Associazione Internazionale di Studi e Ricerche F. Nietzsche – Palermo

Corriere della Sera, 02 marzo 2002

Nietzsche sapeva che sarebbe diventato uno dei grandi punti ...

di Emanuele Severino

Nietzsche sapeva che sarebbe diventato uno dei grandi punti di riferimento del nostro tempo. Anche in Italia l’attenzione per il suo pensiero continua a crescere. Tra le iniziative più rilevanti, il «Premio Nietzsche» di portata internazionale, che per merito di Alfredo Fallica vive e prospera da decenni a Palermo e nel prossimo ottobre sarà celebrato a Venezia. Nonostante questo - e come accade per Leopardi -, la straordinaria grandezza di Nietzsche continua a rimanere nascosta. Su di lui si scrivono molti bei libri. Come, ad esempio, quello recente di Rudiger Safranski ( Nietzsche. Biografia di un pensiero, Longanesi). Ma spesso con il sottinteso che non sia poi così difficile controllare il pensiero di Nietzsche meglio di quanto non abbia fatto egli stesso. (E anche questo è capitato a Leopardi).

Accrescere il proprio potere sulle cose e sugli dèi: questo è sempre stato il desiderio più profondo degli uomini. Pensano che la potenza li renda capaci di vincere il dolore e la morte. Nel paradiso terrestre il serpente assicura: No, non morirete, mangiando il frutto proibito; sarete anzi come dèi - avrete cioè la loro potenza. Tecniche, religioni, filosofia, arti, sono i grandi espedienti escogitati dall’uomo per diventare sempre più potente. La tecnica fondata sulla scienza moderna è ormai il più potente strumento di trasformazione del mondo.

E se aggiungessimo che la filosofia contemporanea, e soprattutto quella di Nietzsche solleva la tecnica moderna al culmine delle sue possibilità? Di primo acchito, questa domanda suscita compatimento. Di fronte alla serietà della scienza e della tecnica sembra proprio che non si debba perdere il tempo con domande del genere. Eppure, anche chi squalifica quella domanda crede che l’agire umano sia tanto più efficace quanto meglio si conosce il luogo in cui si agisce e quindi il grado e la natura della resistenza che tale luogo oppone all’agire.

Ma il Luogo che contiene tutti i luoghi è la totalità dell’essere. La filosofia ha inteso indicarne il volto. Dapprima ha affermato l’esistenza di Dio, ossia dell’Essere immutabile che nessuna potenza umana può dominare. Poi la filosofia del nostro tempo ha mostrato che nessun Dio immutabile ed eterno può esistere. Cosicché, dapprima, ha avuto la strada sbarrata da Dio e dalle sue leggi; poi la filosofia ha liberato la strada da ogni ostacolo.

La tecnica può ora proseguire il proprio cammino sapendo che non incontrerà alcuno ostacolo e alcun limite invalicabile. La filosofia contemporanea l’ha resa completamente libera: in linea di diritto l’ha sollevata, appunto, al culmine delle sue possibilità - anche se in linea di fatto le leggi di Dio combattono ancora con tenacia per la loro sopravvivenza. Ascoltando la voce della filosofia del nostro tempo - non è certo un’impresa da poco - la tecnica può assumere ora un’andatura del tutto diversa ed essenzialmente più incisiva.

E Nietzsche? Del suo pensiero è soprattutto la dottrina dell’eterno ritorno a rimanere un mistero per gli interpreti. E invece questa dottrina non solo ne è la vetta più alta (più alta di quanto non creda lo stesso Heidegger, che pure ha restituito Nietzsche alla dimensione che gli compete), ma è proprio lo straordinario pensiero che più di ogni altro solleva la tecnica al culmine delle sue possibilità.

Dice, questa dottrina, che tutti gli istanti della vita ritornano eternamente uguali, cioè proprio così come noi li abbiamo per la prima volta sperimentati. Ricorda Safranski che anche a Lou Salomé, l’amica sapiente del filosofo, «successe quello che accadde agli altri amici di Nietzsche, a cui egli comunicò questa dottrina: era commossa dal tono e dai gesti, ma delusa dal messaggio». Certo: non lo aveva capito. Non è mai stato capito. Non si è mai capita la sua inevitabilità. Ma se si crede nell’esistenza del divenire - e questa è la fede che domina tutto ciò che gli uomini sanno -, allora si tratta di comprendere questo, che è il «pensiero abissale»: che non solo non può esistere alcun Dio immutabile ed eterno, ma che il divenire non può essere nemmeno un percorso rettilineo e irreversibile, ossia è necessariamente un circolo che eternamente ritorna su di sé.

Chi è capace di scorgere la necessità di questo circolo è il «superuomo». Egli possiede la volontà più potente di ogni altra. Sapendo che la strada è circolare si è infatti essenzialmente più potenti, nel procedere e nell’agire, di chi, ignorandolo, e credendo che il percorso sia rettilineo, va continuamente fuori strada. E allora, chiediamoci, la tecnica guidata dalla scienza moderna, proprio la tecnica, che oggi si presenta come produttrice della potenza suprema dell’uomo, può permettersi di ignorare che il corso degli eventi del mondo ha un carattere circolare? Può ignorare il tratto fondamentale del mondo? Una tecnica che lo ignori non è forse impotente rispetto alla tecnica che lo conosce e pone questa conoscenza al proprio fondamento? E in tal modo non ci si deve forse preparare ad ammettere quella che ci sembrava l’affermazione più paradossale, cioè che la dottrina dell’eterno ritorno solleva la tecnica al culmine delle proprie possibilità?

Certo, per rispondere positivamente a queste domande bisogna incominciare a capire la vena d’oro del pensiero di Nietzsche: capire che il passato non può essere qualcosa di irrevocabile, ormai definitivamente sottratto alla volontà, perché un passato, così inteso, avrebbe proprio l’essenza di quel Dio immutabile di cui ormai è stata vista (da chi sa vedere) l’impossibilità. Capire che dunque è necessario che la volontà abbia potenza sul passato e che quindi il suo apparente volere «in avanti» è in verità un ritornare indietro, cioè un andare verso il passato, è un circolo, un circolo eterno

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