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IL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
NEL TERRITORIO ITALIANO ED EUROPEO

Per informazioni e-mail a prc_italan_roma@hotmail.com

Articolo di Gennaro Migliore (Segretario della Federazione di Napoli del PRC)  tratto daLe autonomie di aprile 1998
NAPOLI: DOPO IL SACCO EDILIZIO DEL POST TERREMOTO
Può aprirsi la stagione della speculazione legale

Chi discuterà di Mezzogiorno dopo il 3 maggio, ora “x” dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica? Forse ci sarà chi impiegherà il suo tempo a spiegarci i benefici per noi e per i nostri nipoti, chi magnificherà la tenuta monetaristica delle politiche economiche continentali a scapito degli investimenti pubblici nella spesa sociale. Oppure si dirà che la sfida della globalizzazione richiede lavoratori flessibili e pronti alla precarietà per poter competere con i colossi mondiali dell’economia. Figuriamoci quanto sarà rilevante, in consessi così autocelebrativi, la domanda pressante di lavoro, il grido strozzato degli esclusi dal banchetto europeo, la scoperta di un futuro senza progetto nè identità. E’ in questo contesto, difficile e pericoloso per la stessa democrazia, che ci ritroviamo a lottare nelle aree meridionali del nostro paese contro il precariato, la disoccupazione, il lavoro nero e illegale, lo sfruttamento dei minori e, per non dimenticare quali sono gli immediati fruitori di queste condizioni di svantaggio sociale, contro i poteri criminali che scelgono il sangue per “onorare” i debiti dei loro soprusi. Il Mezzogiorno, del resto, è un’area naturale di business nella quale sperimentare i modelli selvaggi della modernizzazione capitalistica: infatti pur avendo caratteristiche disomogenee e una perdurante frantumazione sociale, le linee di tendenza vanno nella direzione di costruire un uniforme mercato del lavoro a costi contenuti, una riserva di disoccupati pronti a mitigare le pretese degli altri lavoratori e un assetto istituzionale capace di promuovere i primi due aspetti di un clima di sostanziale consenso. E’ quindi differente il caso meridionale da quello altrettanto noto del nprd-est, che propone una difesa territoriale, corporativa e trasversale di una posizione di vantaggio acquisita in questi anni e vissuta contro il resto del paese. Nel Mezzogiorno, per attuare in concreto quelle tendenze, si dovrà mutuare un sistema di clientele e di assistenzialismo ben noto ma comunque intrecciato agli interessi dei governi centrali. Storicamente le regioni meridionali, tranne rare eccezioni, sono state “governiste” nella espressione del voto politico; oggi lo stesso movimento dei sindaci è espressione di una falsa domanda di autonomia, rappresentando invece il peggior meridionalismo qualunquista. Non è un paradosso la connessione stretta tra la modernizzazione che chiude le fabbriche e la prepoliticità della ricerca del consenso attraverso l’invocazione dell’uomo forte, nel contempo salvatore e rappresentante di una indistinta società civile. Non è casuale che in queste aree il centro di espressa matrice democristiana stia riprendendo consistenza; che il Pds sia divenuto un grande partito di gestione del potere, spesso slegato da una base che pure continua a essere di sinistra; che lo stesso sindacato abbia assunto il paradigma della concertazione , al punto di dimenticare di essere costituito di categorie autonome (per esempio nei contratti d’area nessun ruolo hanno avuto i sindacati industriali). Proprio il sindacato meridionale è stato il protagonista delle vicende dei contratti d’area, brillando per la totale arretratezza rispetto alle richieste padronali e ostacolando gli stessi propositi del governo di investimenti pubblici tramite una agenzia forte nel Sud. Si accende per questa via un esito che, ben oltre il Galles, farà del Mezzogiorno un deserto produttivo. Altro che sconfiggere gli assistenzialismi! Si consentirà un gigantesco flusso di denaro pubblico alle aziende che verranno a portare solo altri appetiti e nessun nuovo posto di lavoro. Sul versante istituzionale la situazione non è più confortante. In questo momento le principali attività delle istituzioni locali sono rivolte agli interventi di ridisegno del territorio. La preferenza va senza dubbio agli strumenti amministrativi che consentono una deregolamentazione, all’insegna della liberazione dai lacci e lacciuoli, della normativa urbanistica (come accade proprio nei contratti d’area, negli accordi di programma, ecc.). Dopo gli anni del sacco edilizio post terremoto, pare affacciarsi la stagione della speculazione legale, magari azzannando l’ultima area industriale a disposizione per pensare ad un centro commerciale o ad un albergo che non avrà neppure i suoi clienti. Per questi e tanti altri motivi non è più differibile la costruzione di una politica per il Mezzogiorno adeguata ai conflitti in campo nel paese e anche nel nostro partito, che sappia dare spazio democratico ai soggetti portatori di domande qualificate e che sappia vedere e costruire un reale movimento di massa per la trasformazione.


 

 
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