Isola Bianca. L'isola che c'è.

E c'eravamo pure noi, tutti senza alcuna esperienza di vela, tranne uno, Aldo.

Isola Bianca è l'ultima entrata nella "flotta" di Avventure di cui già conobbi lo Djambè.

Della flotta di Avventure condivide la personalità: non si tratta di una banale barca in plastica di qualche famigerato, forse nobile, cantiere francese Benetau, barche che, con le loro diverse grandezze, mi ricordano tanto i modellini della Polystil.

L'Isola bianca è unica, fu costruita in cantiere su progetto di un ignoto navigatore che con essa sognava grandi traversate atlantiche.

Certo la sua struttura in ferro merita qualche attenzione in più, di una vernice più frequente, ma qual è la grande signora che non si trucca? E come ogni grande signora, quando si concede... non fa rimpiangere, mai, le bamboline di plastica.

Poi per noi si era fatta veramente grande, di nuovo bella, un nuovo albero per la randa, una nuova randa e un nuovo copriranda giallo, quello, forse, un pò kitsch, ma sopra di tutto la voglia di correre, di darsi una, una e una volta ancora ai mari nostrani.

Feci quindi la mia prima conoscenza con L'isola Bianca quel giorno 28 del quarto mese del terzo millennio dell'era cristiana e quel giorno conobbi anche Aldo l'unico che di vela ne capiva qualcosa.

Oltre a lui mi disse esserci a bordo un altro mezzo marinaio con esperienza di navigazione, l'avrei conosciuto più tardi, aggiunse che mi sarebbe stato molto utile.

Mi diede il benvenuto e mi presentò agli altri, gli altri che si erano già sistemati e per un eccesso di cortesia mi lasciarono il posto "matrimoniale" sopra al gavone. Non so se la cosa fosse stata organizzata da Guido che colse l'occasione per trovare un luogo a più comoda portata di ragazze o perchè dissi che abitualmente io mi lavo una volta all'anno, quello giubilare, e quindi non subisco la cronica mancanza d'acqua delle barche.

Partimmo subito alla scoperta di un gioiello d'Italia l'isola di Ponza, splendida in primavera con la sua fioritura di ginestre e rose di mare, non ancora assaltata dalle barbariche orde turistiche mentre Roberto, romano, commentava, "... si può essere così coglioni da avere un'isola così bella a poca distanza da casa e in 37 anni non esserci mai venuti?..." tutti rispondemmo di si, lasciando il dubbio se per l'isola eccezionalmente bella o perchè a pronunciar la frase fu Roberto.

Iniziamo subito la circumnavigazione di Ponza, isola a me sconosciuta. Vedemmo le grotte di Pilato, cala inferno, cala feola con le sue piscine naturali, i faraglioni di Lucia Rosa, la splendida chiaia di luna ... e chi più ne ha più ne metta. Ma il tempo è tiranno e dovemmo correre per essere alle 6 al porto, per trovare posto sul molo.

All'arrivo passai i cavi di ormeggio per la barca e diventai visibilmente preoccupato quando Aldo mi chiese di recuperare il corpo morto e di passarglielo, fui tentato di fuggire sconcertato da come trattava, e con tanta superficialità, la fine dell'esistenza, restai solo quando scoprii , più tardi, trattarsi dell'ennesimo termine marinaresco.

La mattina seguente decidemmo fare vela verso Ventotene. Cercammo, sperando nella bontà divina di Eolo, di farlo senza motore. L'equipaggio in tal frangente si rivelerà non molto esperto, e quando Aldo chiese di cazzare la randa le reazioni furono diverse, le donne accennarono ad un sorriso e cercarono di capire qualcosa dall'assonanza del termine, io fraintesi e mi chiesi chi o che cosa devo redarguire, ovvero cazziare in emiliano, la randa e perchè e come farlo, inoltre cosè la randa?.

Il buon Aldo forte di una pazienza infinita ci farà una lezione tale che alla fine fummo quasi marinai provetti e all'ordine di lascare, cazzare o mollare non avemmo più dubbio alcuno. Tant'è che al comando di fissare il boma con un paranco tutti eseguimmo perfettamente la manovra.

Tuttavia in ogni barca di rispetto c'è sempre chi rema contro, ovvero il lavativo. E così fu per noi, per rispetto non ne faremo il nome, tuttavia passerà l'intera giornata a ricevere indecentemente scandalosi messaggi dalle sue tante spasimanti, ci augurammo tutti che la batteria del telefonino avesse vita molto breve ma soprattutto che le sue spasimanti si ricordassero ricordino un pò anche di noi.

Ma il dio Eolo non fu poi cosi generoso, o lo fu molto per gli improvvisati veleggiatori, già che ci tolse il vento poco dopo, per cui ci vedemmo nostro malgrado, costretti a raggiungemmo Ventotene con l'uso del motore, GPS e del pilota automatico. Cosa quasi da far concorrenza a un qualunque commenda con il motoscafo, promettemmo solennemente che non avremmo più utilizzato siffatti prodigi della scienza e della tecnica, con l'aiuto di Eolo, beninteso.

Finalmente giungemmo a Ventotene dove ci ancorammo nel porto Romano scavato nel tufo, in questo casi fui io a dire

"si può essere così coglioni da girare il mondo e non vedere un'isola così bella a poca distanza da casa?" tutti risposero di si, l'isola è veramente meravigliosa.

Ormai provetti marinai effettuammo tutte le manovre per l'attracco con maestria tale da lasciare stupito persino Aldo.

Ventotene, il nome non mi è nuovo, ho il vago sospetto che il manifesto di Ventotene a cui la costruzione europea deve tanto, sia stato qui concepito. Ho anche il vago sospetto che Altiero Spinelli, l'autore, non fosse proprio venuto in questo splendido paradiso di sua spontanea volontà, ma sia stato gentilmente ospitato a spese dell'allora governo nel dirimpettaio ergastolo di Santo Stefano.

L'isola ha una lunga tradizione nell'accogliere l'esilio delle persona poco gradite, cominciarono i romani con l'esilio di Giulia, la figlia dell'imperatore Augusto, che venne relegata qui in seguito a scandali a sfondo sessuale che minavano la credibilità del programma di moralizzazione intrapreso dal padre, almeno così si disse.
Per tornare a più concreti propositi notiamo che la nostra cambusa è rimasta senza provviste per cui ricorriamo agli ultimi acquisti in paese, contando sulla gentilezza di un venditore che ci apre il negozio di domenica. Una pizzeria nella piazzetta della chiesa ci fornirà ciò che la cambusa, ma soprattutto, la nostra voglia di cucinare non potrà fornirci.

Per la nostra ultima sera decidemmo di ricorrere al pesce del ristorante Benito, ristorante sul bacino del Pozzillo dove si mangia tutto alla brace e si gode una invidiabile vista. Il tutto annaffiato con una buona dose di vino bianco.

Il mattino dopo salutammo Aldo, skipper e proprietario della barca, il mezzo marinaio che neanche ci rispose e ripartimmo per la terraferma..........

Pierino Dall'Asta

Copyright © 2001 Pierino Dall'Asta
 

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