le due scrittrici vi fu un qualche scambio d'idee o almeno di complimenti. Leggiamo invece che Grazia Deledda ebbe l'onore d'essere condotta al suo posto dal principe ereditario, mentre il signor Madesani faceva da cavaliere alla baronessa Marks von Wurtenberg.

Ci furono dei discorsi : per primo quello di benvenuto del re, che era l'anfitrione, poi quello del prof. Schuck di ringraziamento del re, e del principe ereditario in memoria di Alfred Nobel e, per conclusione, al dessert, quello d'augurio ai premiati del arcivescovo di Stoccolma, monsignor Sòderholm.

Dei discorsi, tutti in svedese, Grazia Deledda non poté capire molto. E come immaginare che cosa pensava, in mezzo a quello scintillio di cristalli di porcellane preziose, di posate d'argento e oro, di lampadari sfolgoranti?

Forse, chissà, pensava a quel piatto di cristallo che nella sua casa natale a Nuoro aveva rappresentato per lei bambina l'idea stessa di bellezza e che così descrisse in Cosima:

"L'oggetto più meraviglioso era un grande piatto di cristallo, finemente inciso come nel diamante, appoggiato alla parete di fondo. Cosima non ricordava di averlo mai veduto adoperato, e neppure aveva un'idea dell'uso che poteva farsene! questo lo rendeva più raro, quasi misterioso: le pareva, vagamente, un simbolo, un piatto sacro, proveniente da antichi tesori, e magari un'immagine del sole, della luna, dell'ostensorio quando il sacerdote lo innalza e lo fa vedere alle folle adoranti. E lei adorava davvero quel piatto, alto, intoccabile; lo adorava - e questo lo capì molto più tardi - , perché rappresentava l'arte e la bellezza".

Del suo viaggio a Stoccolma, Grazia Deledda scrisse poco, molto poco. Quasi per inciso ne scrisse nel La casa del poeta, pubblicato nel 1930, quando già "il male terribile, il peggiore di tutti - come scrisse nel La Chiesa della Solitudine - era annidato come un serpente nel suo povero seno". In quel brevissimo brano Stoccolma è rivista da lei nel suo freddo splendore invernale, come una meta raggiunta, mentre un'altra , inevitabile, l'attende.

"Via Porto Maurizio - scrive -: da questo luogo siamo un bel giorno salpati verso i mari gelati e le metropoli scintillanti ai confini della terra abitata. Da esso, un altro bel giorno, in una barca d'ebano, decorata d'oro e lieta di ghirlande e di rose, salperemo verso il paese dei cipressi, che ci sembra qui limitrofo ed è invece oltre i confini della terra".

La Svezia, Stoccolma, il Nobel, le feste, non erano stati che una parentesi, un po' fiabesca e forse molto faticosa, che quasi non lasciarono traccia nei suoi scritti.

 

Libri di Grazia Deledda tradotti in danese

Efter skilsmisse (Dopo il divorzio) 1912 (trad. Marie Gamel)

Arlige sjaele (Anime oneste) 1927 (trad. Marie Helms)

De Levendes Gud (Il Dio dei viventi) 1928 (trad. Pola Trier)

Den abne dor (La porta aperta) (Antologia - red. Maria Giacobbe) 1976 (trad. Uffe Harder).


Ritorno al Deposito. A cura della Sun Moon Lake

 

Direzione edizione telematica: Lina Unali. Logo e Pagine html di Gabriella C. Marino e Igor Branchi

© 1995 Copyright Sun.Moon.Lake@agora.stm.it - Marchio registrato - Tutti i diritti riservati