LA PRESA DI GORIZIA






DAL DIARIO DI AURELIO BARUZZI



Tenente, volontario, aveva 19 anni nel 1916.
Pluridecorato, piu' volte citato per il valore dimostrato in numerose azioni.
Rimase in servizio attivo dopo la guerra e termino' la carriera ritirandosi col grado di Generale di Brigata
.







La giornata dell' 8 agosto 1916 era bella, limpida.
Eravamo sulla riva destra dell'Isonzo, finalmente raggiunto.
C'era nell' aria un'attesa nervosa e impaziente. L'ordine di attacco tardava a venire e i fanti si chiedevano: "Perche non si va? che si aspetta ?".
Sulla riva sinistra si intravedeva sopra una scarpata di una ventina di metri un trincerone nemico da cui potevano partire, da un momento all'altro, i colpi gracidanti delle mitragliatrici.
Sui ruderi del ponte ferroviario avevo piantato, in faccia al nemico, la mia bandiera. La guardavo sventolare al vento leggero nel pieno sole di mezzogiorno. Era arrivata fin la', ma volevo fermamente portarla fino a Gorizia liberata.

Era l'impegno che avevo preso con me stesso da quando avevo comperato la bandiera a Cormons, pochi giorni prima. La frase che un ufficiale, nuovo arrivato al nostro reparto del 28esimo fanteria, mi aveva rivolto: "E voi romagnoli non sapete fare altro che la settimana rossa" mi bruciava ancora.
Alludeva alle giornate di sciopero del gennaio 1914. II maggior nucleo delle brigate Casale e Pavia era costituito da romagnoli: gente un po' turbolenta, ma profondamente patriota. Ero scattato: "Vedrete che sapremo fare noi romagnoli! Saremo i primi ad entrare in Gorizia!".
Lo stesso giorno avevo acquistato la bandiera e nel bianco avevo scritto a grandi lettere: "Romagna".

II mio plotone mi aveva raggiunto dopo il fortunato colpo di mano al sottopassaggio del Podgora, che aveva aperto alle truppe italiane la via per l'Isonzo. II nemico era ancora all'oscuro dell'occupazione del sottopassaggio e della cattura, da parte di soli cinque italiani, di 200 uomini e di un ricco bottino di cannoni, armi e munizioni. Aspettava un attacco dalle nostre sei divisioni, schierate dai piedi del Sabotino alla quota 240 del Podgora, e non aveva pensato di far presidiare il trincerone ch'era dinanzi a noi.

II 22esimo reggimento di fanteria, l'ultima risorsa del nemico, era schierato sulla riva sinistra del fiume, dal ponte di Salcano fino a circa mezzo chilometro a monte del ponte della ferrovia Udine-Gorizia. L'occasione era favorevolissima. Il generale Marazzi aveva gia' chiesto per ben due volte l'autorizzazione di passare il fiume a guado, perche' il ponte era continuamente battuto dalI'artiglieria nemica. Aveva anche provveduto ad inviare un piccolo reparto di pionieri e l'osservatore tenente Ugo Ojetti, il noto scrittore e giornalista.

Il sogno di raggiungere Gorizia stava per realizzarsi dopo quattordici mesi di aspra lotta. L'avevamo a lungo ammirata e desiderata, dalla verde piana dell'Isonzo e, prima, dal lontano San Michele, dal terribile Sabotino, dallo sconvolto Podgora. Da Gorizia ci dividevano ora soltanto le acque limpide e azzurrognole dell'Isonzo.

Finalmente l'ordine arriva. Coraggio, fanti! si passa l'Isonzo!

Mi butto in acqua tenendo alta la bandiera, rimango distanziato dai miei uomini, che, tenendosi strettamente per mano, avanzano controcorrente in lunga catena. Non so nuotare, la corrente e' forte, mi trascina ma la bandiera che devo portare a Gorizia mi salva: ne conficco l'asta nel greto, come un bastone, e arranco disperatamente contro i vortici del fiume.
I fanti della brigata Casale e della Pavia avanzano a fatica, ma formano barriera all'impeto dell'acqua corrente. Prima uno, poi due, tre, raggiungiamo la riva, saltiamo d'un balzo sulla scarpata, occupiamo il trincerone. Appena in tempo!

Il nemico, colto di sorpresa, sta avanzando a piccole formazioni disordinate di una decina di uomini ciascuna. Dopo una breve sparatoria per cercare di rioccupare il trincerone, che e' in mano nostra, si arrende o si ritira.
Qualche nostro fante e' stato trascinato e travolto dalla corrente, altri sono rimasti feriti; il mio plotone e' ridotto a meno di due terzi ma un centinaio di uomini ha guadato il fiume, e' sulla riva sinistra dell'Isonzo. Ai miei uomini si sono aggregati numerosi soldati distaccati dai loro reparti: anch'essi hanno seguito la mia bandiera.

Non c'e' da perdere un istante. Il nemico riattacca con maggiore violenza. Sono i resti sbandati e senza piu' comandante del 30esimo Reggimento Imperiale che cercano di opporre resistenza alla rapida invasione. Li sbaragliamo e ci spostiamo sulla destra, in direzione della rotabile che porta al ponte di Lucinico. I pionieri austriaci tentano di far brillare il ponte sulla rotabile, ma, nonostante il sacrificio di molti di essi che vengono sorpresi allo scoperto dal nostro tiro, non ci riescono.

Davanti a me si erge, ora, a poche centinaia di metri, la stazione di Gorizia. Ne sono separato da un gruppetto di case, che occupiamo subito, e da un prato.
Il prato e' l'ostacolo piu' difficile. Poco piu' largo di un centinaio di metri, e' continuamente e rabbiosamente battuto dalle artiglierie nemiche. Anche i nostri, ancora ignari della rapida avanzata, ci sparano addosso credendoci austriaci.

Sostiamo brevemente per valutare la situazione. Mi si avvicina il sergente maggiore Ferrazzo del mio vecchio plotone: "Signor tenente, anche a nome dei fanti del suo vecchio battaglione, la prego di un grande favore: di combattere oggi ai suoi ordini, dietro la sua bandiera!" "Ma i vostri comandanti?" chiedo "Morti.... feriti.... non ne abbiamo piu'". "Allora vi porto con me; vi porto a Gorizia! A Gorizia!" Mi risponde un grido unanime: "A Gorizia!".

Devo attraversare quel prato. Ho promesso a me stesso che devo portare la mia bandiera a sventolare sulle case di Gorizia. E ancora, per la seconda volta, la bandiera mi viene in aiuto. Mi porto allo scoperto, agito il tricolore. I nostri artiglieri lo vedono, allungano il tiro: per un lungo istante il nemico resta sorpreso, il suo fuoco si ammutolisce... Ora! "Ragazzi, seguitemi! Avanti!". Mi risponde il grido dei miei soldati : "Ventottesimo! Italia!". Balziamo dai nostri ripari e corriamo in un centinaio perfettamente allo scoperto attraverso il prato verso la stazione, ne raggiungiamo il margine: ce l'abbiamo fatta!

Un altro ostacolo, imprevisto: la stazione e' protetta da un profondo reticolato. Lascio un gruppo d'uomini a fronteggiare la situazione contro il fuoco di alcuni elementi nemici che ci sparano dal caseggiato di fronte e mi sposto sulla destra in cerca di un varco che trovo non molto distante. Aggiriamo il nemico alle spalle, lo prendiamo di sorpresa. Gli Austriaci si arrendono dopo una breve e spietata lotta alla baionetta. Siamo in Gorizia! I fanti si abbracciano, ridono, piangono.

Nel fabbricato della stazione sono rimaste miracolosamente intatte le scale. Dopo pochi istanti, in cima al comignolo piu' alto, sventola la mia bandiera.
Mi sento improvvisamente stanchissimo: ora posso piangere anch'io.

Aurelio Baruzzi







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