IL TESORO DI FEDERICO







Su i campi di Marengo batte la luna; fosco
tra la Bormida e il Tanaro s'agita e mugge un bosco,
un bosco d'alabarde, d'uomini e di cavalli,
che fuggon d'Alessandria da i mal tentati valli.

D'alti fuochi Alessandria giu' giu' da l'Apennino
illumina la fuga del Cesar ghibellino:
i fuochi de la lega rispondon da Tortona,
e un canto di vittoria ne la pia notte suona:

Stretto e' il leon di Svevia entro i latini acciari:
ditelo, o fuochi, a i monti, a i colli, a i piani, a i mari.
Diman Cristo risorge: de la romana prole quanta
novella gloria vedrai dimani, o sole! -

Ve la ricordate?

Sui campi di Marengo la notte del Sabato Santo del 1175 Federico I Barbarossa sembrava arrivato al suo 'redde rationem'. L'esercito della Lega Lombarda circondava completamente le sue esigue forze e gli Imperiali sapevano perfettamente che l'indomani non avrebbero avuto scampo.

A questo ed ad altro pensavo sabato mentre mi inerpicavo poco convinto su una collinetta nei dintorni di Stradella a circa 20 km. da Pavia. Alla mia destra scorreva il torrente Versa e tutto il paesaggio era circondato di colline ricche di vigneti e di vegetazione che partivano da una piana sottostante dove l'erba era gia' alta. Alla gita mi aveva persuaso Pino, un amico di sempre, gran conoscitore di storia locale, raffinato intellettuale e pure uomo politico :)

Il sole splendeva ma su tutta la zona spirava un forte vento che ondulava l'erba e scompigliava alate idee e piu' prosaici capelli.
"Ma sei sicuro che siamo nella zona giusta? - bofonchiai.
"E' da queste parti per forza. E se anche non ci fosse, non abbiamo forse fatto una bella gita in nome di Federico?" - rispose Pino.

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Ode, e, poggiato il capo su l'alta spada, il sire
canuto d'Hohenzollern pensa tra se' - Morire
per man di mercatanti che cinsero pur ieri
a i lor mal pingui ventri l'acciar de' cavalieri! -

E il vescovo di Spira, a cui cento convalli
empion le botti e cento canonici gli stalli,
mugola - O belle torri de la mia cattedrale,
chi vi cantera' messa la notte di natale? -

E il conte palatino Ditpoldo, a cui la bionda
chioma per l'agil collo rose e ligustri inonda,
pensa - Dal Reno il canto de gli elfi per la bruna
notte va: Tecla sogna al lume de la luna. -

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"Figura che mi ha sempre affascinato, quella di Barbarossa. Un imperatore che cerco' di risollevare le sorti esangui del Sacro Romano Impero restaurandone l'autorita'. Distrusse Tortona, e' vero, ma in fondo la citta' era dichiaratamente sua nemica, come Milano...."
"Uh.. uh.. Dove sara' quella benedetta chiesa? Dicevi di Federico.... ne combino' di cotte e di crude cercando di restaurare l'autorita' imperiale. A suo modo un idealista e complessivamente un avversario leale e degno".
"Dillo ad Alberto di Giussano!" risi io.
"Sai benissimo che probabilmente non e' mai esistito! Mai confondere la storia con la poesia: l'animo si arricchisce ma ne patisce la scienza".
"Ah.. vedro' di tenerlo a mente. Ma e' veramente andata cosi' nel 1175 nella piana di Marengo?"
"Non e' dato di saperlo con certezza. L'episodio viene da un cronachista francese, certo Quinet, che ne parla nella sua opera: 'Les revolutions de l'Italie'. Di piu' non se ne sa, come troppo spesso accade. Sia come sia, e' indubbio che Federico passa indenne il 1175 per incappare l'anno dopo nella sconfitta di Legnano."
"Legnano. L'effimero trionfo del Comune.... come effimeri saranno i nostri passi in questa sterpaglia, di questo passo trascorreremo la notte qui!" ed il vento sorrideva dei borbottii.

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E dice il magontino arcivescovo - A canto
de la mazza ferrata io porto l'olio santo:
ce n'e per tutti. Oh almeno foste de l'alpe a' varchi,
miei poveri muletti d'italo argento carchi! -

E il conte del Tirolo - Figliuol mio, te domane
salutera' de l'Alpi il sole ed il mio cane:
tuoi l'uno e l'altro: io, cervo sorpreso da i villani,
cadro' sgozzato in questi grigi lombardi piani. -

Solo, a piedi, nel mezzo del campo, al corridore
suo presso, riguardava nel ciel l'imperatore:
passavano le stelle su'l grigio capo; nera
dietro garria co 'I vento l'imperial bandiera.

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Poi, improvvisamente, apparve la chiesa sul fianco della collina poco discosta da qualche rada casa colonica..
"E' quella - dissi io - Non puo' essere che quella. Pero' la struttura e' settecentesca".
"Questo non e' un problema - mi rispose Pino in mezzo al sibilo del vento - Nei secoli ci possono essere state ritrutturazioni sovrapposte di un edificio primitivo che puo' benissimo, in origine, risalire al Mille."
"Fammi rileggere il testo - esclamai prendendo la fotocopia - dunque....
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Bene, questa e' la localita' Montalino e questa e' la chiesa. Ed il tesoro?"
"Ti ripeto - spiego' Pino pazientemente - che questo e' quanto scrive Petacco in una sua opera di venticinque anni fa sui tesori in Italia. Questo testo e' desunto da un manoscritto duecentesco che un curato fece pervenire ad un rotocalco circa trent'anni fa. L'analisi del manoscritto ha confermato la sua antichita' pero' nessuno ha mai trovato il pilastro e la pietra in marmo.
Il tesoro di Federico, che dopo la sconfitta si rifugio' nella vicina Pavia, e' ancora qui, se mai c'e' stato, e cosi' mi piace pensare..."
Guardai intorno e socchiusi gli occhi.
Scherzi del sole, del vento e della suggestione.... per un attimo mi sembro' di vedere davvero, nella piana sottostante, l'Imperatore e Ditpoldo e Rodolfo di Hoenzhollern e Cristiano di Buren e Ottone di Wittelsbach e tutti gli altri, scintillanti nelle loro armature e seguiti dai cavalieri di Turingia, di Boemia e di Polonia, galoppare nel vento reggendo le insegne di un Impero che era sopravvissuto ai millenni.
Mi riscossi. "Li hai visti anche tu?" sussurrai a Pino.
"Certamente - disse sottovoce l'amico - Chiamala magia di un attimo, chiamala come vuoi, ma li ho visti.... senno' a che si riferirebbe l'ultima frase del manoscritto: 'Bada che e' ben guardato' ?"
Sorridemmo insieme mentre il vento soffiava piu' forte portandosi via voci e persone di altri luoghi, di altre epoche.

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A' fianchi, di Boemia e di Polonia i regi
scettro e spada reggevano, del santo impero i fregi.
Quando stanche languirono le stelle, e rosseggianti
ne l'alba parean l'Alpi, Cesare disse - Avanti!

A cavallo, o fedeli! Tu, Wittelsbach, dispiega
il sacro segno in faccia de la lombarda lega.
Tu intima, o araldo: Passa l'imperator romano,
del divo Giulio erede, successor di Traiano. -

Deh come allegri e rapidi si sparsero gli squilli
de le trombe teutoniche fra il Tanaro ed il Po,
quando in cospetto a l'aquila gli animi ed i vessilli
d'Italia s'inchinarono e Cesare passo' !





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